Gli umani dipendono dall’organizzazione sociale in cui vivono e lavorano. L’emergenza che stiamo vivendo ci aiuta a comprenderlo. Intervista a Marianna Gensabella
Martedi, 26/05/2020 - La pandemia ci precipita in una percezione di noi stessi in relazione all’altro; una visione che non conoscevamo, o meglio, che avevamo occultato a noi stessi pensando alla sopraffazione come inevitabile modus operandi. Invece gli umani sono per definizione esseri sociali, dipendenti dal prossimo e dall’organizzazione sociale in cui vivono e lavorano. Il lockdown ci è stato imposto, e lo abbiamo accettiamo, in quanto è una forma di autotutela e al tempo stesso di protezione del nostro simile. È una circolarità insita nella comunità di appartenenza che richiede la reciproca cura, un continuo scambio alla pari di cui nessuno può fare a meno. Man mano che i mesi di imposizione del distanziamento sociale scorrono, vediamo quanto siano strettamente connesse le responsabilità individuali e collettive e quanto gli egoismi siano inutili e dannosi. Eppure il seme della discordia ha ripreso a germogliare e quello che era un sentimento di comunità delle prime settimane - pensiamo ai cori sui balconi e allo slogan ‘andrà tutto bene’ - sembra affievolirsi sempre più. In questa conversazione con Marianna Gensabella, professoressa di Filosofia morale dell’Università di Messina, vogliamo soffermarci sul (possibile?) impatto positivo nella società del virus, proprio a partire dalla constatazione che ‘nessuno si salva da solo’, come è stato spesso ripetuto. Questa conversazione è l’ultima del ciclo tenuto nell’ambito della collaborazione tra NOIDONNE e l’Istituto Italiano di Bioetica.
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