Festival di Bioetica. Alcuni focus da un punto di vista di genere
Da lunedì 28 agosto su esseri umani e salute: nuove tecnologie, inizio e fine della vita, etica della cura. Le donne protagoniste dei cambiamenti necessari
Venerdi, 25/08/2017 - Prende il via lunedì 28 agosto la tre giorni del Festival di Bioetica, prima edizione di un appuntamento che si impone all’attenzione nazionale per l’importanza dei temi e per l’approccio: approfondimenti che intrecciano massime competenze ad un intento divulgativo.
È prevista, infatti, la partecipazione di circa 70 tra esperti e studiosi con interventi intorno a tre macro aree osservate in relazione alla salute: l’essere umano, l’ambiente, gli animali.
La prima giornata si svolge lungo l’asse tematico della salute intesa come “bene collettivo e quindi estesa al gruppo, all’ambiente circostante e in generale alla terra come preparazione del futuro” per dirla con Don Paolo Farinella, che - insieme a Marianna Gensabella, Lorenzo De Michieli, Antonio Guerci, Giorgio Macellari, Piero Repetto, Gianmarco Veruggio con la presenza della scienziata Silvia Giordani come coordinatrice - parteciperà all’Agorà (piazza Caprera, ore 21), luogo idealmente inteso (ogni sera) come spazio di sedimentazione delle riflessioni proposte nel corso di ciascuna giornata. (tutti i maeriali e le informazioni)
I tavoli si avvicendano, a partire dalle ore10 nella splendida cornice di Villa Durazzo, spaziando dagli stili di vita al testamento biologico, senza tralasciare la robotica e la biorobotica “le cui applicazioni - anticipa Gianmarco Veruggio, ricercatore CNR - rivoluzioneranno tutti i campi tradizionali del sapere e apriranno problemi nuovi e complessi di natura etica, filosofica, sociale, legale”. Altro campo degli interventi sarà quello della maternità con l’impatto delle nuove tecnologie riproduttive, poiché con la fecondazione in vitro “per la prima volta nella storia dell’umanità, è possibile che una donna partorisca un figlio non suo”, sottolinea Assuntina Morresi (docente universitaria). La donna e lo sguardo di genere ha un ruolo decisivo nella prima giornata del Festival, a partire dalla Medicina di genere che, precisa Valeria Maria Messina “non è la medicina della donna, anche se la maggior inappropiatezza delle cure riguarda il genere femminile”, come è il caso di alcune malattie cutanee, che hanno “valenza completamente diversa in funzione del sesso di appartenenza, basti pensare all’alopecia androgenetica: segno di virilità nell’uomo, elemento di confusione di identità di genere e danno imponente dell’immagine corporea nella donna”, segnala la dermatologa Anna Graziella Burroni.
Lo snodo è, secondo la ginecologa Sandra Morano, nella “sfida della trasformazione dei saperi nelle cure, in un necessario dialogo tra più discipline, con la donna, curante o curata, finalmente al centro”. Si tratta, dunque, di porre in essere radicali modifiche che chiamano in causa, inevitabilmente, il valore e il significato dell’etica della cura, concetti approfonditi da Ivana Carpanelli, dell’Istituto Italiano di Bioetica. “La teoria e la prassi di cura sono sensibili alle condizioni di contesto. Questo produce difficoltà di adattamento ed esigenze di cambiamento sia nei curanti che nei fruitori della cura. La fisionomia attuale dei problemi di salute richiede modalità organizzative nuove, attribuibili alle mutate condizioni demografiche: aumento della cronicità, aumento della richiesta di assistenza socio-sanitaria integrata, derivante dall’invecchiamento della popolazione da una parte e dalla forte immigrazione di persone provenienti da culture diverse, dall’altra. La tecnologia incide sulle modalità di fare diagnosi e di fare cura e spesso implica possibilità che prima non erano contemplate e solleva dilemmi etici. L’intervento sul processo di nascita, qualità di vita e fine vita allarga il campo della nostra libertà e, conseguentemente, quello della nostra responsabilità. Da qui la necessità di rivedere i paradigmi della cura attraverso una visione polioculare e promuovere una nuova cultura basata sulla integrazione tra il modello di medicina e assistenza basati sulle prove di efficacia e quello che intende rispondere a bisogni specifici della persona nella sua unicità. Fondamentali, in questa prospettiva, sono la consapevolezza della propria vulnerabilità, da intendersi come condizione intrinseca dell’essere umano, sano o malato, da cui può scaturire sia la capacità di empatia sia il sentimento di compassione. Ma altrettanto importante nella pratica quotidiana della cura, è un’educazione terapeutica che mira all’acquisizione di competenze necessarie a scelte condivise finalizzate alla ricerca di una ‘buona vita’”. Ed è proprio in questa visione ampia che si colloca il contributo di Claudia Frandi, psicologa clinica e psicoterapeuta, a partire dalla reciproca influenza tra corpo e mente. “Sempre più attenzione, per esempio, viene data nelle diete alla valutazione della parte psicologica che ne influenza il buon e duraturo esito. Con questa premessa dove si posiziona l'etica se non nel doveroso rispetto di queste due parti -mente/corpo- che sappiamo ormai far parte di un unico sistema e quindi mai veramente scomponibili? Veniamo al mondo con un corpo che ci aiuta ad occuparlo e con una mente che ci dà l'opportunità di viverlo. Solo ricordandoci che non possiamo soddisfare solo i bisogni materiali né i bisogni mentali possiamo percorrere quel tappeto rosso che ci potrà condurre alle porte del ben–essere”.
Sono considerazioni che confermano quanto sia decisivo attribuire una centralità alla donna quando si parla di salute, per una serie di connessioni - dirette e indirette - in vari ambiti, da quello organizzativo fino a quello economico. Giovanna Badalassi, economista e ricercatrice esperta di politiche di genere, spiega perché. “Parlare di economia, di donne e di salute può sembrare a prima vista un accostamento di argomenti molto distanti tra di loro. In realtà sperimentiamo ogni giorno nel nostro vissuto quotidiano una relazione continua e costante tra questi argomenti. Le donne hanno un ruolo ancora predominante di caregiver nelle nostre famiglie e rappresentano i principali soggetti erogatori del lavoro di cura per bambini, anziani, mariti, parenti ecc. All’interno del lavoro di cura rientra anche la tutela della salute dei propri cari, che le donne spesso esercitano in virtù di quel ‘ruolo femminile’ ancora oggi definito da un modello educativo familiare molto stereotipato: se la prima cura in termini di ben-essere e di protezione della salute è l’alimentazione, pensiamo al ruolo delle donne nella preparazione dei pasti quotidiani nelle famiglie, per non parlare poi della cura in termini di accudimento, valutazione dei sintomi, erogazione dei farmaci, accompagnamenti dei familiari pressoi vari servizi sanitari ecc. Le donne, inoltre, hanno una propria specificità sia corporea che psicologica, che richiede un’attenzione particolare da parte della Medicina di genere, per riconoscere le differenze tra donne e uomini in termini di sintomi, posologie, dosaggi di farmaci, ecc. Per non parlare poi delle questioni della salute legate alle gravidanze, all’età anziana e al maggior numero di anni di non autosufficienza che caratterizza le donne.
Il connubio donne e salute è quindi molto stretto, e merita di essere approfondito e analizzato nella sua specificità, sia sociale, per quanto riguarda la differenza di ruoli tra donne e uomini nella nostra società, sia sanitario, in merito ad uno sviluppo della ricerca e della pratica medica e farmacologica più attento alle specificità femminili. L’economia in questa prospettiva rappresenta una variabile particolarmente condizionante, secondo differenti punti di vista. È immediato, infatti, riflettere sui costi della sanità, sull’efficacia e l’efficienza delle prestazioni mediche, ma occorre anche valutare bene come le differenze sociali e sanitarie tra donne e uomini possano portare non solo ad un risparmio di spesa ma anche ad una maggiore efficacia ed efficienza dei servizi, riducendo il consumo delle risorse ed indirizzandole ad una cura più mirata e specifica. Ad esempio molti farmaci tarati sul peso medio maschile, sono sovradosati per le donne e potrebbero essere ridotti, con beneficio sia per le pazienti che per i costi, favorire la prevenzione di determinate patologie tumorali femminili consente di intervenire in tempo non solo tutelando meglio la salute delle donne, ma anche ricorrendo a strumenti di cura meno invasivi e, di conseguenza, anche meno costosi. Esiste inoltre una forma di alleanza invisibile tra la capacità di cura delle donne e la capacità di cura del sistema sanitario: è stato infatti dimostrato ad esempio come un buon accudimento degli anziani ne protegge la salute e riduce considerevolmente le patologie degenerative, anche in questo caso ottenendo il doppio beneficio rivolto sia al paziente sia ai costi sanitari. Si tratta solo di alcuni esempi che permettono però di comprendere come questo argomento, ancora affrontato a livello pioneristico in Italia, vada approfondito e studiato in tutte le sue peculiarità e, soprattutto, meriti di essere preso in adeguata considerazione nelle decisioni politiche a tutti i livelli”.
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