Luigia D’Anna Nazzaro, detta Gina, con l'aiuto dei figli ha esordito come scrittrice a 93 anni, a dimostrazione che l’arte, di qualsiasi tipo, non ha età
Se l’amore di una madre può essere incommensurabile, altrettanto può esserlo quello dei figli nei suoi confronti. È il caso di Paola, costumista, scenografa e regista, e Ciro Nazzaro, personal tailor, che hanno aiutato la loro madre a superare i postumi di una grave pancreatite acuta, prima rileggendole i suoi racconti preferiti, poi recuperando quelli della sua memoria e trasponendoli in libro. Così Luigia D’Anna Nazzaro, detta Gina, nota ad Avellino per la sua attività commerciale nel campo della moda, grazie ai figli ha esordito come scrittrice a 93 anni, a dimostrazione che l’arte di qualsiasi tipo, non ha età che possa bloccarla anzi, semmai l’età avanzata può persino promuoverla. Per dirla con Paola: “La parola ormai, in casa Nazzaro non ha mai avuto udienza, né considerazione. Mai dire mai! Non è mai troppo tardi per esprimere ed esercitare la propria passione”.
Uscita finalmente dal coma, Gina ha potuto giovarsi della costante presenza dei suoi figli, divenuti, a ruoli invertiti, i “suoi genitori”, come racconta ancora Paola: “Imboccandola, accudendola, facendole muovere i suoi primi passi, come lei ha fatto con noi da piccoli. Le nostre braccia sono stati i suoi appoggi, i suoi deambulatori, ed è stato devastante per una donna come lei: dignitosa e sempre estremamente curata in ogni istante, combattere con una realtà in cui non si riconosceva. Quella finestra della sua stanza spalancata sulla vita è stato lo schermo dove mamma, risvegliata, ha fatto scorrere la pellicola indelebile dei racconti della sua infanzia felice; le sono venuti incontro come acqua sorgiva. Tirandola fuori da quella depressione in cui era precipitata. Noi siamo stati i suoi puntelli”.
Ha avuto fortuna, Gina, ad avere al suo fianco figli e amici cari a incoraggiarla e stimolarla, lei che fin da piccola era stata sollecitata da suo padre, Cavalier Domenico D’Anna, proprietario dell’omonimo Gran Caffè nella piazza di Atripalda, a leggere i quotidiani, affinché fosse sempre aggiornata per sapere come andava “questo pazzo mondo” e potesse difendersi.
Nell’estate del 2024, tornata a casa dall’ospedale, la cura di Gina è stata la lettura (fattale dai figli), che l’aveva appassionata fin dall’infanzia e la riscoperta dei racconti scritti decenni prima, custoditi in eleganti quaderni rivestiti di seta verde salvia e fuxia. Dopo averne pubblicato alcuni, sia sulla pagina Facebook, sia su quella Istagram di Paola, ha ricevuto un inaspettato incoraggiamento di lettori ed amici. Narrando la sua infanzia felice, le sue genuine emozioni, Gina ha permesso agli altri di fare altrettanto, dischiudendo lo scrigno della memoria. Così, rievocare quei ricordi di un tempo felice e innocente, fatto di amicizia, afflato con la natura, prime esperienze, bei luoghi del cuore oggi mutati per le colate di cemento, è divenuto catartico per la sua guarigione. Nei racconti si ritrovano usi e costumi di una realtà autentica, contadina e non solo, fatta di valori semplici e sani, necessariamente da riscoprire e trasmettere ai più giovani: amicizia, rispetto, gratitudine, lealtà, amore verso il prossimo e la natura, solidarietà. Un breve estratto da Il fiume, dove si andavano a lavare i panni, il cui corso negli anni è stato deprivato dei suoi alberi e deviato dal cemento: “I tuoi sassi non mi hanno mai fatto male, li avevi levigati apposta. Mi piaceva ascoltare il canto delle ragazze, il rumore dei panni sbattuti sulla pietra, l’odore del sapone, la schiuma bianca. C’era una piccola cascata dove spesso per gioco abbassavo il capo e tu mi accarezzavi…erano carezze di chi ti vuole bene. Ora…le persone che mi accarezzavano il capo sono andate via una alla volta. I miei figli mi accarezzano il viso; le loro sono carezze che parlano dell’immenso amore per la loro mamma che non sa più dare carezze: con gli anni ho messo la testa sotto altre cascate, ma erano sassate…quanto dolore, Fiume!”.
La prefazione è di Gabriele Meoli, che descrive Gina come la “sacerdotessa dei nostri ricordi migliori”, mentre Carmine Cioppa nella postfazione, la definisce Re-Gina (come la chiamavano da giovani) e ne evidenzia l’eleganza innata di cui: “ha fatto omaggio, per anni, alle clienti dell’atelier gestito da Nicola Nazzaro, il marito, prematuramente scomparso”.
Non sappiamo se Re-Gina avrebbe superato la depressione senza la caparbietà dei suoi figli, combattenti che le hanno riportato luce e speranza: un grande esempio di amore filiale, unito alla denuncia contro la superficialità con cui spesso vengono somministrati i medicinali (benzodiazepine) agli anziani, nonché contro l’indifferenza dei nostri tempi decadenti. Il memoir è altresì un inno al rispetto da nutrire verso gli anziani, custodi di memoria ed esperienza, fonte di preziosi insegnamenti.
Gina Nazzaro
Tessitrice di ricordi
EDIZIONI DI SALPARE
Pagg.126
€16
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