Domenica, 02/02/2020 - Ognuno di noi, tra la moltitudine di amici colorati che popolano le nostre librerie, ha i suoi preferiti. Qualcuno li assegna a precisi scaffali, altri li lasciano sparsi a fare compagnia a volumi meno luminosi. Insomma, i libri li regaliamo, ricicliamo, rivendiamo, abbandoniamo (per far posto ad altri, perché sono doppi o proprio non ci piacciono), a eccezione di quelli da cui sappiamo che non ci separeremo mai. Sono quelli più malandati, sottolineati, pieni di appunti, orecchie e segni vari. Di alcuni ricordiamo solo che ci hanno resi felici durante la loro lettura, anche se ora non sapremmo ripeterne la trama, ma li abbiamo molto amati e per somma riconoscenza non li tradiremo.
Per questo nuovo libro, "Lessico Femminile" (Laterza 2019), Sandra Petrignani deve essersi attardata a lungo davanti alla sua libreria, ripercorrendone gli abitanti e i ricordi che ognuno di loro le solleticava. Lo scopo era quello di “capire qualcosa di più della mia stirpe, trovare il bandolo del nostro comune sentire femminile. Così ho legato la mia parola a quella di tante donne che mi hanno preceduta e nutrita, le scrittrici di cui possiedo libri sottolineati, appuntati, deformati. (…) Ne ho seguito le orme, le ombre, le opere e i fatti della vita, per decifrare la tela di un pensiero e di un lessico nostri”.
L’autrice non si è impegnata qui a scegliere le migliori scrittrici, lavoro che avrebbe messo in crisi chiunque, come un bambino circondato da cioccolatini prelibati. Ha lasciato la scelta al caso, ammesso che questo esista, e che non si sia invece trattato delle signore sue colleghe che sgomitando con eleganza si sono fatte scegliere, una dopo l’altra.
Attraverso le voci di numerose e splendide scrittrici, la Petrignani disegna una mappa i cui punti sono quelli nodali nell’esistenza di una donna, e questo non per presentare una sorta di glossario, ma per trovare, attraverso la loro parola, il senso dei giorni e della scrittura stessa.
Il libro trasuda di citazioni illuminanti di autrici, note e meno note, che viene voglia di trascrivere ovunque e mandarle alle amiche più care, e a cercare le più belle ci assale la stessa vertigine che deve aver avvertito lei quando è stato il momento di selezionarle.
Scorrono così le immagini lasciateci da autrici sulla casa, le cose, l’amore, le relazioni, le madri, i figli, le verità e il tempo, tra aforismi imperdibili (“Amo me stessa, ma fino a un certo punto”, Nona Berberova), e immagini in cui rivedersi a specchio: come non riconoscersi infatti nelle parole di Clara Sereni? “I lavori di casa ci assediano, tutte: come un impegno, come senso di colpa, come rifiuto o come rifugio. Mangiare e abitare, coccolare e coccolarsi, ospitare e vestire: ogni verbo tanti gesti, gli elettrodomestici e la colf eventuale non ci affrancano comunque dal programmare, dal prevedere, dall’organizzare. Possiamo magari decidere di non fare, ma la libertà di non pensarci non l’abbiamo in nessun caso”.
Case-radici, case-rifugio. Del resto la Petrignani ci ha già mostrato mirabilmente quanto per le autrici le case e le cose abbiano una loro responsabilità, un loro ruolo imprescindibile.
Le voci delle scrittrici ci regalano spunti di riflessioni ma anche sorrisi, come la giapponese Sei Shōnagon che afferma: “Non capisco perché alcuni si arrabbino udendo dei pettegolezzi. Come si può non farne mai?”.
Spesso le citazioni mettono in risalto la differenza oceanica che separa il sentire maschile da quello femminile, non per stabilire quale sia migliore, ma per sottolineare quanto sia diverso, soprattutto nella costruzione intima dell’amore, anche quello fisico, come scrive Lidia Ravera: “Se c’è una cosa buona in questo piccolo libro è proprio la differenza fra le due voci. Fra le due fantasie, fra le due diverse vie dell’erotismo. Rocco riutilizza, per mettere in moto la macchina del desiderio carnale, immagini fermate nella sua memoria, poca roba, una natica di ragazza, un costumino blu, un bacio. Sono istantanee logorate dall’uso. Ma gli bastano. Antonia, per ottenere lo stesso risultato, deve costruire una storia. Fatica addizionale delle donne”.
Vanno giù che è una delizia le pagine che raccontano, attraverso altre pagine, dell’incredibile capacità delle donne di costruirsi fantasmi di cui si innamorano follemente, a volte facendoli indossare a uomini in carne e ossa, salvo poi accorgersi che gli stanno proprio male.
Molto interessante anche la letteratura vissuta come “forma di maternità metaforica”, raccontata qui attraverso le parole di Goliarda Sapienza, come molto forti sono le parole di autrici che hanno avuto madri tossiche e che, attraverso la scrittura, hanno tentato di affrancarsene. Ed è proprio la libertà cercata attraverso la scrittura, l’urgenza di raccontare la verità, a offrire le pagine più intense. Perché la verità, come dice Marguerite Duras, è “l’ignoto che abbiamo dentro: scrivere vuol dire raggiungerlo. O questo o niente”. E Clarice Lispector sembra farle eco: “Quando scrivo non mento”, mentre chiosa Maria Zambrano: “Ci sono cose che non si possono dire, ed è indubitabile. Ma è proprio ciò che non si può dire che bisogna scrivere”.
Un coro di voci che si rimbeccano e risuonano l’una con l’altra, sull’amore, la vita, sul mistero della scrittura, lasciandoci pensieri sorprendenti, come questo di Ingeborg Bachmann: “Non ho mai ben capito in che bozzolo vivo quando lavoro”.
Grandi donne che si rivelano fragili e stracciate quando devono dividersi tra il ruolo di madre e quello di lavoratrice, magari di scienziata e di moglie, tra il senso del dovere e quello di colpa. Donne di ieri e donne di oggi, scrittrici amate e altre da scoprire, a comporre i tasselli di un libro necessario, importante, doveroso. Da leggere, sottolineare, scarabocchiare e metterlo su quella mensola speciale. Poi prenderne altre copie e regalarle, distribuirle, abbandonarle su autobus e panchine, per ricordare che “Forse il pensiero delle donne, inseparabile dalla materialità delle cose, dall’urgenza della vita, ha una chance in più. È un pensiero naturalmente autocritico, perché più solitario, meno esposto, frammentario, in massima parte inascoltato (dagli uomini), se non volutamente sottovalutato e deriso”. Perché quest’opera ci ricorda anche con quanta amara difficoltà la letteratura femminile debba lottare per essere considerata. Ancora oggi, infatti, vengono pubblicate antologie dove le donne, se ci sono, sono una su cento, racchiuse in piccoli riquadri di sufficienza. Del resto, qualcuno ha sentito mai la necessità di corsi o saggi sulla letteratura maschile?
Scrive Anna Maria Ortese: “la letteratura, quando è vera, non è che memoria di patrie perdute, non è che il riconoscimento e la malinconia dell’esilio”. Un esilio raccontatoci da una scrittrice, Sandra Petrignani, che ci ha deliziato con le biografie di splendide narratrici, e che qui decide generosamente di raccoglierne tante e di farle parlare tra loro, regalandoci piccoli preziosi passaggi della loro scrittura. Da tenere stretti e rileggere di tanto in tanto, quando il senso di tutto si annebbia e si avverte forte il bisogno di luce e bellezza e si cerca l’appiglio di un lessico in cui ritrovarsi, un lessico femminile.
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