... Erano gli anni ‘90, io lavoravo a Roma e facevo la pendolare. All’epoca mia figlia Chiara ed io abitavamo a Terracina ...
Giorni fa, a distanza di 35 anni, Chiara mi ha detto qualcosa che mi ha lasciato esterrefatta.
Mamma, quando stavamo a Terracina, una volta ho chiuso a chiave nonna dentro casa.
- Ma quando?
- Quando tu lavoravi a Roma.
- E perché?
- Perché volevo venire a Roma da te.
- E come volevi venirci a Roma?
- Con l’autobus.
- Con l’autobus?
- Si.
- E sei riuscita a prendere l’autobus per Roma?!
- No, perché nonna Angiola mi diceva Apri! e poi mi ha detto che dovevo aspettare perché tu la sera tornavi per portarmi a fare la passeggiata e per aiutarmi a fare i compiti, ma io non volevo aspettare.
- Ma quanti anni avevi?
- Sette.
- Ma dovevi aspettare solo un giorno, io sarei arrivata come sempre.
- Si, ma io volevo stare sempre con te.
- E sapevi che per venire a Roma dovevi prendere l’autobus?
- Si, perché Roma è lontana da Terracina.
- E che cosa avresti fatto se avessi preso l’autobus? Andavi a cercare Marina per Roma? - non mi sono potuta trattenere.
- Sì, però era difficile.
… e menomale che non prese l’autobus, che si fece convincere ad aprire la porta, che capì che era difficile! Aiuto!
Erano gli anni ‘90, io lavoravo a Roma e facevo la pendolare. All’epoca mia figlia Chiara ed io abitavamo a Terracina, dove vivevano anche mia nonna e mia zia (al piano di sopra), le quali mi davano una mano. In caso contrario, non avrei potuto lavorare. Infatti, quando loro non mi hanno più potuto sostenere in tal senso io ho dovuto lasciare il lavoro, come capita a tutti i genitori che decidono di volersi prendere cura dei loro cari, i cosiddetti caregiver.
Terracina dista da Roma più di 100 km e per arrivare puntuale al lavoro a Roma uscivo alle 4:30, la maggioranza delle volte in macchina e in alcuni periodi anche in treno, ma quest’ultimo mezzo di trasporto era veramente faticoso perché arrivavo la sera a casa alle 22:30. Tre notti a settimana mi fermavo a dormire da mia madre a Roma, ricoprendo io un incarico di responsabilità in una multinazionale del fresco, per il resto della settimana facevo avanti indietro, dormendo a casa nostra a Terracina il martedì, il venerdì, il sabato e la domenica sera. In altre parole, facevo i salti mortali per lavorare e stare il più possibile con Chiara.
Mia nonna e mia zia, con le quali ho vissuto sin dalla mia nascita, del fatto che Chiara volesse prendere l’autobus per venire a Roma da me non mi dissero nulla, immagino per non scoraggiarmi. Hanno provato in tutti modi ad aiutarmi con Chiara, la quale aveva un autismo severo e incontenibile, anche nascondendomi tante loro difficoltà quotidiane a gestire i rapporti con la scuola e con il trasporto e con i servizi. Tacevano su tante cose con l’unico scopo di permettermi di potere anche io avere un posto nel mondo, nonostante i tempi non fossero ancora socialmente maturi perché un genitore con un figlio con una disabilità, specie se donna, potesse ancora sperare di avere una vita propria dal punto vista sociale, affettivo e soprattutto la dignità di un’autonomia economica.
La cosa brutta è che il tempo trascorso da allora, oltre trent’anni, nonostante le leggi di civiltà intercorse in materia di disabilità, non è servito alla società per maturare in questo senso. Siamo indietro culturalmente e umanamente: barriere architettoniche e culturali impediscono persone con disabilità e i loro caregiver ad avere ciascuno la propria vita. In ultima analisi, permane ad oggi tra tanti caregiver familiari e persona con disabilità (intesa come non autosufficienza), un rapporto di dipendenza praticamente impossibile da recidere, ciò perché molti di questi nuclei sono monoparentali: finché morte non ci separi.
Testo del 20 novembre 2023 di Marina Morelli tratto dal suo blog La penisola incantata
Lascia un Commento