Giovedi, 13/10/2011 - “La storia di solito la scrivono i vincitori. Io invece tento di scriverla dal punto di vista dei vinti, cioè delle persone di buon gusto e di buon senso, e delle femmine”. Daniela Brancati è stata la prima direttora di un telegiornale nazionale della Rai (Tg3, 1994) e, con esperti occhi di donna, ha scritto una storia della televisione completandola con una significativa cronologia e con un dizionario biografico al femminile di oltre 800 nomi. Nell’Introduzione Franco Cardini sottolinea l’assenza di celebrazioni e, infatti, l’intento dell’autrice è soprattutto sollecitare una riflessione sul fatto che “le donne non sono innocenti”.
L'immagine offerta del femminile in tv è mortificante per la dignità e per le reali capacità e competenze che esprimono le donne, le quali - lei sostiene - sono al contempo vittime e carnefici. Perché?
Innanzitutto perché quando c’è un così grande smottamento culturale quale quello verificatosi appunto negli ultimi venti anni, nessuno si può chiamare fuori. Certo le responsabilità sono diverse: c’è chi ha avuto parte attiva e chi non ha voluto/saputo opporre adeguata resistenza. Ma il mio riferimento più preciso è a quelle donne che consapevolmente scelgono le scorciatoie per fare carriera, anziché affermarsi grazie al lento e faticoso percorso che è richiesto alla media delle persone. Sento spesso dire ‘ma la tizia è laureata in ingegneria’ come dire si spoglia in tv ma è un’intellettuale. Per me è un’aggravante: se sei una poveretta senza mezzi culturali adeguati capisco pure che tu ricorra ad altri mezzi, ma se hai la potenzialità per ottenere un lavoro serio con modalità adeguate, allora è solo tua la responsabilità di scegliere.
Non a caso il libro è completato da un "dizionario biografico delle oltre 800 donne che hanno fatto la nostra televisione". Quale era il suo scopo nel redigere questo elenco?
Sono tre i buoni motivi. Ogni volta che qualcuno legge tutti quei nomi si stupisce: ma davvero ci sono così tante donne in tv? L’elenco biografico è utile per capire quanta ingiustizia permane nella visibilità e riconoscibilità delle donne. Il secondo: metterli tutti in fila mi consente di rendere riconoscimento a chi spesso senza onori e luci della ribalta ha contribuito alla grande crescita del mezzo. Infine questo libro – sia pur passionale e apertamente parziale – vorrebbe durare e servire da documentazione. Non a caso una storia della tv al femminile non era mai stata scritta prima. Io stessa ho constatato che nei volumi preesistenti moltissime donne che pure sono state davvero rilevanti non sono neanche citate. Ora chi voglia documentarsi può farlo su un volume che non discrimina il genere femminile.
“Se chiediamo alle aziende di non inquinare più aria, acqua e terra, possiamo chiedere alle imprese televisive di non inquinare più le menti". Qual è il senso di questa perentoria affermazione nelle conclusioni del suo libro?
Da molti anni – una ventina almeno – si parla di responsabilità sociale delle aziende. Si chiede loro di bandire il lavoro minorile e in schiavitù, di tutelare l’ambiente in cui operano. Giustissimo, ma non esiste solamente l’inquinamento materiale, esiste anche l’inquinamento delle menti che passa attraverso le proposte di modelli culturali e sociali fatte dai mezzi di comunicazione di massa. Quanto influisce sull’autostima delle ragazzine il vedere in video solo donne bellissime levigate e perfette come non ne esistono in realtà? Quanto influisce sul ricorso alla chirurgia estetica come ‘regalo di diciottesimo compleanno? Quanto influisce sulle relazioni fra maschi e femmine la continua offerta di nudi femminili o quarti di donna nei programmi più insospettabili, come quelli di informazione o per famiglie nelle cosiddette fasce protette? E quanto influisce sulla concezione del ruolo della donna il fatto che le donne siano sempre e quasi solo interpellate a rappresentare l’opinione comune, raramente come portatrici di competenza. Eppure le statistiche ci dicono che le donne studiano di più, ma in tv sembrano tutte analfabete di ritorno. Da qui il titolo del mio libro Occhi di maschio, perché anche quando la donna sembra protagonista, è sempre il punto di vista maschile quello che prevale nella sua rappresentazione. Purtroppo quasi senza soluzione di continuità dal ’54 a oggi, ma con un netto deterioramento dell’immagine dalla fine degli anni ‘80.
Un altro lavoro impegnativo che offre alla lettura è la cronologia comparata tra le tappe salienti della politica, le conquiste delle donne e l'evoluzione del mezzo televisivo. Cosa emerge dalla sua analisi a suo parere?
Che la televisione ha fatto molta fatica a registrare le conquiste femminili e ancor più a stare al passo con l’effettivo ruolo della donna nella società italiana. d’altronde la tv è dominata dalla politica e la politica non è tenera e riconoscente con le donne.
Un libro senza retorica al femminile, scrive Franco Cardini nell'Introduzione, elogiando la sua capacità di aver proposto una "storia della società italiana attraverso la Rai" senza cedere alla tentazione celebrativa (anche) del centenario dell'8 marzo. C'è un mistero da svelare, se il titolo (e anche la copertina) alludono, invece, al maschile che ha prevalso nel mezzo televisivo?
Ringrazio moltissimo il professor Cardini per la sua introduzione e per aver accettato di confrontarsi – lui storico insigne – con una storia scritta da una persona come me che storica non è ma è stata osservatrice e protagonista della televisione per tanto tempo. Il professore da buon toscano è persona schietta e per questo il suo parere tanto positivo mi ha confortato. Chi mi conosce sa che sono poco incline ai riti e alle celebrazioni, anche se a volte sono utili: non avrei mai scritto un libro celebrativo o retorico. Come dicono gli americani nei momenti duri i duri iniziano a giocare e questo per le donne è il momento di mettersi in gioco e dimostrare che sanno giocare, non di autocelebrarsi. In qualche modo questo è il mio contributo alla nostra lotta. Chi lo leggerà vedrà che Occhi di maschio è anticonformista e scomodo e – certo – già dal titolo dichiara che è ora di finirla con il prevalere del punto di vista maschile nel mezzo tv.
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