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Sguardo a Oriente di Dacia Maraini

Sguardo a Oriente di Dacia Maraini

"Lo scopo della scrittura è far conoscere i soprusi, le violenze e le discriminazioni. E la voce di chi non può parlare, perché le parole a quelle persone sono state tolte con la forza..."

Martedi, 09/05/2023 - Michelangelo La Luna ha raccolto e organizzato, per Marlin editore, ricordi, racconti e riflessioni che Dacia Maraini ha scritto nel tempo sull’Oriente. Tutto ciò che sta tra lo Yemen e il Giappone. Motivo degli articoli: riflessioni, libri, letture tenute negli Istituti di cultura italiano.

Sguardo a Oriente di esotico ha molto poco. I pezzi che compongono il libro sono una riflessione sulla condizione umana e identitaria della donna, dei bambini, nei regimi totalitari, nei crimini di guerra e di tutte quelle persone che non hanno voce.

È un libro dolce e amaro e, allo stesso tempo, crudo. In cui si parla di cultura, di libri da tradurre in italiano, per permettere di conoscerne il senso di un paese (come il Giappone). Ma anche delle atrocità che si commettono nelle Filippine, e nei regimi autoritari. L’Oriente per la Maraini è l’Afghanistan, la Birmania, battezzata dai militari col nome di Myanmar, la Cina, la Corea del Nord e la Corea del Sud, Manila nelle Filippine, Calcutta in India, ma anche l’Iran, Israele, il Kurdistan, il Pakistan, la Palestina, la Siria, l’Indonesia, la Malesia, il Vietnam, il Tibet, la Turchia, lo Yemen.

L’Oriente della Maraini è donna. La donna afghana che mette il velo non per scelta, ma perché costretta da una legge prevaricatrice. È il bambino che vene indottrinato dal fanatismo religioso, a cui è precluso tutto il resto. Ma è anche i corpi di giovani monaci birmani, calpestati dai carri armati dell’esercito, solo perché chiedevano libere elezioni, libertà di parola e di religione. È anche il mercato dei corpi dei bambini di Manila: sfruttati, stuprati, seviziati, venduti. Bambini cresciuti per strada, o peggio ancora rinchiusi in prigioni fatiscenti lasciati a morire. L’Oriente è la ragazza indiana che su un autobus a New Delhi viene stuprata da sei giovani davanti al fidanzato, legato e ridotto al silenzio a furia di pugni e calci.

Maraini critica anche il mondo Occidentale che resta muto. E che ha storicamente dato l’avvio, con il Colonialismo e l’Imperialismo e la Guerra Fredda, a questa deriva di povertà e di non-diritti.

Infatti scrive: «la storia insegna che quando un gruppo sociale, una oligarchia religiosa o militare, prende il potere, cerca di fissare due egemonie importantissime: una sulla morte e una sulla vita. Il controllo sulla vita riguarda il ventre delle donne.»

Della Cina si ricorda non solo il viaggio con Alberto Moravia, compagno della scrittrice e narratore tra i migliori, ma anche il disprezzo per le gonne portate dall’autrice, come ‘espressione di decadenza borghese’, in un mondo in cui le donne cinesi, siamo negli anni Sessanta, vestivano con i pantaloni. Oltre a questo Maraini ricorda le frasi di Mao Zedong che venivano regalato agli ospiti un po’ ovunque, e le librerie colme di libri rossi, unici libri che si dovevano leggere.

Sguardo a Oriente di Dacia Maraini si lega perfettamente alla riflessione alla base della scrittura dell’autrice perché ognuno di questi articoli di questo libro è un atto di coraggio, di testimonianza dei diritti civili negati in paesi straordinariamente belli, ma in cui la libertà di pensiero viene punita, in alcuni casi, anche con la morte.

Lo scopo della scrittura è quello di far conoscere i soprusi, le violenze e le discriminazioni. E la voce di chi non può parlare, perché le parole a quelle persone sono state tolte con la forza. La scrittura deve diventare un veicolo, allora, per mostrare cosa avviene a chi non sa e a chi sa e fa finta di non sapere. Andare insomma contro «il silenzio che sta dentro le orecchie di chi non vuole ascoltare. Il silenzio che sta anche nelle redazioni dei giornali che regolarmente hanno sottovalutato o rifiutato le proteste, numerosissime, presentate in forma di articolo, di appello, di denuncia o di racconto».

Sguardo a Oriente è anche un ritorno alle origini. Dacia Maraini aveva solo due anni quando il padre Fosco, scrittore e antropologo, per allontanarsi dall’Italia fascista chiese di essere trasferito con la famiglia in Giappone, dove vissero dal 1938 al 1947 e dove nacquero le due sorelle di Dacia. Ma nel 1943 non volendo riconoscere la Repubblica di Salò, i Maraini furono internati nel campo di Tempaku, a Nagoya.

Le parole dedicate al Giappone sono delicate. Non c’è rancore per quella terra che si è rilevato luogo di dolore e sofferenza. Il Giappone diventa seconda patria. Ne racconta i lati oscuri, la guerra e la crudeltà gratuita, la fame. Ne racconta la brutalità del campo di concentramento, ma anche il fascino, la gentilezza dei contadini locali che, dopo una giornata di lavoro le davano qualcosa da mangiare, pur consapevoli che avrebbero rischiato la vita, se i militari li avessero scoperti.

Il Giappone ha cambiato il modo di vivere della Maraini per sempre, «ero una bambina ma la mia memoria ne è stata marcata a fuoco per sempre. Ho ancora negli occhi le bombe che si disegnavano sul cielo terso in una mattina nitida di agosto, nel campo di concentramento per antifascisti di Tempaku», scrive ad un certo punto.

Sguardo a Oriente colpisce ma anche incuriosisce, perché si capisce come l’intento della scrittrice sia quello di far riflettere, ma anche di «mettere in bocca al lettore dei profumi, dei sapori, degli odori vecchi e nuovi che gli comunichino il gusto della vita sensibile, il gusto di una quieta vita quotidiana fatta di piccole cose importanti contro la violenza e la volgarità di una guerra di odio universale».


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