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Il libro di Rosangela Pesenti “Come sono diventata femminista”

Il libro di Rosangela Pesenti “Come sono diventata femminista”

Il racconto ad una giovane nipote di una vita intessuta di scelte nette, tra comunismo e femminismo, in cui pubblico e privato si intrecciano

Mercoledi, 16/12/2020 - A otto anni di distanza dal bellissimo e prezioso “Racconti di case” in cui Rosangela Pesenti parla del linguaggio dell’abitare nelle relazioni tra generi e generazioni, è uscito quest’anno in primavera il suo romanzo “Come sono diventata femminista” (Manni ed).
La prima cosa che mi viene da dire è che la mia è stata una lettura sonora: le parole che man mano leggevo mi arrivavano con la voce di Rosangela, quella stessa udita più e più volte in tanti anni durante le assemblee e i gruppi nazionali dell’Udi. E’ stato cioè come ascoltare ad occhi chiusi un flusso di coscienza travolgente tra racconto di eventi, descrizioni di luoghi e gesti minuti del quotidiano, considerazioni spesso taglienti e una varietà di sentimenti compresi quelli rimasti come grovigli ancora da districare. Faccio questa premessa perché si capisca quanto è stato coinvolgente per me leggere questo libro, un romanzo che non può essere definito una autobiografia poiché l’io narrante è una più anziana signora single - un tempo si sarebbe chiamata signorina o in senso alquanto spregiativo zitella - senza figli, con una casa vicino al mare, dunque non coincidente con la sua autorevole autrice. E’ comunque a mio avviso una figura impastata con la stessa sostanza di colei che la fa vivere sulla carta, per la radicalità, la profondità, l’intelligenza con cui riesce a guardare sé stessa, gli/le altre e i fatti del mondo; per il suo linguaggio limpido, la ricerca puntigliosa e precisa delle parole giuste, il ricorso continuo a metafore come puntelli acuminati o estensioni efficaci del discorso. Il pretesto per il racconto in prima persona di questo personaggio del romanzo è la richiesta pressante di Valentina, una della pronipoti, di poter ascoltare da lei, sua zia adorata, la storia della loro famiglia, ma soprattutto di conoscere più a fondo la vita di questa anziana parente in sospetto di follia per le sue scelte, come ad esempio il suo essere femminista e comunista e, incomprensibile, la decisione di lasciare il paese e le sue nebbie per andare alla sua età a vivere da sola di fronte al mare. La zia in effetti si era trasferita due anni prima nel tentativo di mettere una distanza necessaria da sé e tutto il già accaduto, per questo non vorrebbe ospitare sua nipote che vuole costringerla a tutti i costi a rimettere mano ad un passato che affonda negli anni Cinquanta in una Italia avviata verso l’abbandono delle campagne e una industrializzazione selvaggia che ne trasformerà paesaggi e persone. E succede che, una volta arresasi alle pressioni continue della nipote, in attesa che la giovane arrivi e le rinnovi la sua fame di conoscenza, il suo desiderio di essere anche lei una femminista, l’anziana signora si abbandoni ad una memoria ondivaga, ad un andirivieni di ricordi incastonati nei gesti quotidiani degli incontri, della casa da pulire e del cibo da comprare, cucinare, gustare. Nell’arco temporale di una settimana, scandito giorno dopo giorno a partire dal lunedì, ritornano alla mente figure familiari e non, le dinamiche spesso mute nel piccolo cerchio della cascina, una cultura contadina, i suoi odori, le sensazioni tattili, il rapporto con la natura, gli animali e infine il passaggio verso il benessere: un salto di classe con le sue ipocrisie, il perbenismo che ha il sapore amaro del tradimento. E ancora l’oratorio, la scuola, il sessantotto, il partito, il movimento delle donne, il dolore per le tante guerre, la violenza vista e patita a Genova in occasione del G8 nel 2001.
Commuove la descrizione affettuosa di una Italia che non esiste più, con le sue luci e le sue ombre ma con il senso forte della solidarietà pur nella miseria materiale, spazzata via da un progresso che ha spopolato campagne e incentivato arrampicate sociali nel segno dell’individualismo. E tutto si mescola e si intreccia, passato e presente, personale e politico perché è solo in questo intreccio che è dicibile la pienezza dell’esistenza umana. Tutto è sottoposto ad uno sguardo attento fin dentro le pieghe della storia e delle storie, con chiavi di lettura potenti: da un lato il marxismo, la contraddizione di classe, le insostenibili diseguaglianze sociali, dall’altro il femminismo, la decostruzione sistematica delle strutture materiali e simboliche del patriarcato, il netto rifiuto degli stereotipi che la prepara ad accogliere con gioia un nipote gay col suo ragazzo che ha deciso di accompagnare da lei con la sua macchina Valentina.
Siamo finalmente al settimo giorno, la domenica; stanno per arrivare e lei vuole “incontrare un altro sguardo, tanti altri sguardi, uomo, donna, animali, poter depositare l’onnipotenza e ritirarsi in una parzialità silenziosa”, mettere in ombra il proprio modo di guardare e fidarsi dello ”sguardo di Valentina, competente affettuoso sconosciuto, con la possibilità di vedere oltre il limite che già percepisco da tempo sul fondo della mia strada”. E alla domanda della nipote su cosa è il femminismo intende rispondere che esso “è come una zia. Utile ai processi riproduttivi della vita. Un’azione soccorrevole e mai servile, una visione pragmatica di strade impreviste, il mistero del superfluo che scopriamo necessario”.
Questo in verità somiglia molto al significato che Rosangela Pesenti attribuisce al femminismo e alla trasmissione, scambio di saperi e di esperienze tra generazioni ed è proprio questo che passa intatto nel personaggio del romanzo. Chissà cosa succederà nei giorni a seguire, quali le reazioni di Valentina, le sue emozioni al tocco di una storia individuale e collettiva che la scuola le ha stupidamente e colpevolmente sottratto. Sono sicura che Rosangela presto ce lo farà sapere.

 Rosangela Pesenti ,“Come sono diventata femminista”, Manni, 2020

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