Intervista a Fiorenza Taricone, autrice del "Manuale di pensiero politico e questione femminile" (Aracne)
Un autorevole percorso accademico, quello di Fiorenza Taricone. Ordinaria di Storia delle dottrine politiche e di Pensiero politico e questione femminile, dal luglio 2022 è Rettrice vicaria dell’Università di Cassino e del Lazio meridionale; non a caso nel conferirle la nomina il rettore Marco Dell'Isola l'ha definita "una donna rappresentativa dell'ateneo che ha fatto la storia dell'Università". Da sempre studiosa dei percorsi delle donne osservati dal punto di vista dell'analisi storica, ha di recente dato alle stampe un libro unico nel suo genere: "Manuale di pensiero politico e questione femminile" (Roma, edizioni Aracne, 2022), volume che si pone come strumento a disposizione di chi, rifiutando una rappresentazione monosessuata della Storia della politica, voglia conoscere la pluralità delle voci femminili che, pur avendo contribuito all'avvicendarsi dei fatti, sono ignorate sistematicamente nella storiografia ufficiale.
Prof.ssa Fiorenza Taricone, la genesi del suo manuale è stata piuttosto lunga. Come e perché ha coltivato e sviluppato l'idea di questo volume?
Mi verrebbe da rispondere di getto che la motivazione è simile a quella che ha contribuito alla nascita dei primi collettivi femministi nelle Università; le giovani, se pure presenti fisicamente insieme ai compagni, ascoltavano le parole dei leaders uomini, e li supportavano, quindi sostanzialmente accolte come presenze fantasmatiche; nello studiare il pensiero politico più tradizionale, mi sono ritrovata all’incirca nella stessa situazione, forse simile a quella delle prime maestre ottocentesche che insegnavano un sapere in cui non erano comprese; in realtà questo è stato un secondo grande disagio, perché già nella prima laurea in Filosofia con indirizzo storico, relatore Renzo De Felce, mi ero trovata a studiare un argomento di grande interesse, ma come genere, sempre un’apolide in patria. Nella seconda laurea in Lettere e sempre con indirizzo storico, grazie all’illuminato professore Vittorio Emanuele Giuntella, le cose andarono diversamente; concordammo una tesi dal titolo La condizione della donna nell’Età dei Lumi, da cui trassi il mio primo libro con una coautrice, Susanna Bucci, prefato dallo stesso professore. Parliamo degli inizi anni Ottanta e il passaggio è stato fondamentale, grazie anche all’intersecarsi del femminismo che in altri luoghi ricercava il senso della presenza femminile nella storia, come a Roma al Governo Vecchio; insieme a Colleghe come Beatrice Pisa, con cui dialogo ancora oggi, frequentavamo seminari allora definiti alternativi; un po’ per sete di un sapere non ancora passato al setaccio, un po’ per non sentirci, ‘esclusa dalla storia’, come recitava un famoso libro di Sheila Rowbotham. Dopo poco, approdai alla storia delle dottrine politiche e lì incrociai Ginevra Conti Odorisio, con i suoi studi e la nascita di DWF insieme a Ida Magli. La trama femminile delle pensatrici e scrittrici politiche s’infittiva, ma i termini, in fondo ancora oggi poco usati dal lessico generale, hanno un che di rivendicativo, anche perché lungo il mio percorso accademico non erano pochi quelli che pensavano che le donne non avessero avuto un vero e proprio pensiero politico. Certamente di alcune, anche se non numerose, non si poteva negare l’esistenza, ma non erano degne di essere paragonate ai grandi. Nell’indagare le cause, il diritto all’istruzione portava dritto al massivo analfabetismo femminile, che peraltro era condiviso con la maggior parte degli uomini, ma non bastava a spiegare. Bisognava studiare, studiare, e riportare alla luce, e ricostruire il tessuto femminile che queste eccezioni del loro genere, le cosiddette donne d’eccezione, avevano alle spalle. È iniziato presto quindi per me una sorta di corpo a corpo con le istituzioni, essere dentro senza farsi troppo omologare, ma anche altrove, una sorta di doppia militanza culturale, senza perdere di vista la politica perché il mio approdo al femminismo partiva da lì. Il Manuale di pensiero politico e questione femminile non poteva quindi che essere pubblicato dopo tanti anni di studio, preceduto da un primo Manuale, Elementi di storia delle dottrine politiche (2013), dove avevo cominciato a inserire alcune teste pensanti, ma caro mi è costato perché in sede concorsuale non fu molto apprezzato. Pazienza! Come diceva ironicamente Anna Kuliscioff la pazienza non è la virtù che le donne possiedono insieme agli animali?
Ci parli della cattedra istituita nell'Università di Cassino e del Lazio meridionale dedicata al tema specifico del Pensiero politico e questione femminile. Quando è stata istituita e quali finalità si pone, al di là degli obiettivi accademici immediati?
L’insegnamento è stato attivato da me nel 2005, presso il Polo didattico di Scienze della Comunicazione di Sora, dove ero anche Coordinatrice del Corso di Laurea, e poi trasportato all’Università madre, Cassino, quando il Polo fu chiuso, in seguito ai parametri stabiliti dalla legge di riforma universitaria n. 240, cosiddetta Gelmini; un polo piccolo come quello non poteva obbedire a quei parametri tipici dei grandi Atenei e si è persa così una grande occasione di disseminazione della cultura in luoghi lontani dalle grandi città; un esperimento di democrazia culturale che non ho mai dimenticato. Sono sempre stata convinta che le richieste cosiddette dal basso di insegnamenti come il mio fossero numerose, bastava guardarle; mi sono collegata al territorio, come del resto ho sempre fatto anche a Cassino, organizzato seminari su diverse tematiche nelle iniziative chiamate Primavera culturale e Autunno culturale. Ho assegnato molte tesi, imponendo un linguaggio di genere, abbiamo organizzato con i numerosi nuclei di immigrati/e feste natalizie senza introdurre elementi divisivi, iniziato a parlare nel 2003 delle Mutilazioni genitali femminili; il mio ricordo va ad Adele Cambria e al suo contributo senza peli sulla lingua. Ho avuto nel corso del tempo molte testimonianze scritte dagli studenti che al di là degli elogi alla sottoscritta, analizzano benissimo le aperture mentali e le continue sorprese che venivano dalla disciplina, che è ancora la sola con questa dizione nel sistema universitario italiano.
Dal suo punto di vista, in qualità di docente, pensa che questa sia una strada funzionale ed efficace alla trasmissione alle giovani generazioni della memoria delle lotte delle donne e alla loro comprensione dell'importanza di conoscerne il reale e profondo valore?
Ne sono sempre stata convinta e più che mai oggi, perché dagli anni Novanta il mondo, in questo caso universitario, la trasmissione e la didattica hanno incrociato in modo massivo il web; questo ha segnato un prima e un dopo, in tutti i sensi, per la diffusione di contenuti in modalità diverse, per la registrazione delle lezioni e dei seminari, per la possibilità che lavoratrici e lavoratori seguano Master a distanza, per la velocità planetaria di divulgazione, solo per fare alcuni esempi. Il web in fondo ha dimostrato in modo inequivocabile ciò che penso da sempre e cioè che le donne hanno creato una internazionalizzazione di genere ben prima della globalizzazione e non solo dal punto di vista economico, come fenomeno di mercato. Come ogni trasformazione radicale, ha avuto contraccolpi negativi: l’informazione scambiata per approfondimento, una certa sciatteria nel linguaggio, la distrazione legata all’uso simultaneo di più dispositivi, e soprattutto la sottovalutazione di un nuovo sfruttamento dell’immagine femminile nel web. La conferma della necessità per me della trasmissione si è quindi raddoppiata: più che mai, il contemporaneo si lega alla necessità della storia e i volti delle tante studentesse, ancora oggi basite da ciò che leggono e studiano, me lo confermano, se mai ce ne fosse bisogno. La definitiva tappa di questo insegnamento è cercare e trovare le risorse per un assegno di ricerca destinato a una docente che prosegua quanto fatto. Purtroppo, mi sono sentita dire spesso che trattandosi di una materia umanistica, reperire i fondi è più difficile! Spero che dopo tanti lusinghieri apprezzamenti dalla mia Università si riesca ad andare oltre le parole.
Tornando al Manuale, può spiegarci come è strutturato? Quali figure di donne descrive e in quali chiavi di lettura le propone?
Il libro, che si può definire un coro misto di penne e voci maschili e femminili, apre con il ‘600, quindi con il pensiero contrattualista che segna il passaggio da un ipotetico stato di natura alla società politica variamente disegnata; in questa dottrina che costituisce il supporto teorico al liberalismo e al pensiero democratico, le donne sono escluse dal contratto e, come ha scritto Carole Pateman, sono invece incluse in un contratto sessuale, cioè di soggezione. Ma già al padre del liberalismo inglese John Locke, nonostante l’analfabetismo imperante, rispondeva la scrittrice Mary Astell. Nel testo, quasi per ogni pensatore viene messa in evidenza l’idea che hanno delle capacità, del ruolo e del destino riservati alle donne; accanto alla grandezza del loro pensiero, compare inevitabilmente spesso anche la misoginia che ha caratterizzato la loro produzione. Contrariamente a quanto si pensa anche adesso, non è esatto che le donne siano state ignorate dai pensatori politici; anzi, hanno costituito un ingombro teorico notevole, perché il potere riproduttivo doveva trovare una sistemazione logicamente coerente, operazione che è talvolta riuscita, talvolta no, facendo emergere palesi contraddizioni. Il ‘700, con la rivoluzione americana prima e francese poi, ha conosciuto una presa di parola diretta, una produzione scritta e un protagonismo che hanno ribaltato la condizione femminile. Ma altrettanto interessanti sono i capitoli dedicati al pensiero utopico, in cui cito donne che hanno elaborato teorie, ma anche tentato di realizzare utopie concrete. Militanti, viaggiatrici, ribelli, omologate, laiche e religiose, che sono state anche prodotto di un contesto femminile plurale di cui ancora ci sfuggono i contorni precisi. La loro significatività però è indiscussa e in grado anche di ribaltare i canoni più tradizionali. Flora Tristan, la cui vita è talmente romanzata da sembrare irreale, fonda nel 1844 l’Union ouvrière, anticipando il ben più famoso Manifesto del Partito Comunista di Karl Marx e Friedrich Engels del 1848 con il famoso appello Proletari di tutti i paesi unitevi! Accanto alla didattica, si possono mettere in pratica tante altre cose per una memoria che non vada persa. Al Polo didattico di Sora, tenne una memorabile lezione sulla Resistenza Marisa Ombra; nell’8 marzo del 2013 chiesi e ottenni la laurea honoris causa per Marisa Rodano, l’anno scorso su proposta di una mia Collega Alessandra Sannella, intitolammo un’aula a Nilde Iotti. Del resto, da moltissimi anni, fine anni Ottanta, insieme a un gruppo di studiose più grandi di me cercammo di istituzionalizzare le discipline di genere, ma il Consiglio Universitario Nazionale (CUN), respinse le proposte; sempre in omaggio alla memoria storica ho ricostruito i tentativi in un articolo apparso su Il Paese delle Donne due anni fa; per non disperdere il patrimonio della cosiddetta letteratura grigia, cioè tesi di laurea, abbiamo con Maria Paola Fiorensoli, istituito una sezione apposita nel Premio Il Paese delle Donne cofondato nel 2000. Tutte le pubblicazioni presentate al Premio fanno parte di un fondo omonimo, del Polo umanistico dell’Università di Cassino con lasciti piuttosto rari. Potrei in definitiva dire ‘Eppur si muove’ visto che recentemente ho laureato un ragazzo transgender, che ha fatto della sua discussione un gesto di militanza. Ma anche una giovane donna che ha chiesto una tesi sulle Marocchinate perpetrate nel suo paese, con un atto di coraggio: pubblicare la testimonianza della nonna, con il consenso della madre, uscendo dall’anonimato con il nome e cognome sotto la fotografia.
Osservando il presente dal punto di vista di storica e di femminista, che contributo le sembra arrivi dalle non poche donne assurte ai massimi livelli delle cariche politiche e amministrative tanto in Italia che in Europa?
La scalata è inevitabile; il progresso sarà pure ambiguo e spesso non decifrabile nell’immediato, ma la rivoluzione femminile ha superato molte delle barriere frapposte da un ordine patriarcale. Quello che mi sembra pericoloso è la mancata analisi della misoginia femminile per le altre donne rispetto a quella maschile, analizzata da tempo dai femminismi. Con la sorellanza andata in disuso, sarebbe stato molto utile approfondire i meccanismi di quelle donne che il primo femminismo definiva le femmine dell’uomo, quindi complici e orgogliose dei riconoscimenti che vengono dal mondo maschile proprio in quanto uniche, o poche donne, ad averlo avuto. Quello che manca alle singole donne di successo è un elementare senso di solidarietà, il passaggio consapevole dall’una alle tante; anche all’Università, la mia compresa, le donne che, come ripeto spesso, hanno litigato con il proprio genere fino a non riconoscerne più l’appartenenza, quando scalano i vertici, sono tanto più pericolose, quanto più sono portatrici di una storia che ignorano o volutamente disconoscono. Non credo che le ‘uome’ servano granché, ma bisogna riconoscerne il potere illusorio.
Lascia un Commento