Titti De Simone, infermiera, ha creato lo scorso marzo il progetto “L’Emozionario dei Professionisti Sanitari”....
SONO SOLO UNA INFERMIERA. Riflessioni di gennaio
Titti De Simone, infermiera, ha creato lo scorso marzo il progetto “L’Emozionario dei Professionisti Sanitari”, sollecitata da un bisogno di rinascita interiore, dall’ esigenza di ritrovare un posto nel mondo e ritrovare sé stessa, nella cornice imposta dalla pandemia.
È ripartita dalla sua comunità e dalla necessità di elaborare emozioni, stati d’animo per dotarsi di strumenti di autocura e di crescita personale e professionale.
Le sue riflessioni, pubblicate di seguito, ci sollecitano immagini ed emozioni pregnanti e ci ricordano quanto sia faticoso e quotidiano il lavoro di integrazione del bene e del male cui è costretto il personale sanitario nelle corsie d’ospedale.
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Cosa voglio essere nel mondo?
Quale è il posto che ho deciso di occupare nella comunità che abito?
Negli ultimi anni, da quando sono diventata una infermiera, convinzioni e priorità si sono ribaltate, si è sgretolata l’idea che avevo di me.
E ho imparato così tante cose da quando indosso questa divisa che talvolta gli anni che sono passati prima mi sembrano vuoti.
Ho imparato a tenere la mano a chi sta morendo.
A lavare il corpo dolente ed affaticato di un essere umano che chiede solo di dormire per sempre.
Ad occupare la prossimità con l’altro in mille modi diversi ma con un unico obiettivo: stare accanto senza giudizio e con onesto agire.
Ad attendere che una brutta notizia passi dalle orecchie agli occhi divenendo realtà nel cervello di chi occupa la stessa stanza in cui un camice bianco ha dato una prognosi.
Ho appreso gesti e parole per insegnare ad una mamma come attaccare al seno il suo bambino, per regalarle uno sguardo di normalità in un devastante percorso di malattia.
Ho educato genitori a fare cose sul corpo dei figli al cui ricordo il cuore perde un battito.
A toccare, stringere, guardare, ascoltare
In un modo che è difficile da spiegare a chi non fa il mio stesso lavoro.
Poi è arrivato il Covid.
E mi sono sentita dalla parte sbagliata del mondo.
In un piccolo esercito eletto a difendere baluardi via via più fragili.
Niente tamponi, niente DPI, niente nuove assunzioni, niente risorse.
Solo io. I miei colleghi. Le nostre nude mani. Ed i nostri cuori.
Telefonate e messaggi nel cuore della notte a toccare i diversi capi della città, paure, disgusto, vuoto, “Non ce la faccio più”, “Stamattina ne abbiamo trovati morti 5”, “Non riusciamo a sedarli, mancano i farmaci”, “Non ho mai visto tanti morti in vita mia”, “Non ho la forza di alzarmi dal letto”.
Qualcosa resta anche quando nulla sembra restare.
Io restavo.
Ed avevo bisogno di sopravvivere, rinascendo.
Attraverso le emozioni e la loro elaborazione.
Attraverso la consapevolezza di ciò che faccio, ciò che sento, ciò che decido di essere.
Attraverso la capacità di ridisegnare i miei confini che si spostano ad ogni momento, ad ogni nuova relazione d’aiuto.
Attraverso la comunità viva e pulsante di esseri umani con cui condivido questa prospettiva della realtà
Sono solo una infermiera.
Ed ho bisogno di riscrivere il mio modo, il mio mondo.
Dare un significato a ciò che provo, dare un peso specifico alle connessioni che sono in grado di creare con tutti i componenti dell’équipe in cui lavoro, attribuire un valore a ciò che faccio, alle mie competenze relazionali, legittimandole, restituendo loro dignità e spazio.
Il mio contributo ad una cultura delle relazioni intra ed interpersonali autentiche e costruttive è l’Emozionario dei Professionisti Sanitari.
Un luogo dove imparare strumenti di autocura che possano fornire un aiuto a chi come me ogni giorno ci prova, come essere umano, ad assistere, a stare accanto, occupando quello spazio di prossimità tra dilemmi etici, fatica, paura, ferite.
Un gruppo in cui ragionare attraverso storie e narrazioni differenti, vivide e potenti, che continua ad interrogarsi nonostante la fatica, il dolore, nonostante tutto.
È questo che voglio essere nel mondo.
Un essere umano capace di interrogarsi, di esplorare attraverso uno sguardo intenzionale e consapevole le diverse sfumature di emozioni ed umanità che quotidianamente tocca durante le sue ore di lavoro.
Un essere umano in grado di riconoscere i limiti e le possibilità di questa professione che, come nessun’altra, ti insegna ad occupare vuoti per rendere vita ogni spiraglio.
Un essere umano.
Solo una infermiera.
Titti De Simone
Mi trovate agli indirizzi emozionariosanita@gmail.com e desimone.titti@gmail.com
Sto lavorando al sito del progetto all’indirizzo www.emozionariosanita.com
Testo pubblicato l'11 gennaio 2022 anche nel sito dell'Istituto Italiano di Bioetica
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