Le riflessioni della prof.ssa Monica Toraldo di Francia
Giovedi, 14/05/2020 - Tra i molti elementi di riflessione suscitati dalla pandemia c’è la paura dell’ignoto, una sensazione sgradevole che ci pone di fronte ai nostri limiti. Abbiamo capito che del virus conosciamo ben poco e che, fin quando la scienza non troverà il vaccino o la cura, possiamo solo provare a difenderci, ma questo significa vivere in una condizione di minorità e di continuo allarme per un nemico invisibile. È qualcosa a cui non eravamo preparati né strutturalmente come società né culturalmente come individui. Ci pensavamo ‘invincibili’ e ‘padroni’ del mondo, ci scopriamo vulnerabili e ospiti del Pianeta insieme ad altri esseri viventi. Insomma questo microscopico virus che ha paralizzato miliardi di persone ci racconta, senza parlare, tutta la nostra fragilità che è un intreccio tra la paura di morire, di perdere il lavoro, di riorganizzare le nostre vite. Verrebbe da dire che non siamo poi così ‘evoluti’ se di fronte all’ignoto siamo atterriti come probabilmente lo erano i nostri progenitori all’alba delle civiltà. Continuando il ciclo di conversazioni filosofiche in collaborazione con l’Istituto Italiano di Bioetica, abbiamo rivolto queste sollecitazioni alla prof.ssa Monica Toraldo di Francia, Università di Firenze e componente del Comitato Nazionale per la Bioetica.
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