Si parla di educazione all'effettività, ma non basta se vogliamo una scuola libera dalla sua profonda misoginia a partire dal linguaggio, dai libri di testo, dai programmi, dalla formazione professionale
Sabato, 23/11/2024 - Continuano stupri e femminicidi, cioè l’uccisione di donne per mano maschile a causa unicamente del loro essere donne.
Di fronte ad episodi frequenti e sempre più cruenti anche tra minorenni, si rinnova ogni volta il dolore, sempre lo stesso, intenso, disperato, inaccettabile.
Un urto dentro che deflagra: da un lato le violenze degli uomini che si ripetono e dall’altro una storia lunga di lotte e di saperi di donne libere dalla cultura patriarcale, una storia di liberazione per tutte e tutti che però non riesce a diventare trasmissione, tradizione, potente senso comune.
Il patriarcato non è più credibile da decenni, costretto a fare i conti con una crescente presenza di eccellenze femminili che ogni giorno lo smentiscono fragorosamente. Ma certamente non è morto, come ancora troppi sostengono.
A monte del comportamento violento, stretto tra le resistenze maschili al cambiamento e le trappole in cui noi donne continuiamo a cadere, restano poco nominate alcune profonde radici.
Torna perciò la domanda: dove nasce oggi la presunzione maschile di valere più delle donne tanto da arrivare a considerarle proprietà privata, oggetto da utilizzare a piacimento? E, di rimando, dove ha origine l’automortificazione femminile che porta a delegittimare il proprio desiderio di libertà e di felicità a vantaggio degli uomini? Dobbiamo continuare a porci queste domande, evitando però rimandi generici al patriarcato, diventato non di rado ostaggio di una inconsapevole e colpevole ignoranza, nonostante la mole di libri, video, film, convegni, comunicati, manifestazioni che noi donne continuiamo a produrre per mostrarlo e denunciarlo.
Ogni volta che ci si trova di fronte ad episodi di violenza maschile si ammette da più parti che è un fenomeno culturale, ma senza specificarne i contorni e puntando esclusivamente su punizione e repressione. Si parla di amore tossico, un ossimoro (se è tossico non è amore) che, come i riferimenti unicamente alla gelosia e al raptus, genera solo confusioni.
Poco ci si sofferma sulla prevenzione, illuminando le zone più opache, in particolare quelle che si annidano nel processo di crescita e su cui invece val la pena soffermarsi. Si cresce, si diventa adulte, adulti all’interno di una tradizione, una trasmissione di saperi, di figure e di regole a cui uniformarsi per essere accettate/i. Ogni comunità ha i suoi riti e i suoi miti, ma quello che ovunque ancora oggi resta pressoché identico, nonostante cambiamenti più o meno radicali, è la radice patriarcale del percorso di soggettivazione e individuazione di sé di ciascuno e ciascuna. Si diventa bambino e bambina, ragazzo e ragazza grazie alle esperienze all’interno della famiglia, nelle relazioni sociali e nei percorsi di apprendimento offerti dalle agenzie educative, la scuola innanzitutto.
La famiglia, spesso disgregata e alla ricerca di alternative valide al modello patriarcale, vive una fase di transizione: da un lato l’evaporazione del ‘padre-padrone’, dall’altro l’improponibilità della figura della ‘madre oblativa’ costretta tra lavoro pagato e responsabilità di cura. I modelli identitari tradizionali sono in buona parte saltati, i nuovi ancora in via di definizione e sperimentazione. Il contesto sociale, sempre più multietnico e complesso, sottrae soggettività e libertà a tutte e tutti, dominato come è da un neoliberismo di derivazione patriarcale con al centro da un lato il denaro, il consumo, l’apparire, la competizione e il successo come valori irrinunciabili e dall’altro l’uso e abuso di nuove tecnologie comunicative che tendono a sostituirsi alla realtà e alle relazioni in presenza.
Sono proprio le persone più fragili a pagare i costi più alti: solitudine anche dentro le mura domestiche, attacchi di ansia, aggressività, autolesionismo fino al consumo di droga e al suicidio. Un panorama preoccupante e carico di residui vistosi di patriarcato è il difficile contesto nel quale la scuola si trova oggi ad operare. Al fine di individuare se ci siano anche nella scuola incentivi palesi o occulti che possano alimentare la violenza maschile, è necessario andare a vedere quali modelli essa offre, quali strumenti di individuazione consente e cosa resta dell’impianto patriarcale del passato nella trasmissione del sapere attraverso i libri di testo, i programmi, la didattica.
La prima cosa che salta agli occhi è il fatto che il corpo sessuato nei suoi intrecci con le emozioni e l’affettività, cioè il vissuto personale, resta in ombra, sottovalutato nelle sue componenti emotive ed affettive, proprio quelle che potrebbero appassionare e stimolare di più il desiderio di conoscere e conoscersi. La scuola così perde molto del suo potenziale educativo. Questo sta finalmente venendo alla luce per cui, come contrasto alla violenza maschile, si propone da più parti una educazione specifica (un’ora a settimana?) alla affettività e ai sentimenti, quasi fosse un’appendice al programma. Ma c’è chi come me sostiene da tempo che questo tipo di intervento educativo dovrebbe essere parte integrante di ogni disciplina di studio, dunque competenza di ciascun docente opportunamente formato: così come è previsto per la scuola primaria, chi sceglie l’insegnamento come professione deve conoscere e prendersi cura anche delle dinamiche psicologiche che si attivano nella relazione pedagogica, perché di relazione si tratta.
Va sottolineato inoltre un altro aspetto importante che poco emerge nella sua giusta rilevanza: nel percorso storico e nella cultura letteraria e scientifica proposti dalla scuola non esiste se non in posizione marginale la presenza delle donne. Dunque non viene mostrata una genealogia femminile in grado di consentire alle giovani una individuazione di sé come soggetti di valore e nello stesso tempo capace di dire ai ragazzi la verità sulla loro presunzione di superiorità e sulla loro attitudine alla violenza. Il messaggio che passa in modo implicito è che le femmine sono irrilevanti, dunque inferiori per cui molti maschi anche tra i banchi si sentono legittimati a dominarle, insultarle, mortificarle, molestarle. Una bambina che non trova traccia di sé, delle sue simili in tutto ciò che le viene insegnato, quale forza troverà dentro di sé per difendersi? Basterà il fatto che oggi disponga di modelli femminili di riferimento di tutto rispetto e valore come scienziate, storiche, chirurghe, politiche, filosofe, artiste, atlete, docenti che incontra in vari modi nella sua vita? Forse no. Pensate che tutto questo non abbia peso nella costruzione di sé dei soggetti che si vuole istruire ed educare? Pensate che non significhi nulla nei modi con cui donne e uomini abitano questo mondo?
Sono convinta che potrebbe rappresentare un potente anticorpo ad atteggiamenti sessisti conoscere a fondo il protagonismo delle donne e dei loro movimenti con la loro differente visione delle cose, l’aspirazione alla libertà e alla pace, il loro apporto per una scienza rispettosa della natura, le lotte contro le sopraffazioni e discriminazioni per una società più giusta e meno violenta, compiutamente democratica. Dunque è ora di andare a sanare definitivamente la frattura che si è determinata nei millenni tra la Storia e la Storiografia, frattura nata nel lungo passaggio dalla preistoria alla storia quando, contemporaneo alla invenzione della scrittura, si è affermato il patriarcato. Sono gli uomini, solo loro, col loro carico di misoginia che per secoli hanno scritto e narrato dal loro punto di vista le vicende storiche. Per questo la genealogia femminile è l’invisibile, l’inessenziale della storia, quella che, con alcune eccezioni, viene ancora oggi trasmessa nelle scuole e che sarebbe più giusto chiamare storiografia maschile, almeno fino a quando esisterà questa frattura. Va detto che l’introduzione del protagonismo delle donne nella storia non è una semplice aggiunta, ma operazione complessa che va a risignificare la vicenda umana e riformulare le stesse discipline accademiche come da tempo mostra il lavoro di ricerca di molte studiose tese a scardinare l’impianto binario e gerarchico del pensiero e della conoscenza proprie del patriarcato, proponendo modi diversi di costruire l’alterità, un altro ordine di senso nelle relazioni tra tutti i viventi, liberi dal potere come dominio.
Dagli anni Ottanta in tante abbiamo iniziato con determinazione e passione a ricostruire e diffondere i nuovi saperi e la nuova coscienza di sé delle donne, ma anche a chiedere alle massime istituzioni una scuola libera dalla sua profonda misoginia a partire dal linguaggio, i libri di testo, i programmi, la formazione professionale.
Tante le denunce e le proposte che vengono ancora oggi da realtà di donne come l’Udi, Non Una Di Meno, Scosse, le Cattive maestre, Indici paritari, tante le esperienze didattiche positive e coraggiose, ma tardano ad arrivare modifiche strutturali nei contenuti e nella pratica didattica delle scuole del nostro paese di ogni ordine e grado fino all’Università dove ancora alto resta il tasso di misoginia e di sessismo. Ed è un ritardo questo che impoverisce non poco la cultura del nostro paese e lo lascia esposto a violenze quotidiane e a derive autoritarie.
Conoscere e far conoscere non solo gli uomini ma anche le donne venute prima e il loro punto di vista in ogni ambito del sapere, significa costruire una inedita genealogia umana, cioè di donne e uomini, capace di generare una nuova civiltà delle relazioni, della politica, del simbolico.
Rosanna Marcodoppido
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