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Teatro e (è) libertà. Parola di Francesca Tricarico

Teatro e (è) libertà. Parola di Francesca Tricarico

La compagnia Le Donne del Muro Alto ha portato al Maxxi di Roma “Medea in Sartoria” nell'ambito della Festa del Cinema di Roma

Martedi, 25/10/2022 - Per il quarto anno consecutivo alla Festa del Cinema di Roma ha avuto uno spazio dedicato la compagnia teatrale "Le Donne del Muro Alto” rappresentando, nella splendida cornice dell'auditorium del Maxxi il testo “Medea in Sartoria” scritto e diretto da Francesca Tricarico. "Le Donne del Muro Alto”, compagnia teatrale nata nel 2013, si chiama così perché le interpreti sono detenute o ex tali del carcere di Rebibbia sezione di Massima Sicurezza. Prima di arrivare a questo ennesimo traguardo della compagnia ci piace ricordare i passi di chi ha reso possibile tutto ciò: la regista Francesca Tricarico e la sua grande determinazione.

Per i detenuti nel nostro paese la Costituzione italiana sancisce all'articolo 27 comma 3 che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso d'umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". Nonostante la Costituzione per applicare quell'articolo si è dovuti arrivare al 1975 e alla riforma penitenziaria (legge 354) che ha sostituito definitivamente il regolamento fascista del 1931: un passo verso la civiltà.È nello spirito di questa attitudine verso i detenuti che sono nate tante iniziative che potremmo definire culturali o di inclusione all'interno di istituti di pena.

Francesca Tricarico inizia la sua frequentazione dell'ambiente carcerario nel 2008, partecipando ad un master di teatro sociale della Sapienza che si svolgeva all'interno della sezione maschile Alta Sicurezza del carcere di Rebibbia. Questa esperienza di cinque anni le offre la possibilità di lavorarecon i fratelli Taviani per la regia del film “Cesare deve morire”, film che viene interpretato da un gruppo di carcerati e vince l'Orso d'Oro a Berlino nel 2012, oltre ad ottenere varie nomination sia per l'Oscar che per altri premi.

Dopo il successo del film, Francesca Tricarico inizia a chiedersi come mai non si parla mai di attività culturali per le detenute alle quali vengono proposte cucina, cucito e qualche sfilata. In poche parole l'ambiente carcerario, pur nella sua parzialità, rappresenta uno spaccato tipico della società italiana. Esiste una spiegazione oggettiva: la popolazione carceraria maschile è molto più numerosa di quella femminile (ancora uno spaccato della società italiana), il rapporto è di circa 96 uomini e 4 donne ogni 100 detenuti. Poi c'è una spiegazione soggettiva che viene fornita da più parti alla regista: "le donne sono più difficili" e questa è la leva decisiva che la convince a presentare il progetto di lavoro con le detenute.

Gli inizi sono difficili, le detenute sono diffidenti, la regista racconta di aver impiegato più di un anno per conquistare la loro fiducia ma una volta ottenuto quel risultato il percorso è stato sempre verso il miglioramento della collaborazione. Le detenute coinvolte nel progetto teatrale hanno iniziato a leggere, fare ricerche in biblioteca, proporre testi da rappresentare. Non si tratta mai dell'interpretazione di un autore, come faremmo nel teatro classico, ma della elaborazione di storie e personaggi coniugati con il carcere e i rapporti che vigono all'interno.

La prima volta de "Le Donne del Muro Alto" è un'opera su "Didone, una storia sospesa”, tratto dal IV canto dell'Eneide e rappresentato nel 2013. Così Francesca Tricarico descrive quella elaborazione teatrale: "Scelta, maternità negata, potere e sue conseguenze sono i temi che attraverso Virgilio siamo andate ad indagare in questo nuovo lavoro. Un lavoro che ci ha confermato, ancora una volta, quanto il carcere come i grandi autori siano un'importante lente di ingrandimento sulla società e sull'individuo”.

Nel 2014 l'esperienza teatrale a Rebibbia rischia l'interruzione a causa di mancanza di fondi. Nonostante il progetto sia stato ammesso al finanziamento regionale i fondi non sono sufficienti, nasce così l'idea del crowfunding che permetterà di rifinanziare il progetto.

Sarebbe stato un grave danno interromperlo perché il teatro fatto dalle detenute, secondo la regista: "È un'attività terapeutica e pedagogica, che porta un cambiamento dentro di loro e nella comunità. Perché, come diceva Dostoevskij 'il grado di civiltà di una società si misura dalle sue prigioni'".

Si va avanti e nel 2015 "Le Donne del Muro Alto" portano in scena lo spettacolo "Olympe De Gouges - Quando si inizia a tagliare i pensieri si finisce con il tagliare le teste.La regista ci tiene a sottolineare che il soggetto è stato scelto dalle detenute, la storia di una donna che ha cercato fino alla ghigliottina di ricordare ai francesi che "libertà, uguaglianza e fraternità” erano privilegi esclusivamente maschili e che dopo aver preso parte alla rivoluzione rivendicava l'uguaglianza giuridica e legale tra donne e uomini. Olympe verrà incarcerata per le sue idee e poi ghigliottinata il 3 novembre 1793. "Durante tutta la fase di preparazione dello spettacolo - spiega la regista - ci siamo interrogate sul significato oggi di Repubblica, giustizia, uguaglianza, su cosa volesse dire governare per il bene comune analizzando la differenza tra scrivere delle leggi ed applicarle”. Chissà che un giorno queste riflessioni non possano arrivare anche sui banchi di scuola.

"Ramona e Giulietta", arriva subito dopo la pandemia ed è la rivisitazione del dramma shakespeariano adattato all'amore tra due donne, ancora una volta specchio di istanze della società civile. Non a caso nel 2017 a Rebibbia è stata celebrata tra due detenute, dal vicesindaco Frongia, la prima unione civile in un penitenziario italiano.

Così Francesca Tricarico: "In questi sei anni di lavoro a Rebibbia femminile abbiamo sempre cercato nei testi dei grandi autori le nostre necessità per dare voce alle nostre urgenze che negli anni abbiamo scoperto essere anche le urgenze della società fuori dal carcere, solo le nostre un po' più intense, amplificate. Questo è stato uno dei lavori più complessi da realizzare per la tematica scelta e non solo, un tema fortemente voluto dalle mie attrici che realmente si sono divise nelle loro differenti visioni sull'argomento. Un confronto vivo, vero, ci ha accompagnato per tutto il tempo del laboratorio e dell'allestimento dello spettacolo, ricordandoci la forza del teatro come strumento non solo per far sentire la propria voce ma di confronto prima con se stessi e poi con gli altri”.

Oggi alla festa del cinema di Roma 2022 la compagnia "Le Donne del Muro Alto" porta in scena tra serio e faceto il dramma "Medea in Sartoria". Ispirata alla Medea di Euripide, di Ovidio, al film del 1969 di Pasolini con protagonista Maria Callas, alla scrittrice Christa Wolf che vi identifica lo spaesamento dei cittadini della DDR dopo la riunificazione, il soggetto di "Medea in sartoria” è un dialogo fra due operaie che alla macchina da cucire si interrogano sull'arrivo di una collega rumena e del suo bambino. Intorno al tema dello sfruttamento del lavoro e soprattutto di quello femminile si intrecciano i sogni, le speranze, il razzismo (Colchide o Romania), le aspettative e la rassegnazione. E le differenze fra le tre scompaiono.

Francesca Tricarico ha tenuto a sottolineare in apertura che a Rebibbia diversi anni fa era stato sconsigliato di lavorare sulla figura di Medea, personaggio molto complesso e che avrebbe potuto suscitare comportamenti non lineari. Ma non è stato così.

Oggi le attrici de "La Compagnia del Muro Alto“ sono ex detenute o comunque in regime di semilibertà, anche il teatro ha avuto la sua importanza nelle decisioni dei giudici. Sono attrici regolarmente retribuite per il loro lavoro e il teatro è anche accompagnamento post detenzione.

La regista ha dato tanto a questo gruppo di detenute, alla domanda che cosa loro abbiano dato a lei risponde così: "Loro mi hanno dato una grande forza e determinazione, il coraggio di mettersi a nudo perché sono già state giudicate, quindi con loro si lavora sulla verità e noi non possiamo essere da meno”.

Ora partirà la tournée di “Medeain Sartoria”. "Speriamo siano in tanti ad ospitarci e speriamo arrivino anche sostegni economici“ si augura la regista.

Quando le recluse e i reclusi incontrano la lungimiranza delle figure dirigenziali del carcere e l'impegno di persone come Francesca Tricarico e il suo staff possiamo affermare che l'art. 27 ha trovato la sua applicazione. Non sempre succede, ed è la ragione per supportare questi esempi di inclusione carceraria perché saranno un beneficio anche per la collettività.


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