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Una storia del femminismo transnazionale

Una storia del femminismo transnazionale

'Femministe in un unico mondo' (Fandango libri) di Bianca Pomeranzi, a cura di Carla Cotti: una ricostruzione storica che ripercorre le lotte, i successi, le battute d’arresto dei movimenti femministi a livello internazionale dagli anni ‘70

Venerdi, 15/11/2024 - “Mai come ai giorni nostri il mondo ci è apparso così brutale. Un piccolo pianeta animato da sopraffazione e prepotenza, ma al tempo stesso luccicante “fiera” del possibile…” Questo l’icastico incipit di Femministe di un unico mondo di Bianca Pomeranzi (pubblicato postumo a cura di Carla Cotti, Fandango, 2024).
Leggendo il libro, insieme al dolore della mancanza della compagna di tante battaglie ma anche scontri, il primo pensiero è stato il dispiacere di non aver avuto a disposizione questo libro per i miei studenti e studentesse nel corso di politiche di genere nella Laurea specialistica in Cooperazione allo sviluppo.
Un libro che ripercorre la storia delle lotte, dei successi, delle battute d’arresto, sconfitte e conflitti dei movimenti femministi a livello internazionale.
E’ una ricostruzione storica narrata in prima persona “a partire da sé”, nell’intreccio di passione politica, decennale esperienza professionale come esperta di politiche di genere nella Cooperazione allo sviluppo al Ministero degli esteri e costante attività “eccentrica” nell’incrocio di impegni istituzionali e movimenti femministi e lesbofemministi italiani e transnazionali.
Il racconto parte dagli anni ‘70, quando nei “decenni per lo sviluppo” lanciati dall’ONU come risposta alla decolonizzazione, la preoccupazione di integrare le donne nello sviluppo economico si concretizza nel “decennio per le donne” (1975-85), scandito dall’approvazione della Convenzione sull’eliminazione delle discriminazioni delle donne (CEDAW), una specie di carta mondiale dei diritti fondamentali che tuttora rappresenta un livello di protezione insuperato a livello internazionale, e dalle tre conferenze internazionali “sulle donne” di Città del Messico nel 1975, Copenaghen e Nairobi che, concludendo il decennio, include nel suo programma d’azione temi che verranno sviluppati nella Conferenza di Pechino.
Gli anni ‘90 vedono un nuovo interesse delle Nazioni Unite per i diritti umani, anche sotto la pressione delle guerre nel cuore dell’Europa nell’ex-Jugoslavia. Nella conferenza mondiale di Vienna del 1993, preparata da intensi incontri femministi internazionali (anche io ho partecipato a NY agli incontri di femministe americane e dell’ex Jugoslavia), prende vita un approccio radicalmente nuovo. La dichiarazione finale afferma che i diritti della donna sono parte inalienabile integrale e indivisibile dei diritti umani universali aprendo la strada al possibile riconoscimento dei diritti sessuali e riproduttivi delle donne e delle violenze sessuali come violazioni dei diritti umani delle donne.
E’ dello stesso anno infatti l’approvazione da parte dell’Assemblea generale dell’ONU della Dichiarazione sulla violenza contro le donne che per la prima volta include esplicitamente anche le violenze esercitate nel privato della famiglia. Punto d’arrivo più alto di questo percorso è la Conferenza di Pechino (1995) con la sua piattaforma d’azione che afferma che il diritto al controllo della propria sessualità, della salute sessuale e della riproduzione è parte dei diritti umani delle donne. Al centro della piattaforma d’azione i temi dell’empowerment delle donne e dell’integrazione della dimensione di genere in tutte le politiche (gender mainstreaming) che avranno un lungo futuro politico.

Affiancano tutte queste conferenze ufficiali i Forum internazionali di organizzazioni di donne e femministe che vi intervengono facendo pressione per affermarvi le loro posizioni e visioni. Tutto il difficile percorso di cambiamento è il risultato di battaglie portate avanti dai movimenti del Nord e del Sud del mondo: organizzazioni di donne e femministe sono state in grado di far riconoscere la centralità dei diritti umani delle donne nell’arena internazionale che si presentava come la più ostica e lontana dalle voci delle donne. Reti di organizzazioni di donne e femministe di mondi diversi, dei paesi a capitalismo avanzato dei paesi comunisti e dei cosiddetti paesi del terzo mondo, si incontrano scontrano e solidarizzano, mentre conoscono e riconoscono le loro grandi differenze economico-sociali culturali religiose politiche, talora inconciliabili e conflittuali.

Sullo sfondo di cambiamenti epocali, del crollo del comunismo in Russia e nei paesi dell’est Europa, della globalizzazione neoliberista, del dilagare di aggressivi fondamentalismi religiosi e nuove guerre neo-coloniali e della crescente debolezza dell’ONU, le reti femministe transazionali hanno continuato a moltiplicarsi e differenziarsi rispetto alle visioni di sessualità, identità sessuale e di genere, libertà, uguaglianza di diritti, mentre le posizioni politiche si divaricavano tra chi era più vicina al mainstreaming istituzionale e chi dava voce ai propri obiettivi all’interno di movimenti antagonisti no-global ecologisti pacifisti. Ma si è pur sempre teso a cercare obiettivi comuni su cui incontrarsi.

La lotta contro la violenza maschile contro le donne è diventata negli ultimi anni il principale terreno comune. Proprio contro il carattere strutturale di questa violenza si batte quello che è il più esteso e importante tra i nuovi movimenti femministi, il movimento transfemminista e transnazionale Ni Una Menos. In una prospettiva politica di radicale e complessiva trasformazione sociale questo movimento mette a fuoco l’intreccio tra violenza patriarcale e violento sfruttamento capitalista, tra sfruttamento nella produzione e quello del lavoro riproduttivo delle donne, in particolare delle immigrate del Sud globale, e dunque la conseguente interdipendenza delle discriminazioni e disuguaglianze di genere-razza-classe.

Partecipando anche a questo movimento, Bianca ha dato voce fino all’ultimo alla sua passione politica.

 


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