Giovedi, 19/09/2019 - Il racconto di Stefania lo Piparo “Quando l'amore diventa follia” è stato scritto grazie alla lungimiranza dell'editore, Armando Siciliano, che ha creduto nel potere forte delle parole, depositate con sofferenza e forza nella Storia di “Quando l'amore diventa follia”. Un racconto che ha colpito molto anche me, autrice del libro “Non mi toccare” storie di violenze di genere nei paesi del Sud, edizione Aracne.
La narrazione della Lo Piparo è anticipata da una frase di Oriana Fallaci: “vi sono momenti nella vita in cui tacere diventa una colpa e parlare diventa un obbligo, un dovere civile, una sfida morale”.
Certo che se fosse così avremmo già risolto metà dei nostri problemi di donne, che stentano a raccontare. Ma che se raccontano e denunciano, poche sono le persone che le appoggiano nel cammino, anche solo per testimoniare i maltrattamenti in cui sono stati presenti. Molti sono a defilarsela, come se non fosse un dovere testimoniare un fatto. Un fatto è un fatto.
La storia d'amore di Stefania l'ha fatta soffrire fin quasi a morirne. Un dramma in 5 atti come le antiche tragedie greche, che lei siciliana nel sangue conosce bene perché è nel nostro DNA di meridionali essere magnogreci.
Una storia assolutamente vera ci dice l'autrice, che “mi ha molto provata ma che mi ha dato una forza incredibile, forza che mi è servita per dare battaglia a chi mi infangava, e io invece volevo fare emergere la verità, a tutti i costi, per la mia etica e per il mio essere”.
L'opera è dedicata a chi non si è mai staccato da Stefania durante gli anni travagliati di amore non amore: il figlio e i suoi genitori.
La sua storia inizia a raccontarla il 29 Dicembre 2014, una data che per chi scrive questo articolo non è casuale. Cosa facevo quando Stefania iniziava il suo racconto? Annotavo anche io sul mio diario le umiliazioni, offese, la mia voglia di uscire dal tunnel con frasi come: “rigenerare valori con fantasia ed emozione”. Che grande espressione di coraggio fuoriesce nello scriversi, per tracciarsi e rintracciarsi, questo fa Stefania con Giano, questo fa Elena con Mirko. Elena e Stefania che dopo la tragedia si pongono domande. Domande potenti, domande guida. Esiste una presenza interiore che chiede spazio, chiarezza, domande e spiegazioni.
Anteporre il principio della coscienza alla propria sopravvivenza, difendere la dignità umana. Questo ha fatto Elena, questo ha fatto Stefania: vivere secondo la stella polare dell'etica della responsabilità. Quella che ti porta a continuare a vivere per mettere a nudo la verità e smascherare chi non conosce il concetto di legalità. Chi delinque per il gusto di umiliare una donna. Fare silenzio su chi compie un illecito, soprattutto nelle pareti domestiche, significa vivere in connivenza con chi delinque. Ma per questo ci vuole coraggio e ci vuole tempo. Ogni donna ha i suoi tempi.
Mi fanno tenerezza i miei diari, quelli in cui continuo ad annotare il mio attaccamento alla vita, nonostante le privazioni e vessazioni; molte le pagine in cui scrivo cosa fare prima di Natale con gli alunni, come affrontare momenti di bullismo, come esprimersi al meglio durante le ore di Narrativa. E intanto soffrivo. Ma la schiena dritta l'ho sempre avuta fino all'ultimo giorno. Chissà se anche Stefania aveva un diario in cui annotava le cose, non lo so. Ma di una cosa sono certa: che anche lei camminava con la schiena dritta e continua a farlo, alta e fiera come un albero alto. “Bisogna morire come gli alberi, in piedi” diceva la mamma di Alekos Panagulis incoraggiando il figlio a portare avanti i diritti civili, nonostante le minacce e le torture. E questo continueremo a fare anche noi donne nonostante le minacce e torture di chi non accetta il nostro essere “libere di pensare, di sognare, di parlare.
Elena Manigrasso
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