“Per ammazzarti meglio”, il libro di Ilaria Bonuccelli che denuncia la responsabilità di inquirenti e Istituzioni giudiziarie
Come tutti i conflitti la guerra lascia tracce, non smette di produrre effetti terminando, ma sparge impronte, ciascuna col suo carico di violenza e frustrazione.
Rapporti asimmetrici in cui è la parte con meno garanzie di difesa a soccombere o a diventare merce di scambio nella dialettica tra poteri. In politica internazionale l’equilibrio tra potenze è garantito dalla sicurezza dei reciproci rapporti di difesa e dalle norme che li legittimano.
Legittimare il diritto alla sicurezza significa che la sicurezza non può andare a vantaggio di qualcuno e a scapito di un altro. Significa avere dispositivi che scoraggino forme di aggressione. O che impediscono a queste di reiterarsi. Applicando la stessa logica alla violenza di genere è chiaro quanto incida nella difesa di una donna, e quindi nella sicurezza di una parte, il peso di una interpretazione equilibrata, oltre che all’applicazione della legge ad ogni grado di giudizio.
Interpretare correttamente il contesto, usando le parole giuste, è il primo passo per depotenziare l’aggressore, ristabilire la gerarchia di interventi ed evitare confusione tra aggredito e aggressore. Uno schema che, se attuato, modificherebbe esito e vittime non soltanto nella guerra tra Stati ma anche in quella che si combatte quotidianamente sul fronte domestico della violenza contro le donne.
Il libro di Ilaria Bonuccelli, “Per ammazzarti meglio”, Lucia Pugliese editore, raccoglie le testimonianze di 12 donne che a vario titolo sono incappate nel meccanismo perverso di una giustizia meno giusta. Una giustizia che assottiglia lo spazio di sicurezza individuale a vantaggio del più forte, rendendo vacuo il concetto stesso di uguaglianza giuridica.
“Se la donna che denuncia non si conforma a una certa immagine, quel pregiudizio pesa sulla sentenza. A volte è una questione di parole sbagliate - spiega Ilaria Bonuccelli - in più occasioni è dovuta intervenire la Corte Europea dei diritti dell’uomo per contestare il linguaggio di una sentenza”.
Un libro inchiesta che attraverso il racconto documenta anni di mancata prevenzione. La responsabilità delle istituzioni emerge fin dal titolo, dove “quel di più”, quel “meglio” sta a significare che il delitto si compie oltre la responsabilità individuale, con la complicità dello Stato. Un sistema di norme e burocrazia, omissioni e negligenze troppo spesso regolate da stereotipi e pregiudizi. “A fronte di reati nuovi e inasprimento delle pene è mancata la formazione per valutare e giudicare le donne sottoposte a ad abusi e violenze, spesso con esiti tragici, che potevano essere evitati. L’errore è in quei decisori che, senza una formazione adeguata, possono vanificare l’intero procedimento con sentenze sbagliate, a scapito della vittima”.
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