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Un inverno freddissimo di Fausta Cialente

Un inverno freddissimo di Fausta Cialente

Ritorno nelle librerie di Fausta Cialente, vincitrice del Premio Strega nel 1976

Giovedi, 11/05/2023 -

Il ritorno nelle librerie di Fausta Cialente si deve all’impegno delle case editrici La Tartaruga e Nottetempo; quest’ultima, in particolare, ha ripubblicato Un inverno freddissimo, romanzo del 1966, a 46 anni di distanza dall’ultima edizione Feltrinelli, con due interventi (l’introduzione e una nota al testo finale) di Emanuela Carbé, necessari a inquadrare la figura dell’autrice se non la si conosce.

Nel giugno del 1976 Fausta Cialente aveva vinto il Premio Strega per il romanzo Le quattro ragazze Wieselberger (ripubblicato dall’edizione La Tartaruga del 2018, con uno scritto di Melania Mazzucco); all’epoca la scrittrice aveva 78 anni e una lunghissima carriera anche come giornalista e traduttrice riportata in auge proprio da questa vittoria.

Un articolo di «Panorama» dell’epoca, nel commentare la vittoria, cuce addosso per lei il soprannome per nulla spiritoso ‘Nonna romanzo’, indugiando nella descrizione dell’aspetto minuto ed etereo della scrittrice. Questo, il destino che tocca ad alcuni. Soprattutto alle donne. Nonostante abbiano uno spessore morale e un vissuto importante come la Cialente.

La sua vita intellettuale può essere sintetizzata così: autrice cosmopolita, femminista prima ancora che in Italia si fosse formata una salda coscienza, antifascista e in prima linea nella Resistenza e nella lotta alla propaganda dei totalitarismi mentre era in Egitto, al Cairo, dove ha vissuto fino al 1947.

Cialente è stata una figura anomala del panorama italiano: per i suoi viaggi frequenti, la lunga permanenza all’estero, in Egitto, in Medio Oriente, in Inghilterra, e la formazione politica e culturale in una realtà complessa e cosmopolita.

Si suddivide così la sua carriera: il periodo egiziano (anni ‘20-‘30), che corrispondono ai romanzi Ballata Levantina e Un inverno freddissimo; e infine la maturità (anni ‘70-‘80) e l’indagine sulla memoria personale che culmina con Le quattro ragazze Wieselberger ispirato alla famiglia materna e il periodo triestino della sua giovinezza.

Alla scrittura ha affiancato anche il formativo lavoro di traduttrice, ha tradotto Louisa May Alcott e Henry James, oltre che scrivere per “l’Unità”, “Noi Donne” e “Rinascita”, ha fondato e diretto la rivista “Fronte Unito”, e una collaborazione con la redazione di Radio Cairo sin dagli anni Trenta e durante la guerra (l’esperienza è raccontata in Radio Cairo, L’avventurosa vita di Fausta Cialente in Egitto, di Maria Serena Palieri, Donzelli editore del 2018).

Il ruolo delle donne, nella produzione della Cialente, è incentrato sull’emancipazione femminile che la scrittrice sostiene e denuncia la struttura patriarcale della società italiana.

Hanno definito la sua una scrittura anti-sperimentale, radicata nel romanzo ottocentesco e primonovecentesco.

Ma a ben guardare Un inverno freddissimo sembra (e forse è) più figlio della Woolf e di Doestojevskij che non della letteratura italiana di quegli anni. La protagonista del romanzo, Camilla il centro attorno a cui ruotano e si muovono tutte le altre figure del romanzo ha molto a che fare con la signora Ramsay. Riunisce quelli che «guerra aveva disperso», protegge tutti coloro che vivono nella soffitta-appartamento, in cui lei e i suoi figli, ma anche Enzo, Arrigo e Milena con i quali condivide suo malgrado la soffitta. Non solo usa il monologo interiore e la polifonia di voci-monologhi ma li gestiste con mano ferma. Come in molti romanzi di Dostoevskij racconta cosa sia la miseria e la disperazione. La fame e le ristrettezze economiche che la guerra ha portato.

Il monologo interiore di ognuno dei personaggi è una leggera nuvola di fumo che raggiunge il lettore. E che lo intriga sempre di più. All’estremo realismo della povertà in cui vive la famiglia, nel dopoguerra milanese, si contrappone il leggero senso che il monologo interiore dà ai vari personaggi.

Camilla è divisa tra paura e speranza nel futuro. La fatica di questi sentimenti contrastanti si intensifica con il procedere delle pagine, trascorrono il Natale e l’ultimo dell’anno, qualche speranza di miglioramento brilla ancora fino a quando sua figlia Alba lascia il tetto familiare per inseguire una vita più redditizia. Non ci sono spiegazioni nell'allontanamento della figlia, quali i motivi la Cialente li spiegherà più avanti, ma il dolore sarà devastante per tutte e tutti gli abitanti della soffitta. Camilla in quest’azione vede il suo fallimento. Come madre. E come figlia (muore ad un certo punto la madre di Camilla e lei si se ne in colpa). A lei, come a tutte le madri vedove, non è concesso di vivere una nuova vita sentimentale, con il Rosso, un ex combattente che frequenta la casa di sua madre. E dal quale è segretamente attratta. La donna si carica la responsabilità della povertà della famiglia intera. Sua è la colpa dell’allontanamento, del non averlo anticipato e impedito.

Quando sembra che tutto stia per crollare su Camilla, interviene la maestria della narratrice Cialente: dapprima si assiste ad un ruccrugamento di luce che lascia presagire una speranza e poi con lo svelamento, tramite una tecnica narrativa sopraffina, la scrittrice abbandona i suoi personaggi al dolore e alla volontà amara del destino.

È sotto la morte di Alba che la famiglia si smembra. Nella terza e ultima parte del romanzo, ogni personaggio prenderà la propria strada. Anche Camilla si allontana dalla soffitta per costruire una nuova normalità. Con il dolore, nel cuore, quando capisce che «Alba andava in cerca di soldi per il lusso che voleva». E per questo li aveva abbandonato Camilla e i suoi fratelli.

«Mi sembra che fino ad un certo momento eravamo tutti quasi felici» dice sul finale Lalla, una dei figli di Camilla, al fratello più piccolo, e aggiunge: «ma nessuno di noi l’aveva capito». Non è l’amara beffa, piuttosto è proprio grazie a questa consapevolezza che ciascun personaggio si libera dall’incantesimo dell’inverno e riprende la normalità, possibile solo sottraendosi dalla soffitta.


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