Lunedi, 12/11/2018 - Non sappiamo che cosa ha potuto indurre una madre a gettare i suoi bambini dalle scale. E’ successo a metà settembre a Roma; non ce ne ricordiamo più e se non dico dove è successo, il giudizio comune torna alla pietà per una povera donna impazzita. Ma è successo a Rebibbia, dove anche la pazzia è di casa strutturalmente. Dove, soprattutto, non ci dovrebbero stare mai dei bambini. Eppure non è successo niente.
Sommessamente oso dire che mi è mancata un’iniziativa tipo #metoo, dopo questo terribile vicenda, a cui è seguita a suo tempo solo la sospensione dal servizio dei dirigenti da parte del ministro Bonafede che non si sa neppure se avrà accolto la richiesta della polizia penitenziaria di ordinare una commissione permanente di vigilanza sulle carceri.
La povera madre, una tedesca nata georgiana, aveva detto cose allucinanti, era sicura che i bambini fossero in paradiso, “adeso sono liberi”. Solo un caso penoso? Ma in Italia, oggi, una sessantina di bambini si trova a vivere in carcere accanto alle loro mamme. Una situazione inaccettabile e una legge del 2011 che prevede la custodia attenuata per le detenute madri: attualmente solo 5 carceri sono attrezzate. Impossibile estendere i domiciliari: osta l’art.47 del codice penitenziario, nonostante una sentenza della Corte Costituzionale ne abbia rilevato l’illegittimità.
La legittimità dei diritti dell’infanzia è rimasta a carico del volontariato. La lunga attività di Leda Colombini a Rebibbia ha portato ad avere a Roma “la casa di Leda”, dedicata ad una grande amica, la partigiana Leda, la ragazza della Federbraccianti divenuta dirigente del Pci e, poi parlamentare. Una donna di grande intelligenza, di forte tempra, ma di grande dolcezza. Dopo l’attività istituzionale aveva scelto di investire il dovere dell’impegno sociale di sempre a favore dei diritti umani dei carcerati: presidente dell'associazione “a Roma Insieme”, ha promosso iniziative culturali importanti; ma non poteva non rendersi conto della presenza di mamme detenute con i loro bambini. Dopo la sua scomparsa le amiche e le collaboratrici hanno dato il suo nome alla struttura che il sindaco Marino ha assegnato in una bella villa romana sequestrata alla mafia, attrezzata e consegnata lo scorso anno a “Casa di Leda” dalla sindaca Raggi. Inaugurazione tra le proteste degli abitanti del quartiere preoccupati per la possibile fuga di delinquenti e di brutte presenze in zona (ovviamente meglio i mafiosi). Un grande esempio: mamme e bambini che non debbono vivere in celle chiuse da sbarre. Ma Leda merita di completare l’opera: siamo chiamati a cercare di promuovere una legge necessaria per un paese che si creda civile.
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