In occasione del XV Congresso dell'UDI abbiamo intervistato Ansalda Siroli, esponente autorevole e figura di riferimento dell'associazione a Ferrara. E sono solo
Domenica, 13/11/2011 - Ansalda Siroli, classe 1935, è una delle figure mitiche dell’UDI nel ferrarese, dove da sempre è un riferimento per le donne: nel 1950 si iscrive alle “ragazze” e nel 1954 all’UDI. Raccontando della sua vita ricorda quando, a 14 anni, è andata a lavorare fuori casa “a fare i primi 20 giorni in risaia a Molinella”. Un percorso di vita solido e faticoso il suo, indissolubilmente intrecciato anche alla politica. Infatti prima ad Argenta e poi a Ferrara per vent’anni è stata consigliera comunale eletta nelle liste del PCI. Dal 1993 al 2008 è stata presidente del centro antiviolenza (CDG). L’abbiamo incontrata a Bologna durante il XV Congresso dell’UDI (21/23 ottobre 2011), un passaggio importante per la storia di questa associazione fondata nel 1945 e che è stata un punto di riferimento per le lotte di tante generazioni di donne italiane.
Hai attraversato l’UDI in tanti decenni e hai vissuto tanti i passaggi difficili. Cosa ti senti di dire, oggi, in un momento molto critico per le donne italiane e in un’occasione come questa?
Tutta la storiadell’UDI, e anche l’evoluzione che ha avuto negli anni, per me è stata una cosa importante. Ci ho messo tutto nell’UDI, fa parte della mia vita. Ricordo che l’XI Congresso l’ho vissuto con sofferenza… era vero che non si poteva più tenere l’UDI che c’era stata fino ad allora, non potevamo più permettercelo economicamente, ma anche politicamente, un vero peccato: c’era una Segreteria con delle grandi teste. E’ anche successo che le UDI territoriali non prendevano più sul serio quello che veniva dalla Segreteria nazionale. Esempio con le leggi conquistate, sarebbe stato bene dare delle indicazioni, per la loro comprensione e applicazione nei territori. Il Comitato che si formò cominciò a discutere. Era vero che bisognava cambiare, ma non si poteva liquidare un’organizzazione come quella di allora solo con un Congresso, ci sarebbe stato bisogno di andare a parlare con le iscritte, con le donne che facevano politica nel territorio. Bisognava far capire che non avevamo più l’ombrello della Segreteria nazionale e quindi dovevamo rafforzarci di più nelle dimensioni territoriali. Oggi posso dire con cognizione di causa che con l’XI Congresso decidere di smantellare l’UDI è stato un errore. Quella decisione ha determinato un fuggi- fuggi generale che ha portato alla perdita di un radicamento, che ha richiesto un lungo lavoro di ricostruzione. Si doveva cambiare, certo, ma il percorso doveva essere costruito diversamente, attraverso un maggior rapporto con la base. Invece decise il Congresso dall’alto e quando siamo tornate è stato duro far capire alle settemila iscritte che cosa era successo. Rammento di aver chiesto a una dirigente, al mio ritorno cosa devo fare? La risposta è stata metti la chiave della sede sotto lo zerbino, in modo che se qualcuna avesse bisogno, se l’Andava ad aprire. Di nostra iniziativa invece abbiamo convocato una assemblea per informare della decisione assunta e da questa abbiamo avuto l’indicazione di tenere in piedi la struttura organizzativa e abbiamo fatto fare 11 chiavi e distribuii a diverse associate e la sede provinciale, non l’abbiamo mai chiusa. L’impatto e le conseguenze della scelta compiuta a livello nazionale, non lo avevamo valutato bene.
Dopo tutti questi passaggi, come hai vissuto il XV Congresso che si è chiuso a Bologna il 23 ottobre scorso?
Dalla Assemblea di Pesaro ad oggi ci sono stati degli errori grossissimi, a partire dal fatto che non si poteva sciogliere un Coordinamento, casomai se ne doveva creare un altro per evitare di lasciare alla guida dell’associazione solo la responsabile di sede nazionale, così ci siamo private di una direzione collegiale.Spero che dopo questo congresso l’UDI divenga un’associazione che sempre di più si apre ai territori. Con uno scambio fertile tra il nazionale e la periferia, ad in tal modo migliorare i rapporti e anche dare più forza alle iniziative politiche. Queste avrebbero un carattere di maggior condivisine e non risulterebbero calate dall’alto.
Al XV Congresso ci sono state contestazioni e il dibattito non si è concluso in modo sereno. Qual è la tua opinione, avendolo seguito in tutti i passaggi?
Io non voglio un’UDI con delle donne ‘su misura’. Spero che tutte le donne - anche le nuove arrivate - ci stiano come me: con la passione e l’autonomia di giudizio. Le giovani che a Ferrara stanno nel Comitato dell’acqua o nel Comitato “se non ora quando?”, vi partecipano con noi: sono vive, forti e indipendenti nel giudicare. Io nell’UDI ci sto con la mia storia e non voglio cancellarla, anche nel rapporto con la politica e le istituzioni. Ho sempre vissuto la vita associativa in un rapporto plurale e per questo molto fertile. Le discussioni su questi aspetti della vita associativa, avrebbero dovuto far parte del dibattito congressuale per arricchirlo e renderlo fertile, ma le polemiche che hanno caratterizzato soprattutto l’ultima giornata Congresso -l’hanno reso inutilmente sterile - non hanno avuto nulla a che vedere con le questioni che dovevamo affrontare.
Avevo tante aspettative per questo Congresso e mi è dispiaciuto molto assistere a diatribe vuote. Per me alcune donne sono state mal consigliate, perché il diritto di parola lo avevano e non lo hanno esercitato. Mi dispiace doverlo dire, ma soprattutto le giovani si sono sottratte ad un dibattito, che invece era necessario. Il discorso di Pina Nuzzo, poi, non mi è piaciuto. Glielo dico da amica, un po’ di autocritica non guastava. Avrebbe anche potuto ammettere che molto non era andato per il verso giusto, e rimettersi a disposizione per dare al congresso uno sbocco positivo. Questo barricarsi dentro ad un recinto non ha avuto senso sul piano politico. L’UDI è fatta di tante donne con idee diverse e il Congresso è stata un’occasione perduta per discutere del futuro dell’associazione e anche per raccogliere le idee e i suggerimenti delle giovani donne che hanno partecipato. Quello che voglio dire loro è che il futuro se lo devono prendere in mano e devono dire la loro con argomenti e imparando a sostenerli. Hanno anche il vantaggio rispetto alla mia generazione di avere avuto dalla scuola una maggiore preparazione culturale. I cartelli da indignate forse vanno bene nelle piazze e contro i poteri forti o ancor meglio contro chi offende le donne. Al Congresso le giovani, questa volta, hanno perduto un’occasione per dare un utile contributo di emancipazione, di libertà femminile e di avanzamento di noi tutte.
Ma quale era il punto vero della discussione, su quale argomento o scelta strategica si è consumata la rottura? Quale è la tua opinione?
Non siamo riuscite ad entrare nel vivo degli argomenti, purtroppo, e la rottura c’è stata sugli strumenti che l’UDI si deve dare per avere una politica più aperta e radicata, sui rapporti con la Sede nazionale. La divisione netta c’era tra chi voleva mantenere l’organizzazione di questi ultimi anni e chi voleva cambiarla, a partire dalle modifiche allo Statuto. Penso che il verso che ha preso il Congresso è il risultato del modo di operare di questi ultimi anni, basato troppo sui rapporti personali, è mancata invece una visione politica più complessiva. Se diamo a Pina Nuzzo il riconoscimento di quello che ha fatto in questi 10 anni, e sono per riconoscerglielo, era lei che doveva tenere la barra di questo Congresso perché fosse un momento di unione. C’è stato il gruppo designato appositamente per la preparazione del congresso che ha lavorato per mesi, senza veder riconosciuta la parte propositiva e le indicazioni da questo elaborate, ma ricercate e utilizzati gli aspetti critici e le divisioni che pur esistono. Restituire le chiavi della Sede, come ha fatto Pina, mentre era in atto una complessa discussione è stato sbagliato. Abbiamo fatto bene a rifiutare la proposta di rinviare il Congresso, ed anche quella del commissariamento della associazione. Una vergogna per la storia di questa associazione e sarebbe stato sbagliato anche per la fase delicata che stiamo attraversando. Quello che è uscito dal Congresso è un Coordinamento provvisorio, abbastanza rappresentativo di tante diverse realtà territoriali e sensibilità. Ringrazio le amiche che si sono dichiarate disponibili assumendosi la responsabilità di portarci alla prossima assemblea.
Secondo te si apre una fase nuova per l’UDI?
Me lo auguro!!! La prossima assemblea a mio parere dovrebbe proporre la costituzione degli strumenti, oggetto della divisione congressuale per ridare un senso alla associazione. Abbiamo bisogno di un bagno di umiltà e di realismo associativo. Lo spirito e il senso di appartenenza non deve essere smarrito per far posto alle divisioni, ai rancori, alle offese. Sentirmi dire da un amica che ho sempre apprezzato che sarei “Infida” per il semplice fatto di aver proposto, nel mio intervento, di promuovere un incontro con le donne senatrici per sollecitare la legge 50/50, denota un clima di grave e inaudite asprezze personali. Ci siamo colpevolizzate a vicenda, lacerando amicizie e fiducia, prodotte da anni di comune vita associativa.
Mi auguro tanto che quanto vissuto a Bologna, serva a produrre in tutte una riflessione e determini una comune volontà, tanto necessaria per le donne italiane e per la nostra associazione.
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