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FESTIVAL BIOETICA, MEDICINA DI GENERE: intervista a GIORGIO MACELLARI

FESTIVAL BIOETICA, MEDICINA DI GENERE: intervista a GIORGIO MACELLARI

La Medicina di genere è una modalità di cura che rispetta le differenze tra maschi e femminine, un approccio innovativo che richiede cambi di paradigma

Lunedi, 30/07/2018 - Il professor Giorgio Macellari per circa trenta anni è stato direttore dell’unità operativa di Senologia dell’ospedale di Piacenza e più di recente è entrato a far parte della Breast Unit dell’ospedale San Giuseppe di Milano, centro per la cura e la ricerca sul tumore al seno. “Manuale di etica per il giovane medico”, scritto con Umberto Veronesi, è una tra le sue numerose pubblicazioni.
(Qui tutti i materiali del Festival di Bioetica, edizione 2018)

Con lui affrontiamo il tema della Medicina di genere a partire dalla sua specifica opinione e chiedendogli perché ce n'è bisogno.
Non credo si debba parlare di “avere un’opinione” sulla Medicina di genere, se ci si riferisce a una modalità di cura che rispetti le diversità fra maschi e femmine, cioè il loro modo peculiare di rispondere a trattamenti simili: questa metodologia clinica è un dato acquisito, non un’opinione. Certo, resta molto da fare, soprattutto dal punto di vista culturale: molti medici non sono tuttora preparati a un approccio così innovativo, perché smuove antiche certezze e obbliga a cambi di paradigma ostacolati dall’abitudine e dalla pigrizia. Sotto questo profilo, anche la ricerca si è distinta sin dai suoi esordi come discriminante, essendo basata su una prospettiva prevalentemente androcentrica, disattenta alle diverse modalità di manifestazione, di evoluzione e di risposta alle cure. Per fortuna le cose stanno cambiando anche in questo ampio settore, come dimostra il triplicarsi di studi controllati “genere-specifici” negli ultimi quindici anni. Se però vogliamo essere più precisi, allora bisogna sottolineare che le diversità di cura non esistono solo fra uomini e donne (la donna non è la semplice copia di un uomo, e viceversa), ma anche fra bambini e adulti, adolescenti e anziani, così come tra le varianti sessuali che si aprono a ventaglio fra i due generi, compresa l’asessualità. Più che di una medicina di genere, allora, sarebbe più corretto parlare di una medicina individuale, dedicata. Non tener conto di queste differenze significa aprire la porta a diseguaglianze di salute, sociali, etniche, psicologiche e politiche. È vero che la strada maestra è tutta da tracciare, visto il ritardo formativo nel percorso di Laurea in Medicina. Ma è la direzione verso cui la sensibilità del mondo sanitario, della ricerca e della bio-politica sta andando da almeno vent’anni. Ne sono un esempio le Breast Unit, strutture multidisciplinari pensate apposta per dare risposte a un problema specificamente femminile qual è il tumore al seno (e tuttavia, a voler essere pignoli, qui si potrebbe scorgere uno sbilanciamento opposto, visto che il carcinoma della mammella maschile - per quanto raro - è trattato con le stesse modalità di quello femminile, pur in assenza di sperimentazioni cliniche che ne dimostrino la pari efficacia).

Sulla base degli elementi in suo possesso, quale è la situazione in Italia circa la consapevolezza dell’importanza della Medicina di genere 'diffusa' tra i medici e le resistenze che ancora persistono?

Accanto a medici aperti al nuovo e maggiormente rispettosi delle specificità dell’universo femminile, indubbiamente si registrano ancora ostilità, magari anche solo in forma di resistenza passiva e talvolta alimentate - come dicevo - dall’abitudine e dalla pigrizia. Certo, non siamo più ai tempi in cui l’ostracismo misoginico assumeva proporzioni sconcertanti: Franco Mandelli, l’Oncologo italiano di fama mondiale da poco scomparso, ricordava come il suo maestro prof. Ottaviani - erano gli anni ’60 - si lasciasse andare ad affermazioni davvero infelici quali “le donne non capiscono niente, sono tutte delle cretine” (citata da G. Remuzzi, Corriere della Sera, 22.07.18, pag. 35). Sembrerebbe un millennio fa… Oggi le cose vanno decisamente meglio. E ci si aspettano ulteriori perfezionamenti. Anche in quest’ambito la Senologia ha fatto da apripista, rispondendo alle domande d’attenzione che le donne ponevano - e drammaticamente - sulle sorti dei loro seni. Anche grazie alla sensibilità di Maestri come Umberto Veronesi, l’ascolto alle esigenze di tante donne si è tradotto in azioni concrete per conservarne la femminilità. E sempre la Senologia ha dato impulso alla Medicina della persona, riconducendo la scienza della cura nell’originario alveo ippocratico della concezione antropofilica del medico.

Come si può accrescere la sensibilità dei medici e in generale del personale che opera in sanità?
Non adagiarsi sulle acquisizioni del passato. La medicina è un mondo in veloce evoluzione, bisogna continuare a studiare: ma non in senso nozionistico. Bisogna saper cogliere le rivoluzioni d’epoca, i salti culturali, le esigenze che cambiano. E non spaventarsi se richiedono di rinnovare il proprio sapere e costruire nuove prospettive. Da questo punto di vista credo che un aiuto potrebbe venire dall’introduzione, nel corso di laurea, di momenti che formino almeno ai “fondamentali” dell’approccio filosofico: etica, logica e dialettica - ad esempio - stimolano capacità razionali e argomentative (importantissime per una comunicazione efficace) e in più forniscono ottime guide per affinare le capacità empatico-relazionali, insostituibili nel mestiere del medico. Come ci ricorda l’inestimabile Veronesi, “La semplice verità è questa: bisogna amare la gente per fare il medico”. E non c’è dubbio che se il maschio si sforzasse di imitare la specifica sensibilità femminile nel governare le relazioni umane (senza la pretesa di poterla eguagliare, però), certamente un altro passo in avanti sarebbe possibile. Poi si potrebbe cominciare da una cosa semplice semplice, ma non così scontata. Ogni volta che si affronta il tema in questione, bisognerebbe premettere che con il termine “genere” s’intende qualcosa di più ampio di una banale “differenza”: la quale invece include fattori ambientali, sociali, culturali e relazionali. E che, pertanto, la medicina di genere - meglio, “dedicata” - è attenta non solo alla malattia in quanto tale, ma anche ad alcuni determinanti di salute: in particolare, gli stili di vita (quali alcol, fumo, attività fisica, alimentazione e peso corporeo) e la diversa importanza che hanno nel favorire alcune malattie di genere - cardiovascolari, polmonari, oncologiche, endocrinologiche e neurologiche in primis - più di altre.

Qual è, secondo lei, la percezione da parte delle donne di questo tema?
Difficile dirlo. Prima di tutto perché non dispongo di indagini di settore. E poi perché non è facile, per un maschio, entrare nella profondità del pensiero femminile. Sperando di non prendere un granchio, ho però l’impressione di una certa remissività, da parte delle tante donne che si avviano a una professione sanitaria, o di una loro sottile tendenza a sottovalutare il problema “genere”. Una specie di paradosso, visto che le donne sono dotate di abilità neurobiologiche speciali per eccellere in questo mestiere. Forse è anche per questo che sussistono inaccettabili differenze di riconoscimento economico e di carriera fra uomini e donne, a sfavore di queste ultime.

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