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Umbria: il Protocollo d’intesa ‘Libera di essere' contro la violenza mafiosa di genere

Umbria: il Protocollo d’intesa ‘Libera di essere' contro la violenza mafiosa di genere

Intervista a Sara Pasquino, avvocata e Consigliera del Centro Pari Opportunità Regione Umbria

Martedi, 23/05/2023 - Dopo un lungo percorso di condivisione e intenso lavoro, è stato formalmente approvato il Protocollo d’intesa ‘Libera di essere’ tra la Procura generale della Repubblica di Perugia e la Regione Umbria. Il protocollo - volto ad ‘Assicurare una concreta alternativa di vita alle donne provenienti da famiglie inserite in contesti di criminalità organizzata o che siano vittime della violenza mafiosa, che si dissociano dalle logiche criminali e intendono intraprendere un percorso di uscita dalla violenza” – è stato sottoscritto lo scorso 6 maggio da: Regione Umbria, Procura generale della Repubblica presso la corte d’Appello di Perugia, Procura della Repubblica di Perugia, Procura della Repubblica di Terni, Procura della Repubblica di Spoleto, Osservatorio antimafia regione Umbria, Centro Pari Opportunità Regione Umbria, Prefettura di Perugia Prefettura di Terni, Centro antiviolenza Barbara Corvi, Casa delle Donne di Terni, Centro Antiviolenza Crisalide, Donne contro la violenza Aps, Libera …mente Donna ETS, Centro antiviolenza Maria Teresa Brighi, Città della Pieve.
Si tratta della prima intesa di questo genere in Italia, un impegno formalmente assunto che lega le realtà dell’associazionismo, le autorità e le istituzioni in un percorso che si preannuncia di grande portata. Il protocollo ha la durata di 5 anni e non sarà automaticamente rinnovato, avendo inserito esplicitamente una serie di attività finalizzate alle verifiche dell’efficacia delle azioni previste. Si riportano alcune delle attività previste, solo per dare un po’ l’idea di cosa si tratta: istituzioni di residenze protette,  ampia e verificata condivisione e gestione dei percorsi stabiliti per le donne e i minori che fanno scelte importanti e rischiosissime, accompagnamento nel riconoscimento dei bisogni compressi dalle famiglie, integrazione nelle nuove realtà sociali.
A delineare chiaramente il perimetro degli obiettivi generali del Protocollo è l’articolo 3, che recita “fornire una rete di supporto nei contesti di criminalità organizzata nel territorio regionale alle donne e ai minori per garantire concrete alternative di vita. Fornire una rete adeguata di supporto alle donne e ai minori che desiderino affrancarsi dalle logiche criminali e dalla violenza senza assumere lo status di testimone o collaboratore di giustizia”.

Lo scorso 6 maggio si è tenuto il primo incontro formativo del “Protocollo libere di essere”, organizzato in memoria di Barbara Corvi, con la partecipazione di Sabrina Garofalo (Osservatorio antimafia Umbria), di Sergio Sottani (Procuratore generale presso la Corte d’appello di Perugia) e di Paola Di Nicola Travaglini (Consigliere di cassazione).
Abbiamo rivolto alcune domande all’avvocata Sara Pasquino la quale, impegnata professionalmente accanto alle vittime di violenza, ha molto creduto in questo percorso.

Come è maturata la consapevolezza della necessità di questa importante intesa?
Il protocollo nasce da un’intuizione di una cara amica, Sabrina Garofalo, sociologa dell’università della Calabria e membra dell’Osservatorio regionale antimafia, composto da associazioni e organizzazioni facenti parte del mondo della formazione, del lavoro, della cooperazione e della finanza, che da molti anni studia le mafie e le connessioni tra violenza di genere e violenza mafiosa. Dopo aver dato vita all’associazione Nate a Sud, con sede a Paola (CS), abbiamo visto concretamente il sovrapporsi della violenza mafiosa e di quella sessista nelle vite di tante donne. Da qui il desiderio di dare risposte concrete alle richieste di aiuto.
Le mafie si nutrono di violenza, controllo e privazione di libertà, nello stesso modo in cui lo fa la violenza maschile sulle donne, parliamo di violazioni dei diritti umani, negati dal potere mafioso. Con la stipula di questo protocollo siamo convinte di aver fatto tutte e tutti insieme, associazioni e istituzioni, un ulteriore passo in avanti nelle politiche di prevenzione e contrasto alle mafie, in quanto non solo ci permetterà di aiutare le donne sole o con figli e figlie ad affrancarsi dalla violenza, ma anche di fare attività formativa e di prevenzione e contrasto alla violenza maschile e mafiosa, come due facce della stessa medaglia.

Fa una certa impressione vedere che una regione come l’Umbria si debba concentrare sul contrasto alla malavita organizzata e alle mafie avendo una particolare attenzione alle donne e ai minori che decidono di allontanarsi dai loro familiari. Dal suo punto di vista professionale e di attivista come lo spiega?
L’Umbria, come il resto d’Italia, non è esente da infiltrazioni mafiose, basti sapere che sono decine i beni confiscati nella nostra regione e ci sono in corso processi sia a Perugia che in Calabria che coinvolgono direttamente il nostro territorio, al tempo stesso le interdittive emesse dai Prefetti segnalano l'attualità dell'aggressione mafiosa al sistema economico umbro. Inoltre, la vicenda di Barabara Corvi è stata la molla che ha fatto scattare tutto il processo che ha portato alla nascita di questa intesa, sono tante le storie di donne che come Barbara, Maria Chindamo, Rosella Casini si sono ribellate al dominio maschile mafioso e hanno pagato con la vita. Le loro storie ci hanno indicato la strada.

Quali sono state le maggiori difficoltà che avete incontrato prima di arrivare alla definizione del Protocollo? Quali saranno le maggiori difficoltà che prevedete nell’attuazione?
Dobbiamo ammettere che non ci sono state particolari difficoltà per arrivare alla definizione del protocollo, l'Umbria lavora da tempo al contrasto ai fenomeni di criminalità organizzata, anche grazie al lavoro che l'associazione Libera Umbria svolge da anni su tutto il territorio regionale, i tempi per la sottoscrizione sono stati lunghi, in quanto le Procure e le Prefetture hanno collaborato con i Centri Antiviolenza, l'Osservatorio e il CPO alla definizione del protocollo avendo cura di tutti gli aspetti più delicati relativi alla sicurezza di donne e minori. Ebbene, vedere per la prima volta tutti i soggetti firmatari, istituzionali e non, cooperare, è stato entusiasmante. Non so quali saranno le principali difficoltà che incontreremo nell'attuazione concreta di questo protocollo, ma so che esperienza e professionalità che ci hanno guidato fino ad oggi saranno ancora il faro quando riceveremo le prime richieste di aiuto, anni di collaborazione con i Centri Antiviolenza non solo umbri, ma anche calabresi, ci hanno insegnato che le difficoltà esistono, ma allo stesso tempo si possono affrontare e superare, proprio come fanno le donne quando decidono di uscire dalla violenza.

Intervista a cura di Tiziana Bartolini


Perugia_PROTOCOLLO_LIBERE_DI_ESSERE_2023.pdf

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