Siamo all'inizio della cosiddetta Fase 2 e molti nodi critici non sembrano ancora sciolti. E’ indispensabile ricostruire una visione di lungo periodo sul modello sociale da perseguire e sui valori che lo definiscono.....
Giovedi, 07/05/2020 - di Stefania Graziani, Laura Onofri, Chiara Rivetti
Nonostante gli enormi sforzi già fatti per reagire all’emergenza Coronavirus, che hanno coinvolto sia le istituzioni sia i cittadini, molti nodi critici relativi alla cosiddetta fase due non sembrano ancora sciolti. Mentre il Presidente del Consiglio si affida al senso di responsabilità degli Italiani nella pratica del distanziamento sociale (ma sarebbe forse meglio dire “fisico”, perché la comunicazione interpersonale non è mai venuta meno), da altre parti si chiede la riapertura tout court delle attività economiche, sottovalutando gravemente il rischio sanitario.
Le principali preoccupazioni dei sanitari in relazione alla riapertura, sono legate una possibile ripresa dell’epidemia, con una seconda ondata che metterebbe in ginocchio il sistema sanitario ora ancora alle prese con migliaia di pazienti ricoverati per Covid. Soprattutto in alcune regioni, gli sforzi degli ospedali per la gestione dei Covid rischiano di lasciare indietro i pazienti affetti da patologie non Covid: per la sospensione dell’attività ordinaria, per la trasformazione di interi reparti in reparti Covid e perché i pazienti stessi decidono di rimandare interventi e controlli per paura del contagio.
Se la curva dei contagi non prosegue nella discesa, avremo non solo vittime direttamente legate al coronavirus, ma anche altre, per patologie comuni che il sistema fa più difficoltà a seguire. Pertanto è indispensabile che la fase due avvenga in sicurezza e che tutto sia pronto per limitare e prevenire la diffusione del virus.
E’ necessario dunque saper identificare precocemente i sintomatici, isolarli , ricostruire la loro rete di contati e testare tutti con i tamponi . Per fare questo è indispensabile avere i tamponi, i laboratori dove analizzarli, un’organizzazione efficiente del territorio per la trasmissione delle informazioni, il personale per l’ adeguato monitoraggio clinico dei malati. Devono essere previsti luoghi sicuri dove isolare i pazienti Covid, affinché non contagino le loro famiglie.
E’ necessario definire percorsi precisi nei luoghi di lavoro, per garantire la sicurezza dei lavoratori. Gli ospedali in particolare non devono più trasformarsi da luogo di cura in luogo del contagio: i sanitari devono avere gli adeguati Dpi per evitare di diventare essi stessi vettori di infezione. La popolazione deve essere rifornita di maschere chirurgiche, che almeno nei primi mesi dovranno essere obbligatorie.
E’ necessario modificare gli orari di negozi e uffici, per impedire che vi siano “ore di punta”, vanificando il distanziamento.
E’ indispensabile prevedere Rsa totalmente dedicate agli ospiti Covid positivi, perché nelle case di riposo sono concentrati pazienti fragilissimi e al primo caso l’ epidemia esplode con forza detonatrice. Quando il numero di pazienti Covid sarà inferiore all’ attuale, bisognerà valutare la creazione anche di ospedali Covid o non Covid.
Bisogna prevedere infine una catena di comando certa. Ogni Regione ogni ospedale adotta sistemi diversi.
È necessario far tesoro degli sbagli, guidare la fase due e dimostrare di saper gestire unitariamente tutti questi problemi. E’ chiaro che la quarantena delle famiglie nelle proprie abitazioni non può avere durata illimitata, ma allo stesso tempo è indispensabile elaborare soluzioni definite e strutturate che permettano a mano a mano di ripartire in sicurezza. Il lavoro e la scuola sono forse i problemi più grandi da risolvere, l’uno legato all’altra.
Come avranno fatto i lavoratori dei settori essenziali, che non si sono fermati, con i bambini rimasti a casa per la chiusura delle scuole? Nessuno lo sa, visto che anche i nonni erano irraggiungibili. E come faranno quelli che torneranno al lavoro nella fase due?
Le madri e i padri si troveranno come sempre a inventare sistemi rocamboleschi e autogestiti per sopperire all’attività di cura dei figli, in mancanza di servizi per l’infanzia efficaci e a costi accessibili.
La questione richiede di essere affrontata su entrambi i fronti: ai bambini deve essere garantito il diritto all’istruzione e ai lavoratori la sicurezza sul lavoro, la possibilità di lavorare senza ammalarsi. Dove non sia possibile utilizzare lo smart working, devono essere predisposte soluzioni organizzative e condizioni di lavoro nuove che tengano conto del rischio di trasmissione del virus.
Ma lo Stato deve esercitare in questo caso il ruolo di verifica e controllo che gli compete attraverso gli strumenti di cui dispone.
Non è accettabile che si ripeta quello che è successo negli ospedali, dove gli operatori sanitari sono andati incontro al contagio a mani nude, senza dispositivi di protezione. E interventi importanti sono necessari sul sistema sanitario pubblico, travolto dall’emergenza Covid-19 nella condizione di fragilità alla quale lo hanno ridotto anni di tagli indiscriminati e privatizzazioni.
Sono molte le riflessioni sui cambiamenti che la pandemia ci ha costretto ad intraprendere in pochissimo tempo. Si discute su quanto di questi cambiamenti rimarrà anche dopo il ritorno alla normalità, e se sarà veramente possibile tornare ad una qualche normalità. Si dice che nulla sarà più come prima. E sono grandi le aspettative nei confronti dell’opportunità di imprimere una nuova direzione ai processi sociali nei quali siamo immersi.
L’emergenza sanitaria ha toccato i nervi scoperti e lasciato sotto gli occhi di tutti le criticità più urgenti: la condizione di emarginazione del lavoro nero, la povertà dei senza dimora, la violenza di genere nelle convivenze forzate, quanto sia indispensabile il lavoro a basso costo degli immigrati, i rischi della precarietà occupazionale, la fragilità del sistema sanitario, la disparità di genere, ancora una volta venuta alla luce proprio nel momento in cui ci sarebbe stato più bisogno anche di una visione femminile per affrontarla, solo per nominarne alcuni.
La crisi attuale ha portato i nodi al pettine, e ha generato la consapevolezza che questi problemi non possono più aspettare, che nessuna normalità è possibile senza interventi specifici nei settori che richiedono una ridefinizione delle priorità e dei metodi di azione.
Lo Stato deve riassumere su di sé il ruolo di coordinatore e ispiratore delle funzioni istituzionali, ruolo che è mancato ad esempio nel momento in cui le Regioni si sono mosse in ordine sparso per contenere l’epidemia.
E’ indispensabile ricostruire una visione di lungo periodo sul modello sociale da perseguire e sui valori che lo definiscono, proprio a partire dall’integrazione dei cambiamenti positivi che l’emergenza ha creato, come l’urgenza di interventi di redistribuzione della ricchezza a compensazione delle disuguaglianze di reddito.
O una radicale inversione di marcia delle politiche neoliberiste che impongono l’impoverimento e il ridimensionamento sistematico del welfare e del settore pubblico nel suo complesso, di cui abbiamo visto i danni peggiori in termini di vite umane nel sistema sanitario.
Che lo Stato faccia lo Stato, assumendo il ruolo centrale di elaborazione ed implementazione di politiche industriali che incentivano la responsabilità sociale delle imprese, di politiche di contrasto della disuguaglianza sociale, di recupero di un welfare che garantisca i diritti fondamentali alla salute, all’istruzione, al lavoro.
Tutti considerano ormai inevitabile una forte iniezione di liquidità nel sistema economico globale.
Perché non intraprendere un programma di investimenti pubblici contro la recessione economica che si prospetta? Gli ospedali hanno bisogno più che mai di medici e di infermieri, la scuola ha bisogno di insegnanti, la pubblica amministrazione e la ricerca sono ormai ridotte al lumicino.
In questa fase e nella successiva e in quella di lungo periodo, che sarà ancora più complessa, non si può chiedere ai cittadini senso di responsabilità, che pure non è mancato nella maggior parte dei casi, senza offrire in cambio una visione precisa sia dal punto di vista sociale economico che da quello medico sanitario anche sul lungo periodo.
A tutti è ormai chiaro che questa pandemia è stato un evento imprevedibile, di una portata eccezionale e che ha sconvolto il mondo. I Paesi hanno mostrato approcci molto diversi tra loro per affrontare l’emergenza, anche cambiati in corso d’opera, adattandoli al procedere e al dilagare del virus. Da un’iniziale sottovalutazione di molti governi ad una maggiore consapevolezza che l’epidemia andasse aggredita con misure anche di limitazione delle libertà individuali importanti per preservare il diritto collettivo alla salute. Anche in questa fase i provvedimenti che vengono presi dai governi sono molto differenti.
Sarebbe sbagliato, come fanno molti, chiedere al Governo di allentare o irrigidire le misure sulla scia delle decisioni degli altri. Le peculiarità di uno Stato, la composizione della sua popolazione, le strutture sanitarie di cui dispone impongono di studiare e mettere in atto un piano preciso per la ripartenza.
I cittadini e le cittadine hanno fatto la loro parte ora lo Stato dimostri di essere pronto a fare la sua. Non possiamo più permetterci sottovalutazioni, interferenze di lobby, dissidi interni per cercare consenso. La posta in gioco è troppo alta, chiediamo al presidente Conte e al governo oggi il senso di responsabilità che noi, cittadine e cittadini, abbiamo dimostrato di avere.
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