Intervista a Daniela Finocchi, ideatrice nel 2005 del Concorso che segna questo traguardo con un intenso programma di iniziative. 'Oltre gli schemi: la sfida della diversità a scuola' è il primo appuntamento il 29 gennaio
Venti anni per un'iniziativa culturale sono un traguardo non scontato e che, giustamente, vi accingete a sottolineare con molte iniziative. Puoi raccontare a NOIDONNE come nacque l'idea e quali difficoltà avete incontrato in questo percorso?
Se l’emigrazione è solitudine, distacco, rottura, per tutte le donne straniere importante punto di incontro e di scambio rimangono le altre donne. Proprio in quest’ottica si pone il Concorso letterario nazionale Lingua Madre, che esalta il valore della relazione, della condivisione, dello scambio fra donne, incoraggiando la collaborazione nel raccontare e scrivere le proprie storie. La mia formazione femminista mi porta a riconoscermi nell’altra e mi convinse nel 2005 del fatto che era veramente necessario uno spazio dove le donne straniere, migranti, potessero avere la possibilità d’esprimersi direttamente e senza filtri, portando novità nel linguaggio, nell’interpretazione dei fatti, nella rappresentazione dell’immagine femminile. Per gli/le italiani/e rappresentava invece un’opportunità d’ascolto. Allora non esisteva nulla in ambito culturale espressamente dedicato ai migranti, tanto più se donne, e lo proposi a quelli che sono ancora i partner del Concorso, diventò quindi progetto permanente della Regione Piemonte e del Salone Internazionale del Libro di Torino. Sin dal primo anno l’adesione fu altissima e all’ultima edizione hanno partecipato oltre 300 donne e ragazze. Il progetto è cresciuto facendo rete, credo nella relazione e credo nelle donne. Le difficoltà incontrate sono quelle che riguardano tutti i progetti culturali, quali la scarsità di risorse, ma sono ampiamente ripagate dall’entusiasmo, il riconoscimento e la gemmazione - di cui sono spesso artefici le stesse autrici - di iniziative, collaborazioni e nuovi legami che non finiscono di nascere e proporsi. Ecco, quindi, uno spazio di testimonianza e nuovi immaginari, da cui promuovere ideali delle donne quali relazione, cura, amore, attenzione al pianeta e alle sue risorse.
Dal vostro punto di osservazione e di incontro con le donne arrivate da vari paesi, quali cambiamenti avete riscontrato col passare del tempo?
Libertà femminile significa anche costruire un pensiero che si radichi. Troppo spesso nel trattare i temi riguardanti la migrazione - in particolare quella femminile - prevalgono le letture stereotipate, quelle che ci confortano nelle nostre convinzioni (al di fuori delle posizioni razziste, ovviamente). Nella letteratura e nelle rappresentazioni sceniche prevale il “buonismo”: storie edificanti di percorsi migratori di sofferenza, che poi arrivano al riscatto, oppure racconti che insistono sullo sconvolgimento delle famiglie, sul dolore, il distacco, e così via. Ma per quanto riguarda le donne, pur senza negare la difficoltà e la sofferenza di un percorso migratorio, occorre invece guardare al divenire, al progetto (volendo citare Hanna Arendt). Nell’ambito del fenomeno migratorio le donne sono la maggioranza - in un paese come l’Italia, dove i migranti provengono da oltre 200 diversi Paesi, rappresentano quasi il 52 per cento - e sempre di più migrano da sole e come capo famiglia. L’aspetto che maggiormente ci deve interessare è quindi guardare a queste evoluzioni al di fuori delle letture rassicuranti. La cosa più interessante e nuova è che per le donne su questi percorsi migratori si innescano quelle che Cristina Borderias chiama “strategie di libertà”, che sono in grado di portare al cambiamento soprattutto nell’ambito di quelle società arcaiche dove non saranno certo le guerre dei maschi a cambiare le cose. Desiderare è possibile solo nella libertà. Le autrici CLM lo testimoniano, la migrazione non le definisce ma è un approccio inedito alla complessità. Soprattutto per quanto riguarda le giovani - quelle che impropriamente vengono chiamate seconde o terze generazioni, ma noi preferiamo dire “giovani generazioni” - che sono sempre di più a partecipare. Non a caso da qualche anno il sottotitolo delle antologie e del progetto è diventato Racconti di donne non più straniere in Italia, volendo sottolineare con quel “non più” il cambiamento avvenuto negli anni e non solo. Occorre evitare categorizzazioni e procedere con rispetto, facendo anche attenzione a non commettere errori di “appropriazione” e al contempo senza negare le origini. Quindi, per esempio, non “diamo voce” (la voce ce l’hanno chiara e forte!) ma offriamo uno spazio dove poter ascoltare queste voci. Voci assai varie perché tra le autrici c’è chi si avvicina per la prima volta alla scrittura, ma anche chi proprio da questa esperienza inizia poi la sua carriera di scrittrice come nel caso di Cristina Ubah Ali Farah, Gabriella Kuruvilla, Laila Wadia, Claudileia Lemes Dias, Yuleisy Cruz Lezcano e tante altre.
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