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Aglaia McClintock: la Via Appia patrimonio Unesco crocevia di luoghi e popoli diversi

Aglaia McClintock: la Via Appia patrimonio Unesco crocevia di luoghi e popoli diversi

Un percorso iniziato molti anni fa e che grazie anche al contributo divulgativo di Paolo Rumiz segna, oggi, una svolta importante per tutto il Sud. Le iniziative (passate e future) dell'Università del Sannio

Lunedi, 29/07/2024 - Il Comitato del Patrimonio Mondiale, riunito a Nuova Delhi nella 46esima sessione, ha deliberato l’iscrizione della “Via Appia. Regina Viarum” nella Lista del Patrimonio Mondiale che diventa così il 60esimo sito italiano riconosciuto dall’UNESCO.
L’Italia diventa così il Paese al mondo con il maggior numero di siti patrimonio dell’Umanità. Un risultato straordinario, frutto di un imponente lavoro di squadra partito diversi anni fa, quando il Ministero della Cultura era guidato da Dario Franceschini.
Nel progetto sono state coinvolte molteplici istituzioni: 4 Regioni (Lazio, Campania, Puglia e Basilicata), 13 Città metropolitane e Province, 74 Comuni, 14 Parchi, 25 Università, numerosissime rappresentanze delle comunità territoriali, nonché il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra della Santa Sede.
È stato scritto che la partecipazione della città di Benevento è stata fondamentale nella presentazione del dossier. Va sottolineato che Benevento può oggi vantare la doppia stella Unesco, dopo quella del 2011 ottenuta con il sito longobardo di Santa Sofia.
Naturalmente, non si conta il numero degli articoli e delle dichiarazioni istituzionali che celebrano questo riconoscimento e le opportunità ad esso legate che si intravedono all’orizzonte. Noi Donne è felice di presentare un’intervista esclusiva ad una delle docenti più apprezzate dell’Università degli Studi del Sannio, la professoressa AGLAIA MCCLINTOCK, che è stata l’unica a ricordare come un bestseller di Paolo Rumiz, Appia, uscito nel 2016, abbia innescato questo processo virtuoso che ha portato all’attuale riconoscimento dell’Unesco.
Chi è Aglaia McClintock?
Una intellettuale, una ricercatrice, una persona di grande garbo e sensibilità, che ha risposto con entusiasmo alle domande che le abbiamo posto.
Figlia di un padre americano di origine scozzese e di una madre italiana, Aglaia McClintock è una napoletana di adozione sannita. Insegna a Benevento dal 2007 ed ha stabilito con questa città un legame di amicizia, che travalica gli interessi di studio, relativi, soprattutto, ai tanti beni archeologici di cui il Sannio dispone. McClintock attualmente è professore associato in «Diritto romano e diritti dell’antichità» presso il Dipartimento di Diritto, Economia, Management e Metodi Quantitativi dell’Università degli Studi del Sannio.
Dal 2021 è Garante degli studenti Unisannio, la figura che all'interno dell’Ateneo assiste gli studenti nell’esercizio dei propri diritti. Si è interessata, tra l’altro, di antropologia del diritto romano e delle rappresentazioni iconografiche e religiose della Giustizia romana. È anche membro del Comitato Direttivo del Centro interuniversitario di Antropologia del Mondo Antico, Università di Siena dal maggio 2020. È abilitata all’esercizio della Professione forense. È consulente scientifico dell’Accademia di Santa Sofia, un ensemble musicale di grande prestigio nella città di Benevento.
Di seguito l’intervista che la professoressa McClintock ci ha gentilmente rilasciato.

In questi giorni a Benevento e nel Sannio c’è grande fermento per la notizia che la Via Appia è stata inserita nella lista dell’UNESCO come sessantesimo bene patrimonio dell’umanità appartenente all’Italia. Per tutto il Mezzogiorno è un’ottima notizia in quanto attrattore turistico-culturale e foriero, dunque, di sviluppi economici importanti. Tuttavia, l’unica persona che ha sottolineato l’importanza di creare una narrazione che valorizzi i luoghi è stata lei, quando ha ricordato che il primo a parlare della Via Appia ed a farla conoscere al mondo è stato lo scrittore Paolo Rumiz. In tal modo, lei evidenzia il ruolo degli intellettuali a livello politico e sociale.

La ringrazio per la domanda. La narrazione è ciò che ha permesso l’inizio dell’iter per il riconoscimento Unesco. Prima che Paolo Rumiz nel 2015, quasi un decennio or sono, intraprendesse il viaggio a piedi da Roma a Brindisi passando per luoghi spesso dimenticati dell’entroterra, vi erano già tante persone che studiavano la strada o vi erano semplici cittadini che ne custodivano la memoria e le pietre. Ma nessuno era stato in grado di intercettare l’interesse del grande pubblico verso questo monumento particolare che non si esaurisce né in un solo luogo né in un solo tempo. Paolo Rumiz è riuscito a ridare una voce alla Via Appia, anzi ha costruito una narrazione che ha restituito tessuto connettivo alle comunità interessate e donato senso ai singoli monumenti. Il suo viaggio documentato poi nel bestseller Appia (Milano 2016) tradotto in numerose lingue ha messo la strada sotto gli occhi del mondo. Credo che Lei abbia proprio toccato un nodo centrale con la sua domanda. Sarà solo una narrazione in grado di comunicare la Via con tutti i suoi imprevisti, storie, bellezze, brutture che potrà determinare il successo o meno di eventuali progetti economici e turistici di valorizzazione del territorio. Altrimenti, come in tanti altri casi essi resteranno lettera morta. Non si può pensare che la strada diventi immediatamente attrattore per il solo riconoscimento Unesco. Gli intellettuali e gli studiosi devono giocare il loro ruolo nel far comprendere e apprezzare questo ‘monumento’ stratificato nel corso dei secoli, che non è un edificio, ma una arteria di congiunzione tra luoghi e popoli diversi ed è dunque l’esatto contrario dei muri di divisione.

Quale è stato il ruolo dell’ex ministro Franceschini nello sviluppo di questo progetto?
Il ministro Franceschini inaugurò subito dopo l’uscita di Appia la prima mostra fotografica, documentaria e multimediale L’Appia ritrovata. In cammino da Roma a Brindisi curata dai compagni di viaggio di Paolo Rumiz: Irene Zambon e Riccardo Carnovalini. Fu poi messo in cantiere dal Ministero un progetto di valorizzazione della Via Appia che non vide mai la luce. L’allora Ministro Franceschini promosse alcuni anni dopo, se non sbaglio nel 2019, la candidatura della Via Appia a Patrimonio Unesco. Sono moltissime le professionalità che hanno contribuito a questo risultato in cui, insisto, non va dimenticata l’immensa spinta data da Paolo Rumiz soprattutto nel restituire dignità e coscienza della propria storia a tante piccole realtà.

Immagino che a seguito di questo riconoscimento l’Università del Sannio, e segnatamente il dipartimento di Diritto, con la presenza di una cattedra di Diritto romano, attiverà iniziative legate alla Regina Viarum. Sono previsti momenti culturali e di alta ricerca, quali colloqui internazionali, mostre, partenariati, corsi di formazione o altro?
L’Ateneo con mezzi propri è attivo sin dal 2015 sul versante scientifico. Personalmente ho avuto il privilegio di svolgere alcune ricerche durante la stesura di Appia. Abbiamo presentato con Felice Casucci, oggi assessore al Turismo della regione Campania, il romanzo a Benevento alla sua uscita. Le iniziative che sono scaturite dal libro sono state numerosissime. Nel 2017 siamo tornati con Paolo Rumiz al Ponte Appiano di cui nel libro era denunciato l’abbandono, per una serata organizzata dal collega Giuseppe Mastrominico. Lo scrittore ritornò quella sera nell’area ripulita e illuminata grazie alla collaborazione tra i Comuni di Calvi, Venticano, San Giorgio del Sannio, Ceppaloni e Apollosa che condividono il tratto sannitico-irpino della via Appia. Sono sorte associazioni di camminatori. I cittadini hanno scelto e ripulito tratti su cui camminare e andare in bicicletta. Ma soprattutto negli anni abbiamo iniziato a guardare con occhi nuovi il territorio. Per fare qualche esempio: da parte mia mi sono concentrata sulla figura di Appio Claudio Cieco e sull’Arco di Traiano; il collega Celestino Grifa del Dipartimento di Scienze e Tecnologie ha analizzato i geomateriali naturali e artificiali utilizzati per la costruzione della Via Appia e dell’Arco. I nostri docenti sono impegnati in attività di divulgazione nei numerosi festival organizzati sul territorio. Inoltre l’Ateneo ha costituito un gruppo di ricerca multidisciplinare Appia: la polvere e la storia che coinvolge i nostri tre dipartimenti e studiosi di altri istituti nazionali e internazionali. Il prossimo appuntamento aperto al pubblico sarà a FuturoRemoto nella tappa beneventana del 22 novembre.

Lei ha un profondo legame con il Sannio, di cui si sente cittadina adottiva ed al quale ha dedicato molte energie in termini di studi e ricerche. Ci può parlare della sua prossima pubblicazione riguardante l’Arco di Traiano? Mi incuriosisce in modo particolare il dettaglio della dea Nemesi che lei ha identificato su entrambe le chiavi di volta del maestoso Arco.
Sì, si tratta di un legame molto profondo che si è rinsaldato negli anni con lo studio e grazie all’amicizia di intellettuali straordinari. In autunno uscirà un mio studio sull’Arco di Traiano edito dalla casa editrice romana Mauvais Livres che grazie alle 27 magnifiche Tavole di Gaetano Cantone, artista e architetto poliedrico, è anche un libro d’arte. I disegni di Gaetano permettono di vedere e di capire la storia scolpita sul monumento e non solo di ammirarla passivamente. Ancora una volta torniamo sul problema della narrazione. Il libro è ambientato nel 117 d.C., l’anno della morte di Traiano, in cui l’impero romano raggiunse la sua massima estensione territoriale. La Via Appia fa parte del lavoro perché aiuta a comprendere la strategia militare, politica e culturale di Roma. L’importante rete viaria realizzata dai Romani era stata uno dei motori dell’espansione. Nel viaggio da e verso Roma cittadini e stranieri attraversavano Benevento che rappresentava uno snodo importante tra Oriente e Occidente. Caratterizzavano la città due monumenti di straordinaria bellezza: uno fra i più imponenti templi di Iside, ristrutturato da Domiziano, l’imperatore dispotico, e l’Arco dedicato a Traiano, l’optimus princeps. Questo libro parte dai due sovrani, Domiziano e Traiano, e dalle divinità scelte per rappresentarli: l’egiziana Iside, dea della rigenerazione e la greca Nemesi dea della giustizia di cui mi chiedeva. È proprio identificando sulle chiavi di volta dell’Arco la dea Nemesi che Traiano aveva già onorato sulla monetazione ma anche nella città che aveva costruito in Romania che sono riuscita a trovare il bandolo della matassa per leggere l’Arco come se fosse un libro di pietra. Le scene dei pannelli in sequenza ordinata descrivono le gesta di un uomo di cui conosciamo più le azioni e i meriti che la personalità. Per bizzarria della storia o forse per calcolo, non possediamo né una biografia, né uno scritto di Traiano, ma solo encomi così eccessivi da apparire fuorvianti. A mio avviso la narrazione scolpita sull’Arco ha un respiro universale che parla a tutti i popoli e svelerà non poche sorprese oltre all’identificazione della dea Nemesi. La divinità greca della Giustizia imperiale si rivolgeva ai Romani ma anche agli stranieri ed è il filo rosso che unisce tutte le virtù e le imprese raffigurate sull’Arco. Solo un sovrano giusto poteva unificare il mondo conosciuto essendo lui stesso sottoposto alla Giustizia.


Vorrei, infine, che ci parlasse anche del suo impegno come consulente scientifico dell’Accademia di Santa Sofia e, dunque, del suo amore per le arti e per la musica che, immagino, provenga dalle sue origini partenopee.

In verità è un amore che ho ereditato dal papà americano che suona la chitarra classica e ha interessi musicali eclettici. Insieme al nostro Rettore, Gerardo Canfora, al Presidente dell’Accademia, Salvatore Palladino, alla Direttrice artistica, Marcella Parziale e al Coordinatore generale, Vittorio Iollo, abbiamo ideato un progetto di terza missione convinti che il lavoro di alta divulgazione debba affrontare temi complessi del nostro presente, passato e futuro senza fare alcun tipo di sconto alla semplificazione. L’alta divulgazione non può essere infatti affidata solo a comunicatori professionisti e riteniamo che non vi sia privilegio più grande che ascoltare i punti di vista, i dubbi, le soluzioni degli studiosi schierati in prima linea nella ricerca scientifica. Abbiamo quindi pensato di far precedere a ogni concerto dell’Accademia un breve intervento di un docente dell’Ateneo, per far interagire ricerca e musica. La programmazione dell’Accademia è ormai la colonna sonora dell’Università del Sannio.

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