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Riletture: “Via col vento”

Riletture: “Via col vento”

Le pagine ingiallite di un'edizione del 1958: la rilettura di un romanzo potente e la scrittura di una donna, Margaret Mitchell, "dentro gli stereotipi del suo tempo e nello stesso tempo al di fuori di essi"

Domenica, 14/10/2018 - Dopo molti anni e vari passaggi sono tornati a me i 4 volumi di “Via col vento” nella edizione Mondadori del 1958, letti all’età di 17 anni. Le pagine ingiallite, le foto di copertina con le immagini dell’indimenticabile film, mi hanno suscitato un imperioso desiderio di rileggere tutto, oggi, alla luce di una lunga esperienza di vita segnata profondamente dal femminismo. Non mi sarei mai aspettata di trovarmi di fronte ad un romanzo potente, con una struttura narrativa coinvolgente e una scrittura densa, chiara, che mi ha tenuta legata fino alla fine. Pubblicato nel '36 occupa uno spazio temporale che va dal 1861 al 1865, durante i tragici anni della guerra di secessione americana. Vicende storiche e personali si intrecciano fino a fondersi e confondersi in una narrazione compatta, credibile in ogni personaggio tratteggiato magistralmente perfino con le sue ambivalenze e oscillazioni.
La scrittrice Margaret Mitchell, a distanza di soli settanta anni dai fatti, racconta di Atalanta, la sua città, della Georgia e degli stati del Sud in fiamme, della grande insensatezza e ferocia della guerra, senza farsi mai prendere da facili semplificazioni. Una sapienza dello sguardo, la sua, sia nel delineare gli scenari interiori che le complesse dinamiche sociali e politiche.
Dentro gli stereotipi e nello stesso tempo al di fuori di essi, con una modernità che risente del clima culturale del tempo - da ricordare il grande movimento di emancipazione femminile che a partire dal ‘700 ha animato il dibattito negli Stati Uniti, la Convenzione di Seneca Falls del 1848, il diritto di voto per le donne ottenuto il 18 agosto 1920 - la scrittura testimonia di una soggettività femminile capace di portare altre chiavi di lettura, critiche severe al mondo pensato dagli uomini, mettendo in piena luce l’obbligo dell’insignificanza culturale e politica riservato alle donne; e arriva dentro, a volte molto dentro le coscienze di madri, compagne, sorelle che portano il peso di restituire senso alla vita, un altro senso, pur nelle complicità e innegabili somiglianze col maschile: razzismo, classismo, invidia, ipocrisia, egoismo.
L’entusiasmo iniziale per la guerra di tanti giovani bianchi, cresciuti nel mito astratto dell’onore e della enfasi sulla soluzione militare dei conflitti, nel racconto incontra severa critica non solo da parte delle donne, molte delle quali si uniformeranno poi alla logica dominante, ma anche da parte di un uomo, personaggio centrale del romanzo, Hashley, che si ritroverà a combattere, suo malgrado, per difendere una idea dell’umano che vedrà poi azzerata completamente nella sua drammatica esperienza di soldato.
Nel libro la schiavitù da un lato appare come dato naturale da accettare, dall’altro come elemento conturbante da superare, generatore di violenze efferate da una parte e dall’altra. L’autrice ci ricorda che tanti oppositori alla emancipazione dei neri furono proprio molti schiavi e schiave che nella loro condizione di totale assoggettamento credevano di aver trovato l’unica protezione possibile per la loro vita; non pochi infatti finirono per essere utilizzati dai bianchi a sostegno della secessione abbandonandosi a violenze terribili, stupri compresi. Altri invece furono al fianco dei vincitori del nord e parteciparono attivamente a repressioni e devastazioni. Breve, ma intenso è il riferimento alle atrocità commesse dal Klu Klux Klan alla fine della guerra nel tentativo di ristabilire l’ordine schiavista.
Ma il romanzo si può leggere anche come una lunga, impietosa decostruzione dell’amore romantico. Rossella, addestratasi nella giovinezza al gioco frivolo della seduzione, impegnata in ogni modo a piacere ai giovani maschi contando sulla sua avvenenza e i suoi cappellini, si troverà a vivere vicende che la porteranno a fare i conti con una realtà sempre più dura; in questo suo doloroso percorso sarà sempre guidata dalla convinzione di amare Aslhey e di esserne riamata. Capirà solo verso la fine che questo amore è stato frutto di una sua invenzione, la idealizzazione di un personaggio rivelatosi in più occasioni debole, incapace di vivere nella realtà e di assumere fino in fondo le proprie responsabilità. Nelle ultime pagine del romanzo ha modo di pensare di lui “Non è mai esistito veramente, se non nella mia fantasia. (…)E non ho mai voluto vederlo come era in realtà. Ho continuato ad amare il fantoccio … ma non lui.” E riuscirà a riconoscere come una sorprendente rivelazione il valore della sua grande rivale, Melania, la donna che le ha portato via Hasley e che lei a costo della vita ha protetto a lungo in quanto moglie dell’uomo che ama, pur disprezzandola profondamente. Quando Melania muore raccomandandole di prendersi cura di Hasley e della sua fragilità, si rende conto di ammirarla tanto quanto ammirava sua madre e le riconosce, ricordandone vari episodi in una luce questa volta di verità, il coraggio di vivere in coerenza con un modo di concepire le relazioni e averne cura, pur consapevole dei rischi, infrangendo le barriere di classe, razza, genere, leggi e consuetudini.
Incapace di essere una buona madre e una buona compagna di vita, in grande ritardo nel riconoscere il suo amore per suo marito, il capitano Butler, Rossella è una figura femminile di transizione: nutre un amore profondo, costante, per sua madre, ammira la sua umanità verso gli schiavi e non solo; una madre che resterà a lungo ingombrante presenza nella sua coscienza nel guardare a sé stessa e al mondo, ma impossibile da avere come modello nella complicata ricerca verso la autonomia e la libertà. Una libertà a tutti i costi, spregiudicata, narcisistica, spesso urticante, ma carica di forza riparatrice delle lacerazioni e delle tragedie, grazie anche al suo grande senso pratico e al suo attaccamento alla terra come elemento di identità e sostentamento. Per questo Rossella resta secondo me ancora oggi un riferimento importante, quasi un monito, per la costruzione di una libertà femminile in grado di fare i conti con il senso di responsabilità, dove l’amore per sé riesce ad incontrare l’amore per l’altro/a, in un difficile ma possibile equilibrio come la fine del libro, pur nella desolazione di macerie materiali, morali, affettive, sembra indicare.
Rosanna Marcodoppido

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