Corpus normativo, vecchi e nuovi reati, formazione degli operatori di giustizia: con la magistrata Paola Di Nicola Travaglini tracciamo un bilancio che mette in conto la pervasività di una cultura patriarcale ancora molto radicata
“Il sistema giuridico italiano nel contrasto alla violenza contro le donne e alla violenza domestica è tra i più potenti e più efficaci a livello internazionale perché l'Italia, a partire dalla ratifica della Convenzione di Istanbul poi implementata con moltissime norme di livello sostanziale e processuale, ha individuato come prioritaria la sicurezza delle vittime di violenza”. Così prende avvio la nostra conversazione con Paola Di Nicola Travaglini, magistrata della Corte Suprema di Cassazione, sul tema della violenza contro le donne dal punto di vista giuridico. Conversazione che continua con molte e utili notazioni. “La Convenzione di Istanbul ha rappresentato un potente strumento di cambiamento anche interpretativo perché ha messo al centro le donne in quanto donne. Se osserviamo che la parola donna nel nostro ordinamento penale non è mai esistita, possiamo ritenere un passaggio importantissimo la capacità finalmente da parte della magistratura, dell'avvocatura, delle forze di polizia – cioè di tutto il contesto istituzionale - di nominare le donne e di vedere che hanno dei diritti autonomi, quindi diversi rispetto a quelli di qualsiasi altro soggetto. Questo ha reso il nostro sistema più potente e sarà ulteriormente rafforzato dal DDL sul femminicidio”.
Come si traduce, nella realtà, l’applicazione di leggi così ben strutturate?
“L'interpretazione richiede cultura e sistemi simbolici, richiede un retroterra di valori e soprattutto la capacità di comprendere che esiste una discriminazione millenaria: quella degli uomini nei confronti delle donne, come segnala anche il preambolo della Convenzione di Istanbul. Ma l'applicazione di una norma non è mai automatica e richiede valutazioni discrezionali rispetto alla rappresentazione dei fatti, che è differente a seconda dei diversi soggetti, ciascuno portatore di propri stereotipi e di propri pregiudizi che modificano il racconto di quanto è accaduto.
Per dare attuazione piena a questo apparato normativo occorrono giudici, pubblici ministeri e avvocati formati e specializzati, soprattutto nel riconoscere che esistono stereotipi e pregiudizi che impediscono alle donne l'accesso alla giustizia”.
Lei è in Magistratura da oltre 30 anni: vede cambiamenti su questo tema?
“Assolutamente sì, se solo consideriamo che fino a dieci anni fa di violenza maschile contro le donne non si parlava. Non si poteva neanche menzionare l'esistenza di stereotipi e pregiudizi giudiziari che mettono in crisi la capacità, la formazione e l'imparzialità dell'apparato giudiziario. Quindi stiamo parlando di una vera e propria rivoluzione copernicana che è avvenuta nell'ambito giuridico e giudiziario perché il Paese è andato avanti, perché abbiamo avuto movimenti sociali e culturali potenti che hanno consentito di dare e di avere uno sguardo differente sul diritto. Un processo cui ha contribuito anche l’ingresso di tante donne nell’Università e in Magistratura. Per esempio la parola femminicidio non era pronunciabile fino a tre anni fa ed è stato importante il contributo delle Commissioni parlamentari, che hanno elaborato e approvato all'unanimità le relazioni”.
A proposito di femminicidio, è in discussione in Parlamento l’istituzione di un reato specifico. A questo proposito qual è la sua opinione?
“Sono profondamente convinta che sia indispensabile approvare rapidamente e all'unanimità la legge e che nel Codice penale sia inserita la definizione del femminicidio quale apice di violenze atroci sviluppate dal punto di vista fisico, morale, psicologico, economico e informatico nei confronti di una donna. È un delitto che ha una connotazione propria e che come l'associazione di tipo mafioso, per fare un’analogia che può sembrare forte ma che fa capire il senso di quello che intendo, fino a che non è stato approvato il 416 bis (cioè l'articolo che definisce in otto commi cos'è la mafia e l'intimidazione mafiosa, dando nuove parole alla magistratura, all'avvocatura, alla società civile) la parola mafia non veniva pronunciata. E quando non si pronuncia la parola, non esistono le categorie di pensiero per decrittare quel fenomeno e tutto ciò che si muove dietro ad esso. Per questo abbiamo bisogno che nel Codice penale venga inserita la matrice discriminatoria e culturale che porta un uomo ad uccidere una donna in quanto donna. Saremo leader in Europa e nel mondo Occidentale a prevedere questo reato dove, al di là dei paesi centro e sudamericani, la parola femminicidio appartiene soltanto alla sociologia e al giornalismo. Abbiamo bisogno che siano la magistratura e le istituzioni a misurarsi su un delitto che non ha nulla a che vedere con i sentimenti, con l'amore, con le frustrazioni, con la psicologia o con deliri di carattere psichiatrico ma che, invece, è un’espressione estrema di potere in cui un uomo uccide una donna perché ha esercitato un suo diritto di libertà”.
Altro tema di cui si discute in questo periodo è la necessità di normare il consenso, come proposto dalla Presidente Laura Boldrini. Che ne pensa?
“È una proposta che sta facendo discutere il Parlamento con un interesse davvero serio. Il consenso di una donna è il presupposto per stabilire se un atto sessuale può essere qualificato violenza o meno, quindi la straordinaria novità di carattere giuridico e culturale di questa proposta è quella di ruotare intorno al consenso della persona offesa come la Corte di Cassazione, ormai dieci anni or sono, ha qualificato il delitto di violenza sessuale o di qualsiasi atto sessuale che è compiuto senza il consenso di una donna. È un’interpretazione a cui si è arrivati grazie alle fonti sovranazionali ma che, purtroppo, non vediamo adeguatamente applicata nei Tribunali e nelle Corti d'Appello perché c'è una difficoltà interpretativa a capire che un atto sessuale richiede necessariamente l'autonomia, l'indipendenza, la libertà, la consapevolezza della donna che vi si trova quale destinataria. La Francia ha appena approvato la legge sul consenso, definita di Gisèle Pelicot, dopo un processo in cui è stato dimostrato che quella donna non aveva prestato il consenso; è stata l’occasione per ragionare su quali siano le modalità del consenso e va detto che quella legge segue, in sostanza, le direttive interpretative che ha dato la Corte di Cassazione italiana da più di dieci anni. Quindi abbiamo bisogno che il Codice penale si doti di una norma che sia al passo con le fonti sovranazionali e con i diritti delle vittime, perché non indicare la parola consenso come la parola cruciale di questo delitto vuol dire continuare ad avere il bias cognitivo, il cosiddetto mito dello stupro secondo il quale una donna comunque se l'è cercata, si è messa in una condizione di provocare l'autore di quella violenza e quindi la sua parola deve regredire rispetto al diritto all'accesso al corpo femminile da parte degli autori. Sul piano normativo e culturale occorre stabilire quali sono le connotazioni del consenso, che deve essere libero, chiaro, univoco e deve poter essere ritrattabile in qualsiasi momento. Si ha paura di dare la parola alle vittime perché cercare il loro consenso, anche silenzioso o anche assente o anche ritrattato, vuol dire ascoltare diversamente e invertire i termini di quel racconto”.
Stando alla cronaca c’è il tema dell’assunzione di droghe …
“Ad oggi un delitto di violenza sessuale consumato con l'assunzione di droghe o alcol è un’aggravante perché non consente mai, come dice il Codice penale, di esprimere un consenso libero”.
Sono molte le violenze che hanno a che fare con la dimensione virtuale. Gli strumenti a diposizione degli investigatori e della giustizia sono adeguati?
“Le nuove tecnologie sono fondamentali per contrastare la violenza maschile contro le donne e dobbiamo distinguere due diversi fenomeni. Da un lato le violenze esercitate attraverso gli strumenti informatici, rispetto ai quali non abbiamo strumenti particolarmente potenti perché, pur vantando una delle polizie postali tra le più competenti del mondo, non abbiamo risorse adeguate a garantire un monitoraggio continuo. L’investimento è necessario anche perché sono reati che andranno sempre di più ad aumentare e a raffinarsi nelle loro modalità. Quindi la risposta è che ad oggi non abbiamo strumenti adeguati anche perché le grandi piattaforme, come ben sappiamo, non aiutano nel contrasto e nella prevenzione. Inoltre, non essendo nella diretta disponibilità delle istituzioni italiane, il procedimento per bloccare siti o per individuare gli autori di questi delitti è particolarmente complesso. Circa il braccialetto elettronico posso dire che è uno strumento di grandissima capacità anche preventiva dell'offensività, purché venga correttamente spiegato il funzionamento all'autore e alla vittima. In sostanza è uno strumento importante se ben utilizzato. Siamo il primo Paese in Europa ad applicarli in via obbligatoria e per mettere a punto il sistema il Ministero degli Interni sta incrementando il numero dei dispositivi e sta migliorando le tecnologie. Considerata l’efficacia dissuasiva, che tranquillizza molto le vittime, è necessario che chi applica il braccialetto elettronico, cioè l’impresa che ha l'appalto, spieghi il funzionamento e dia tutte le informazioni necessarie all'autore e alla vittima su come deve essere utilizzato. Poi, certo, va osservato anche che il braccialetto elettronico non è l'unico strumento attraverso il quale si evita il rischio di prosecuzione delle violenze e che si può applicare solo quando il livello di pericolosità di quell'autore è basso. Altrimenti, in base a una serie di indici definiti, bisogna ricorrere ad altri provvedimenti. Ecco che torna il tema della formazione di tutti gli operatori circa la valutazione del rischio”.
In questo periodo abbiamo visto che anche l’Intelligenza Artificiale può diventare strumento di violenza contro le donne…
“Anche le modifiche dei corpi sono forme di violenza: è importante sapere che c’è un delitto anche quando il corpo di una donna viene costruito e strutturato dall'AI. A prescindere dal fatto che non sia il corpo a cui corrisponde quel viso, siamo di fronte a una modalità di violenza che risponde al norme del Codice penale. Tra l’altro questo alimenta e rafforza gli stereotipi che già invadono la rete”.
I movimenti femministi sostengono che il contrasto alle violenze contro le donne richiede un lavoro profondo, che scardini la cultura patriarcale. Come giurista concorda con questo approccio?
“Questa è la strada, perché gli autori di delitti di violenza maschile contro le donne - che è un tipo di violenza assolutamente specifica e autonoma rispetto a altre violenze domestiche, per fare un esempio penso alla violenza esercitata dei figli nei confronti dei genitori anziani per acquistare la droga - è mossa esclusivamente dall'esercizio del potere di quell'uomo nei confronti di quella donna alla quale non si riconosce in maniera assoluta dignità, autonomia, libertà. Questo ce l'ha detto la Commissione parlamentare sul femminicidio della precedente legislatura nelle sue 12 relazioni approvate all'unanimità, in cui gli oltre 211 femminicidi studiati mostrano che gli autori non avevano alcuna consapevolezza che quel delitto fosse tale. Come si evince dalle carte, sono gli unici reati in cui gli autori si consegnano direttamente alle forze di polizia, gli unici in cui rivendicano in maniera pubblica quanto è accaduto. Questo accade esattamente perché si tratta di un delitto la cui matrice è esclusivamente culturale: non è mossa da bisogni, da strategie, da sentimenti. È mossa esclusivamente dall'affermazione di un potere che in nessun modo può essere messo in discussione da quella donna attraverso la sua autonomia, intelligenza, competenza: con una libertà che mette in crisi quel potere. Il femminicidio si distingue da qualsiasi altro delitto perché gli uomini non vengono uccisi sulla base di queste ragioni”.
Questo articolo è parte del progetto ‘Pratiche di cittadinanza in dialogo con il futuro’ dell’Associazione NOIDONNE TrePuntoZero sostenuto con i fondi dell'8xMille della Chiesa Valdese. Tutti i materiali del progetto sono raccolti qui
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