Intervista a Sara Pasquino, avvocata e Consigliera del Centro Pari Opportunità Regione Umbria
Come è maturata la consapevolezza della necessità di questa importante intesa?
Il protocollo nasce da un’intuizione di una cara amica, Sabrina Garofalo, sociologa dell’università della Calabria e membra dell’Osservatorio regionale antimafia, composto da associazioni e organizzazioni facenti parte del mondo della formazione, del lavoro, della cooperazione e della finanza, che da molti anni studia le mafie e le connessioni tra violenza di genere e violenza mafiosa. Dopo aver dato vita all’associazione Nate a Sud, con sede a Paola (CS), abbiamo visto concretamente il sovrapporsi della violenza mafiosa e di quella sessista nelle vite di tante donne. Da qui il desiderio di dare risposte concrete alle richieste di aiuto.
Le mafie si nutrono di violenza, controllo e privazione di libertà, nello stesso modo in cui lo fa la violenza maschile sulle donne, parliamo di violazioni dei diritti umani, negati dal potere mafioso. Con la stipula di questo protocollo siamo convinte di aver fatto tutte e tutti insieme, associazioni e istituzioni, un ulteriore passo in avanti nelle politiche di prevenzione e contrasto alle mafie, in quanto non solo ci permetterà di aiutare le donne sole o con figli e figlie ad affrancarsi dalla violenza, ma anche di fare attività formativa e di prevenzione e contrasto alla violenza maschile e mafiosa, come due facce della stessa medaglia.
Fa una certa impressione vedere che una regione come l’Umbria si debba concentrare sul contrasto alla malavita organizzata e alle mafie avendo una particolare attenzione alle donne e ai minori che decidono di allontanarsi dai loro familiari. Dal suo punto di vista professionale e di attivista come lo spiega?
L’Umbria, come il resto d’Italia, non è esente da infiltrazioni mafiose, basti sapere che sono decine i beni confiscati nella nostra regione e ci sono in corso processi sia a Perugia che in Calabria che coinvolgono direttamente il nostro territorio, al tempo stesso le interdittive emesse dai Prefetti segnalano l'attualità dell'aggressione mafiosa al sistema economico umbro. Inoltre, la vicenda di Barabara Corvi è stata la molla che ha fatto scattare tutto il processo che ha portato alla nascita di questa intesa, sono tante le storie di donne che come Barbara, Maria Chindamo, Rosella Casini si sono ribellate al dominio maschile mafioso e hanno pagato con la vita. Le loro storie ci hanno indicato la strada.
Quali sono state le maggiori difficoltà che avete incontrato prima di arrivare alla definizione del Protocollo? Quali saranno le maggiori difficoltà che prevedete nell’attuazione?
Dobbiamo ammettere che non ci sono state particolari difficoltà per arrivare alla definizione del protocollo, l'Umbria lavora da tempo al contrasto ai fenomeni di criminalità organizzata, anche grazie al lavoro che l'associazione Libera Umbria svolge da anni su tutto il territorio regionale, i tempi per la sottoscrizione sono stati lunghi, in quanto le Procure e le Prefetture hanno collaborato con i Centri Antiviolenza, l'Osservatorio e il CPO alla definizione del protocollo avendo cura di tutti gli aspetti più delicati relativi alla sicurezza di donne e minori. Ebbene, vedere per la prima volta tutti i soggetti firmatari, istituzionali e non, cooperare, è stato entusiasmante. Non so quali saranno le principali difficoltà che incontreremo nell'attuazione concreta di questo protocollo, ma so che esperienza e professionalità che ci hanno guidato fino ad oggi saranno ancora il faro quando riceveremo le prime richieste di aiuto, anni di collaborazione con i Centri Antiviolenza non solo umbri, ma anche calabresi, ci hanno insegnato che le difficoltà esistono, ma allo stesso tempo si possono affrontare e superare, proprio come fanno le donne quando decidono di uscire dalla violenza.
Intervista a cura di Tiziana Bartolini
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