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Un ospite d'onore di Nadine Gordimer

Un ospite d'onore di Nadine Gordimer

A cento anni dalla nascita, un libro per ripensare, una donna, la sua scrittura, le sue scelte politiche e il Sudafrica

Lunedi, 11/03/2024 -

Un ospite d'onore, scritto nel 1970 e tradotto da Feltrinelli, è un libro per ripensare alla scrittrice sudafricana Nadine Gordimer (1923-2014). Uno dei libri suoi più complessi, che non è ambientato nel Sudafrica urbano (il Witwatersrand), ma in un immaginario paese dell'Africa centrale che ha da poco raggiunto l'indipendenza. E si trova a affrontare ciò che resta del neocolonialismo politico ed economico, dello sfruttamento straniero, dei dissensi interni, della corruzione.

Il romanzo racconta di un liberale ed ex-funzionario coloniale, il colonnello Bray, richiamato per partecipare alle celebrazioni per l'indipendenza nel paese da cui era stato allontanato perché schieratosi a favore dei neri. Impegnato nel nuovo governo come consigliere per l'istruzione, il colonnello rifiuta di accettare il progressivo deteriorarsi degli ideali, per cui aveva lottato, e trova la morte in mezzo ai disordini e alle sommosse.

Accanto a lui ci sono: la coppia di giovani radicali dell'Upper class, un avvocato gallese che, essendosi schierato con i rivoluzionari, ora fa parte del governo, e i coniugi che gestiscono l'albergo in cui il protagonista vive. Tutti rappresentano uno spaccato dell'Europa in Africa.

Nella figura dell'oppositore Shinza si racconta l'impegno ideologico dei neri, coloro che sono la storia del paese la lotta politica per l'indipendenza, e hanno il ricordo del dominio coloniale. Il colonnello è l'attività sono in contrasto tra di loro. Combattono, perché lo sono, su due fronti opposti.

Gordimer per mezzo del colonnello Bray le incertezze dei bianchi, che pure parteggiano per la libertà e la dignità degli uomini e delle donne oppressi dall’Apartheid.

Nella figura di Bray c’è la tragedia di un eroe che deve morire, e ne è conscio. La sua è una morte ambigua ed emblematica, dovuta alla feroce cecità delle sommosse. Resa ancora più tragica perché non capita: per alcuni Bray è solo uno dei «liberali bianchi che si immischiano in cose che non capiscono». Per altri il colonnello è «stato ucciso dalla gente che amava, cosa altro puoi aspettarti dai neri». Per altri ancora stava dalla parte di Shinza.

A pensarci bene questo romanzo parla di accettazione e attesa. Quando si racconta di un futuro per l'Africa in qualche modo prossimo. E dimostra come la scrittrice non fosse un’intrattenitrice dell’annoiato ‘mondo bianco e borghese’.

Altro tema è quello di rappresentare, attraverso una fitta rete di personaggi, la difficile situazione di europeo in Africa e le relazioni tra i due continenti. C'è l'illusione, nel romanzo, che i bianchi africani potessero essere non solo favorevoli ad un governo a maggioranza nera. Ma farne parte.

Cosa, questa, che la stessa Gordimer ha visto quando, ad un certo punto, voleva trasferirsi in Zambia, che nel 1964 aveva acquisito l'indipendenza.

In Sudafrica Nadine Gordimer era criticata dai neri perché scriveva di loro come se sapesse cosa volesse dire esserlo, ignorata dal partito federale progressista e dagli Afrikaners discendenti dei boeri perché dissentiva dalle loro posizioni. La scrittrice ha, però, sempre dimostrato una personalità decisa. E non ha scelto la via dell’esilio in Europa o in America.

Un ospite d'onore rappresenta per l’autrice un nuovo punto di partenza, accelerando la crescita di un modo di scrivere più ‘autenticamente africano’ perché supera le barriere fra neri, bianchi afrikaner e inglesi.

Al centro è la tragedia di un paese, di un uomo bianco e di chi non capisce che l'unico modo per entrare nel futuro è conoscere il passato africano è avere una prospettiva africana della storia.

 


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