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La Riforma del Diritto di Famiglia compie 50 anni: la genesi di una bella storia italiana

La Riforma del Diritto di Famiglia compie 50 anni: la genesi di una bella storia italiana

Intervista a Paola Ortensi, tra le donne che hanno vissuto le lotte per ottenere la legge 151 e l'entusiasmo per l'approvaizone. Soprattutto nel mondo agricolo

Lunedi, 19/05/2025 -

Quella del Diritto di famiglia, che può essere considerata la “madre“ di tutte riforme, compie cinquanta anni e cogliamo questo traguardo per fare qualche riflessione intorno ad una legge che ha profondamente modificato la cultura patriarcale del nostro Paese. Con la legge 151, approvata il 19 maggio 1975, le donne conquistano la completa parità nell’ambito familiare, la cancellazione della figura del pater familias è una svolta che contribuisce decisamente a modificare il costume e apre l’affaccio su possibilità prima inesistenti per le donne, soprattutto nel campo del lavoro e dell’economia.
Fu uno di quei ‘momenti politici’ che oggi sembrano un sogno. L’approvazione della legge diede l’impressione che davvero il mondo potesse cambiare positivamente per i diritti in generale e per le donne in primis in un modo davvero speciale partendo dall’ambito familiare. Forse è una memoria che può aiutarci ancora oggi a pensare che si può e si deve riprendere un cammino di diritti pur nel momento di grande pessimismo che attraversiamo e che potremmo forse superare tornando a credere nella partecipazione al cambiamento e al miglioramento della nostra condizione di vita”.
Paola Ortensi è stata tra le dirigenti politiche e le militanti che negli anni Sessanta e Settanta hanno seguito l’iter legislativo della Riforma, contribuendo a scrivere alcuni capitoli decisivi per i diritti delle donne nelle imprese, in particolar modo nelle imprese agricole. Dalla sua viva voce raccogliamo impressioni e ricordi di quel periodo.

Che ricordo hai di quel periodo, in relazione all’approvazione della Riforma?

Quando nel 1975 fu approvata la legge 151, meglio nota come “Il nuovo diritto di famiglia“, ero funzionaria del PCI e per la precisione ero la responsabile femminile della federazione di Latina, successivamente divenni la responsabile dell’organizzazione agricola della provincia di Latina, ovvero della Confederazione Italiana Coltivatori (CIC). Fu una vera festa quell’approvazione e mi ricordo che si sottolineavano tutte le grandi innovazioni che per la donna significavano: dignità, parità, responsabilità riconoscimento. Ho per esempio il ricordo di una donna che in una delle tante iniziative che facemmo per far conoscere e spiegare le novità della nuova legge con un’emozione indimenticabile, per me sempre viva come fosse oggi, in un suo intervento disse ‘ma ci pensiamo che oggi possiamo avere un domicilio abitativo diverso da quello ufficiale della famiglia, se lavoriamo in un altro comune! Questo significa indirettamente una conferma dell’importanza del nostro diritto a un lavoro’. Dentro questa, se vogliamo confusa affermazione, c’era la soddisfazione per un riconoscimento più complesso e significativo. E ancora l'orgoglio di poter aggiungere il proprio cognome a quello del marito. Tanti nuovi traguardi che finalmente consegnavano alle donne il raggiungimento di una dignità e importanza davvero desiderata e per cui in tanti, donne e non solo, avevano dato il massimo del proprio impegno. 

Quale fu, in particolare, la reazione nel mondo agricolo?
Data l’enorme importanza dell’agricoltura nell’economia pontina a nessuno sfuggi l’importanza della Riforma, che non esagero a definire rivoluzionaria soprattutto per l’impatto dell’articolo divenuto 230/bis del Codice civile in cui è sancito che l’impresa famigliare dava a tutti e tutte i membri diritti uguali in termini di partecipazione: decisioni (da prendere a maggioranza), mantenimento, utili e altro. Un principio che va considerato come il riconoscimento del lavoro delle donne in tutte le imprese: agricole, artigiane, commerciali o di servizi. Devo sottolineare, però, che per le donne nel mondo agricolo l’impatto è stato particolarmente importante per il peso specifico del loro lavoro nelle produzioni; ma c’è di più e riguarda il contributo all’elaborazione di alcuni principi che la Riforma conteneva.  

Ti riferisci alla genesi del percorso normativo che ha portato all’approvazione della legge?
Il mondo definito ‘contadino’ in modo semplificato e ingiusto, era considerato retrivo. Invece, a differenza dei luoghi comuni, già nel 1964 con Emilio Sereni (un grandissimo dirigente e segretario nazionale dell’Alleanza Contadini) quel mondo aveva elaborato una proposta di legge dal titolo ‘Norme in materia di famiglia coltivatrice diretta’: un testo che è stato giuridicamente considerato la “madre” dell’articolo 230 bis del Codive civile e che, non a caso, fu l’orgoglio del mondo agricolo poiché è dedicato all’impresa famigliare. Infatti la proposta di legge di Sereni proponeva nell’articolo 2 che “I componenti della famiglia coltivatrice diretta partecipano agli utili dell’attività comune in proporzione della quantità e qualità del lavoro prestato da ciascuno di essi...” e all’articolo 3 affermava che “Il lavoro prestato dalla donna è valutato ad ogni effetto alla pari del lavoro maschile. Il lavoro domestico, e il lavoro dedicato dalla donna al piccolo allevamento e ad altre attività extraziendali di interesse comune viene considerato ad ogni effetto come attinente all’esercizio dell’impresa”. Questi principi furono accolti nella Riforma e quindi l’importanza della proposta di Emilio Sereni è stata promotrice di un confronto fra i coltivatori, proprio per la sua carica innovativa. Il lavoro fatto con le coltivatrici fu grande e partecipato. Vide anche importanti confronti fra l’allora Alleanza poi divenuta Confcoltivatori e oggi CIA (Confederazione Italiana Agricoltori) e la Coldiretti, che all’epoca aveva un’amplissima rappresentanza parlamentare. Queste considerazioni per spiegare perché, quando la Riforma fu approvata, le coltivatrici erano consapevoli della loro storia, erano quindi in grado di apprezzarne pienamente l’importanza; e anche di gioire. Io, che oramai ero divenuta un tutt’uno con l’organizzazione agricola sul campo in un territorio davvero significativo per imprese in cui le donne erano parte decisiva, posso affermare che fu davvero uno di quei traguardi apprezzati, conosciuti e riconosciuti in tutte le sue nuove definizioni che davano importanza e dignità alla donna innervando reali principi di parità con l’uomo partendo dalla famiglia. Principi in cui le donne si sono riconosciute in tutto il mondo agricolo tenendo conto anche delle braccianti, che in quegli anni erano spesso lavoratrici provenienti proprio da famiglie agricole cercando la possibilità di un proprio reddito autonomo o aggiuntivo.  

A distanza di cinquant’anni quali considerazioni ti senti di fare rispetto all’impatto della legge 151/75 nell’impresa contadina e, più in generale, nell’agricoltura italiana?
A distanza di cinquant’anni, che ho passato con enorme interesse accanto al mondo agricolo e rurale, proprio ‘sottobraccio alle donne’ ma non solo (passione e interesse da cui non sono andata e non ho intenzione di andare in pensione) non esagero dicendo che la legge 151 ha avuto un forte impatto positivo, analogo a quello del mondo urbano, e comunque molto forte nell’impresa agricola. Un’impresa agricola dove le donne, oggi, sono protagoniste e artefici dell’innovazione Sono menti creative e forti, forse, di quella pluralità di mansioni che l’azienda agricola ha interpretato negli anni dando origine - non a caso - a quell’idea di multifunzionalità dell’agricoltura oramai considerata un concetto assodato e che produce molteplici attività nelle aziende: dall’agriturismo alla scuola in fattoria e tanto d’altro. Tornando alla legge in generale, sarebbe interessante e utile per il suo cinquantesimo compleanno fare una seppur sintetica lista, ripercorrendo tutte le novità che portò, oltre le più rilevanti e significative e riraccontarle, risottolinearle nelle scuole e fra i giovani perché vediamo che uno dei problemi odierni è la mancanza di memoria o il pensare che i diritti che abbiamo siano li da sempre o per naturale maturazione delle cose e non, come invece è stato, per la lotta e l’impegno delle cittadine e cittadini. Questi diritti non sono considerati un bene prezioso che si possono anche perdere; i giovani non pensano che si può anche tornare indietro. Nella mia memoria l’approvazione del Nuovo Diritto di Famiglia fu un momento di gioia, di soddisfazione e di consapevolezza di avere vinto, partecipando, una sfida per la democrazia e per l’emancipazione femminile certificata, appunto, da una legge.
Intervista a cura di Tiziana Bartolini


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