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Riflessioni in corsia / Io non sono il mio tumore: la campagna per il diritto all’oblio oncologico

Riflessioni in corsia / Io non sono il mio tumore: la campagna per il diritto all’oblio oncologico

La libertà dal dolore non può essere solo proclamata, ma deve diventare esigibile a tutti gli effetti e in tutte le sue forme

Lunedi, 07/02/2022 - Con questo nuovo testo del ciclo 'Riflessioni in corsia' affrontiamo il tema del dolore.
Le malattie, in special modo le forme croniche di malattia, si caratterizzano a volte per lo svilupparsi di una complessa condizione, prodotta da sofferenze di diversa origine che tuttavia coesistono e si rafforzano reciprocamente. Questa condizione viene definita “dolore totale” e comprende il dolore fisico, psichico, sociale, spirituale e burocratico.

Ci sono aspetti del dolore che possono rispondere a cure farmacologiche, o a trattamenti fisici, supporto psicologico, affettivo e/o spirituale.
Due peculiari aspetti del dolore che vivono le persone che hanno malattie di lunga durata richiedono una riflessione: il “dolore sociale” e il “dolore burocratico”.

È difficile scindere il dolore fisico e psichico dalla sofferenza intesa come disagio sociale. Ed è pur vero che poca attenzione viene data a queste striscianti forme di dolore, quasi che non potessero assurgere alla dignità di sofferenza riconosciuta e riconoscibile dalla società.

La libertà dal dolore non può essere solo proclamata, ma deve diventare esigibile a tutti gli effetti e in tutte le sue forme.

È compito di chi si occupa di cura, ai vari livelli e con diverse funzioni, definire azioni, procedure e processi che portino ad una riduzione o, se possibile, ad un superamento di quelle manifestazioni del dolore che non dipendono direttamente dalle condizioni fisiche della persona e possono essere evitate o contenute con revisioni della burocrazia sanitaria e della comunità civile.

Il dolore sociale si manifesta in particolare nelle malattie gravi e prolungate nel tempo, come sono molti tumori, con l’alterazione e la perdita dei ruoli che normalmente la persona ricopre. La malattia può stravolgere l’assetto familiare, lavorativo, e determinare la perdita dello status sociale e del benessere economico.

Il dolore burocratico per il paziente oncologico è presente già dall’inizio della diagnosi, quando si trova in una spirale burocratica fatta di code negli ospedali, nelle sale d’aspetto, negli uffici per avviare pratiche di invalidità, d’accompagnamento, di fornitura di ausili, periodi lunghi di attesa per eseguire indagini diagnostiche o avere un consulto di uno specialista.

Come altri aspetti dell’assistenza e della cura, il dolore sociale e il dolore burocratico, già da prima presenti, si sono ulteriormente acuiti in questi ultimi due anni di pandemia.

Purtroppo queste manifestazioni del dolore possono perdurare anche dopo la malattia, anche quando il cancro, può dirsi clinicamente sconfitto! E in molti casi le cause di questo dolore potrebbero essere rimosse con una revisione di clausole normative.

Quasi un milione di persone in Italia è clinicamente guarito da un tumore, per la burocrazia, però, tutte queste persone sono ancora malate e rischiano discriminazioni, per esempio nell’ottenimento di mutui, per la stipula di assicurazioni sulla vita e l’adozione di un figlio. Per richiedere molti servizi, infatti, è necessario dichiarare se si è avuto il cancro e se si è guariti.
Quando si guarisce da un tumore sì rischia di essere privati di alcuni diritti sociali ed economici; per questo la Fondazione Aiom, lo scorso 4 febbraio, in occasione della GIORNATA MONDIALE CONTRO IL CANCRO, ha lanciato la prima campagna per il riconoscimento del diritto all’oblio oncologico “Io non sono il mio tumore”.
Giordano Beretta, presidente di Fondazione AIOM sostiene con forza le ragioni per cui le persone guarite dal cancro devono essere libere di guardare al futuro senza convivere con l’ombra della malattia.
Il professor Beretta dice: “Oggi 3,6 milioni di cittadini vivono con una diagnosi di tumore. Il 27 % di loro è guarito. Deve essere combattuta la discriminazione sociale che ancora esiste nei loro confronti! La legge permetterebbe di non essere più considerati pazienti dopo 5 anni dal termine delle cure se la neoplasia è insorta in età pediatrica e dopo 10 se ci si è ammalati in età adulta. Oggi, grazie a nuovi percorsi terapeutici, molti tumori vengono curati e altri possono essere cronicizzati: per questa ragione i pazienti che vivono anche a molti anni di distanza da una diagnosi sono aumentati e così le persone che trarranno benefici da questo provvedimento. Ogni neoplasia richiede un tempo diverso perché chi ne soffre sia definito “guarito”: per il cancro della tiroide sono necessari meno di 5 anni dalla conclusione delle cure, per il melanoma e il tumore del colon meno di 10. Molti linfomi, mielomi e leucemie e i tumori della vescica e del rene richiedono 15 anni. Per essere ‘guariti’ dalle malattie della mammella e della prostata ne servono fino a 20. Il riconoscimento del diritto rappresenta la condizione essenziale per il ritorno a una vita dignitosa ed è necessario all’abbattimento del connubio “cancro significa morte”, che crea barriere spesso insormontabili. Negli ultimi due anni molti Paesi europei hanno emanato una legge che garantisce agli ex pazienti il diritto a non essere rappresentati dalla malattia. L’Italia deve assolutamente seguire questo esempio”.
Monica Forchetta, presidente dell’Associazione Pazienti Italia Melanoma (Apaim) che ha aderito all’iniziativa scrive: “Molti pazienti guariti da anni si vedono negare i propri diritti, nonostante la scienza stia facendo passi da gigante. Ormai ci si può curare da certe patologie e si è guariti a tutti gli effetti. Abbiamo deciso di lanciare la campagna per sensibilizzare le istituzioni. L’Italia non può essere da meno rispetto agli altri paesi europei. Approvando la legge non si cancella la storia clinica del paziente, ma si permette alla persona di non essere obbligato a dichiarare la propria patologia”.

L’iniziativa promossa dalla Fondazione AIOM si è ispirataal modello di Francia, Lussemburgo, Belgio, Olanda e Portogallo, Paesi Europei dove sono in vigore leggi chenon permettono questo tipo di discriminazioni sociali.

A sostegno dell’iniziativa sono stati realizzati la prima guida sul Diritto all’oblio oncologico, un portale web e una capillare campagna social, per promuovere la raccolta firme. 

Lo scopo è raggiungere 100mila adesioni, che verranno presentate al presidente del Consiglio per chiedere l’approvazione della legge.  Tutti potranno contribuire lasciando il proprio nome, sia online che nei reparti di oncologia e nelle piazze: pazienti, caregiver, familiari, cittadini.

Per aderire alla campagna basta andare sul sito internet dirittoallobliotumori.org oppure sulla pagina Facebook della Fondazione Aiom.  

Un gesto veloce, che non costa nulla, ma che può fare la differenza per molti e può contribuire ad unavisione più ampia della giustizia e della condivisione del concetto di umanità.

 


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