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Un saluto a Clara Sereni, fine tessitrice di parole - di Francesca Silvestri*

Un saluto a Clara Sereni, fine tessitrice di parole - di Francesca Silvestri*

"Ho avuto la fortuna frequentarla a lungo negli ultimi dieci anni, un’amicizia che mi ha dato e insegnato molto..." scrive F.Silvestri e aggiungono i loro pensieri Le amiche Merendanze e Puma Valentina Scricciolo

Lunedi, 06/08/2018 - La scomparsa di Clara Sereni, a Zurigo il 25 luglio 2018, ha lasciato un vuoto umano e culturale. La ricordiamo grazie alle riflessioni di chi l'ha conosciuta e stimata.
«Che siano scritte, dette o cantate le parole hanno un peso. Bisogna fare molta attenzione all’uso delle parole», concetti che Clara Sereni mi ripeteva spesso, perché lei non amava solo la parola scritta alla quale ha dato tanto, amava la parola nella sua essenza. La parola di protesta soprattutto, la parola che convince e che guarisce, quella destinata non di rado al riscatto femminile nella società. Sapeva incoraggiare le donne, soprattutto se giovani e controcorrente, non si tirava indietro nelle battaglie politiche per una vita dignitosa destinata a chi di solito resta ai margini della società.
Ma le piaceva anche la parola cantata, la parola in musica. Lei era la prima a intonare canti popolari «quelli che piacciono solo ai nostalgici, per di più ebrei e antifascisti come me» ci diceva spesso, ma non era nuova a queste esperienze. Alle feste dell’Unità negli anni Settanta, lei la figlia del senatore Emilio Sereni che ha fatto la storia del PCI e anche un po’ della nostra democrazia antifascista, saliva sul palco e cantava Bandiera rossa accompagnandosi con la chitarra che Francesco De Gregori le aveva regalato. E li racconta bene quei palchi scomodi e quei canti di protesta nell’ultimo romanzo che ha scritto, Via Ripetta 155, a cui è allegato un cd con la sua voce e una versione inedita della canzone simbolo antifascista. «Senti qui, nemmeno mi ricordavo di aver cantato con lui….» e io, a sentirla cantare insieme a De Gregori, mi sono commossa: una ballata lenta, forte, empatica, a due voci che sembrano una. Perché Clara era così, sapeva sorprendere.
Lei ha scritto molto sulle donne e per le donne. Il gioco dei regni è stato il nostro primo folgorante incontro letterario. La storia della sua famiglia, quella dei fratelli Sereni, letta attraverso gli occhi delle donne che l’hanno popolata, le sorelle, la madre Xenia (fondatrice di “Noi donne”), la nonna, la zia, quelle donne che ricompariranno in altre opere e che molte di noi hanno imparato ad amare. Una linea femminile che riporta dritta dritta ai consigli culinari e alle storie di Casalinghitudine o agli universi politici di Passami il sale. Ma Clara è stata soprattutto un’ultimista, come titolò un libro del 1998, una donna che si batteva per i valori più alti della cosiddetta società civile e concretamente progettava un mondo ancora possibile per gli “ultimi”, un’idea che anche oggi fa paura e attrae, che si era infiltrata nelle esistenze di alcune donne (Le Merendanze) che, a vario titolo, cercavano qualcosa di diverso nel loro quotidiano. La letteratura che si fa realtà o viceversa. Difficile a dirsi, solo che la quella stagione di fermento, quelle feste e quegli incontri con le Merendanze e i personaggi noti del mondo culturale e dello spettacolo per raccogliere fondi io l’ho vissuta davvero.
La prima volta che incontrai Clara era da poco uscita dalla scena politica che molto l’aveva delusa, soprattutto nelle politiche sociali, ma era anche la scrittrice che tanto avevo amato. Il lupo mercante, l’ultimo libro che avevo letto, riportava in copertina l’immagine di una bambina con un vestitino a fiori che tanto assomigliava a quello di una foto di mia madre, ma questo glielo dissi molto tempo dopo. Mi confessò che la foto era stata scattata proprio nel paese di mia madre in Valdichiana, e sorrise, poi mi chiese di leggere ad alta voce la poesia “Dopo l’amore” e mi disse che ogni tanto conveniva rileggerla. Lo faccio ancora e ogni volta in quelle parole scopro significati diversi.
Nei lunghi pomeriggi passati insieme nella sua casa di Perugia, mi raccontava spesso di quanto la parola fosse sempre stata importante nella sua vita, da quando giovanissima era dattilografa al Senato e traduceva opere, anche importanti, dal francese. Le piacevano le parole, i suoni, gli accenti. Ed era vero, Clara centellinava ogni parola, distillava l’essenza delle parole e trasformava semplici concetti in grandi pagine di vera letteratura.
Ho avuto la fortuna frequentarla a lungo negli ultimi dieci anni, un’amicizia che mi ha dato e insegnato molto, come quando in un afoso giorno di giugno mi ha chiesto di aiutarla nella revisione finale di Via Ripetta. «Dimentica per un attimo che siamo amiche, e fai come se stessi lavorando in casa editrice per qualcun altro, io non sono una persona facile lo sai, ma ho capito come lavori e mi piace». La revisione più difficile mai fatta prima. Clara lesse le mie osservazioni, ne riparlammo al telefono non sembrava convinta. Quando la rividi, all’improvviso mi disse «Vuoi un cioccolatino dopo il tè? Guarda che belle fioriture nel mio balcone quest’anno, a proposito le tue correzioni alla fine le ho accettate quasi tutte, direi il novanta per cento, e non era così scontato! Hai fatto un ottimo lavoro e ti ringrazio».E lo fece sul serio Clara, trovai il mio nome accanto a quello di Benedetta Centovalli nei Ringraziamenti finali del libro. È stato in quel libro, che raccontava di lei fino al 1977, che ho conosciuto un’altra Clara, non la scrittrice che già amavo e avidamente leggevo da molti anni, ma una donna lucida, forte e coraggiosa, disgustata dalle derive politiche che si stavano prospettando e preoccupata per il nostro futuro, quello di tutte noi. Un diario che si faceva romanzo, una scrittura di frontiera che nello stile non era memoriale né giornalismo, una storia che come altri suoi libri arrivava dritta al cuore e, se da un lato trasmetteva dolore, dall’altro trasudava forza, intelligenza e onestà intellettuale come solo i grandi scrittori sanno fare.
Ma prima di questo libro è arrivato per me il suo dono più grande, l’impegno editoriale con la mia casa editrice come direttrice della collana “le farfalle”. Con lei ho potuto condividere e realizzare un’idea, mi ha accompagnato e guidato nella costruzione di questo progetto. Lei c’è sempre stata, orientando scelte, dispensando consigli e incoraggiando il mio cammino di editrice indipendente. Fino a un mese fa ci siamo confrontate su come impostare la prossima “farfalla” che vedrà la luce il prossimo febbraio, quella dedicata a un’altra grande intellettuale dell’ebraismo italiano, Tullia Zevi, in cui c’è anche un piccolo cameo inedito di Clara che l’aveva incontrata.
Ricordo quando le presentai la prima volta il progetto editoriale delle “farfalle”, era l’estate 2009. Parlammo più di tre ore, fumò quasi un pacchetto di sigarette, ma in quella nuvola di fumo e parole mi ascoltò attentamente e alla fine accettò la mia idea di creare una collana dedicata alla scrittura di viaggio al femminile, biografie di donne che diventano romanzi, vite che raccontano storie di viaggio. Il diritto d’autore, su mia proposta, sarebbe andato alla Fondazione “La città del sole” che lei stessa aveva fondato per creare un mondo possibile per persone con problemi psichici gravi e gravissimi.
«Fragili e colorate sono le farfalle, cui un battito d’ali è sufficiente a segnalare un disagio. Fragili e delicate sono le persone con sofferenza psichica, sensori sensibilissimi di snodi che altri possono, colpevolmente o incolpevolmente, ignorare» questo il suo regalo per la collana che riporta ancora in bandella le sue parole e lo scopo benefico di questo percorso editoriale che oggi annovera 12 volumi e altrettante grandi donne del passato e del presente a cui abbiamo dedicato un libro: da Eva Mameli Calvino (la madre di Italo) a Maria Teresa Regard (Calamandrei), da Paola Biocca a Maria Grazia Cutuli, da Anna Maria Ortese a Marguerite Duras a Luisa Spagnoli per citarne solo alcune.
Clara conosceva quel dolore e quegli snodi ma sapeva parlarne con la dignità di chi è consapevole che la parola è l’arma più importante per difenderne i diritti. Per questo, all’indomani dell’ultimo terremoto, già provata dalla malattia, seppe farmi un altro prezioso dono, una delle sue pagine più belle che intrecciano cibo e storie di vita, l’ultimo suo testo autografo per una giusta causa: un libro collettivo “Ricette per ricominciare. Quaranta autori in cucina per la ricostruzione del Centro Italia” in cui ancora una volta sono molte le mamme e le nonne menzionate, in un processo di recupero della tradizione culinaria italiana matrilineare. Un regalo che in molti seppero apprezzare.
Qualche anno fa Clara ha ricevuto la massima onorificenza del nostro paese, un riconoscimento importante e dovuto: “Clara Sereni Commendatore della Repubblica Italiana”. Ma proprio quella sua attenzione e cura delle parole non le permetteva di gioirne appieno. «Ho accettato con riserva. Guarda la pergamena: Commendatore! Ma ci saranno altre donne che hanno avuto questo titolo? Commendatrice, si deve scrivere Commendatrice. Scriverò al Presidente». Lo fece. Non una ma molte lettere inviò Clara, e non solo al Presidente della Repubblica. Nessuno le rispose ufficialmente, solo promesse. Ma lei non si arrese, scovò chissà come l’elenco di altre donne (poche per la verità) avevano ricevuto il titolo, commendatore anche loro, e chiese formalmente una revisione per la modifica di genere del titolo e di quelle pergamene che, anche nella grafica, non le piacevano nemmeno un po’.
Se n’è andata Clara Sereni, con coraggio e dignità, da donna libera. Ora tocca a noi, a chi l’ha conosciuta e frequentata, portare il suo messaggio nella quotidianità e non lasciarlo cadere nell’oblio. Perché Clara non era solo una grande scrittrice e una fine tessitrice di parole, era molto di più. Mi diceva spesso, «sai ogni essere anche il più sfortunato e indifeso ha diritto a un po’ di pace». E allora Clara ti auguro finalmente di vivere la pace e la serenità che cercavi in un’altra dimensione. Certo, la tua penna ci mancherà, a me mancherà la tua amicizia e la tua guida, ma i tuoi libri sapranno parlare ancora a molte generazioni.

Francesca Silvestri *
direttrice editoriale ali&no


Dedicato a Clara

Grazie Clara di averci "ideato", grazie a te abbiamo capito che «niente si butta, men che meno le persone» e abbiamo scelto, anche noi, di essere "ultimiste" perché in questo mondo - se non giustizia - può esserci almeno una scelta di campo non ambigua.
Le amiche Merendanze


Sarebbe felice oggi Clara Sereni, di leggere un saluto alla sua figura di scrittrice, proprio qui su Noi donne, la rivista alla quale la madre Xenia-Marina aveva dato i natali. Si era dimostrata subito curiosa e orgogliosa, quando, appena un anno fa, avevo scovato (e le avevo letto) le parole di Teresa Noce, scritte per la prefazione a I giorni della nostra vita. Il testo non fu mai pubblicato, così in molti dimenticarono questo particolare dell’esilio parigino della madre, ma quando Clara seppe che «Così Xenia divenne Marina, direttrice-redattrice-impaginatrice e amministratrice di “Noi donne”», mi disse «non lo sapevo, è molto importante, brava, avanti così!».
E allora avanti così, con impegno, con passione, con le donne, anche se Clara ci ha lasciate.
Ciao scrittrice, amica e “madre elettiva” di tutte noi. Ciao Clara, te ne sei andata con la stessa libertà e lucidità con cui hai vissuto. Le tue parole ci mancheranno, ma ti troveremo tra le righe, e continueremo ad ascoltare la tua voce.
Puma Valentina Scricciolo


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Clara Sereni, la vita
Figlia del dirigente del Pci Emilio Sereni e di Xenia Silbergerg (la Marina Sereni de I giorni della nostra vita fondatrice della rivista Noi donne), Clara nasce a Roma nel 1946, dove vive fino al 1991 anno in cui si trasferisce definitivamente a Perugia. Oltre alla letteratura, la scrittrice dedica la sua vita anche all'impegno politico (tanto che ricopre il ruolo vicesindaco del capoluogo umbro dal 1995 al 1997) e sociale (fonda La città del sole onlus, un'associazione che si occupa di integrare in società soggetti con disabilità psichiche e mentali). Il suo libro d'esordio è Sigma Epsilon, del 1974, un racconto in chiave autobiografica sull'attivismo politico che aveva caratterizzato la sua generazione, a cui segue, tredici anni dopo, Casalinghitudine, un ricettario emotivo che lega a ogni piatto un ricordo del passato. Con Manicomio primavera e con il romanzo Il gioco dei regni, Clara Sereni raggiunge la fama a livello nazionale. Con il Taccuino di un’ultimista (1998), scritto con «l’unico punto di vista ancora possibile per guardare il mondo senza mentire, quello degli ultimi», racconta le sue esperienze politiche e sociali, le battaglie e le speranze. Giornalista per i quotidiani “L'Unità” e “Il Manifesto”, ha tradotto e curato le opere di Balzac, Stendhal, Madame de La Fayette. Dal 2010 ha curato e diretto con Francesca Silvestri la collana “le farfalle” per ali&no editrice, un percorso dedicato alla scrittura di viaggio al femminile. In quel periodo escono due romanzi, a torto poco considerati dalla critica, Il lupo mercante (2007), una riflessione tutta al femminile sugli anni Settanta, e Una storia chiusa (2012), entrambi Rizzoli, in cui riflette, tra l’altro, sulle stragi ancora impunite e la memoria collettiva del nostro paese. Con il romanzo Via Ripetta 155 (Giunti) si classifica tra i dodici finalisti al premio Strega 2015, e nel maggio del 2017 esce in edizione economica revisionata, sempre per Giunti, Il gioco dei regni con la prefazione di Marino Sinibaldi.

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