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FIORENZA TARICONE, Politica e Cittadinanza. Donne socialiste fra Ottocento e Novecento

FIORENZA TARICONE, Politica e Cittadinanza. Donne socialiste fra Ottocento e Novecento

Un contributo alla storia del socialismo e al ruolo fondamentale svolto dalle donne, militanti iscritte, simpatizzanti, attiviste, funzionarie, conferenziere, maestre

Sabato, 15/08/2020 - FIORENZA TARICONE, Politica e Cittadinanza. Donne socialiste fra Ottocento e Novecento, Milano, Franco Angeli, 2020, pp.195.

Il testo di Fiorenza Taricone rappresenta un contributo alla storia del socialismo e soprattutto del ruolo fondamentale che hanno svolto le donne, militanti iscritte, simpatizzanti, attiviste, funzionarie, conferenziere, maestre. Partendo dall’assunto dell’associazionismo femminile come leva e prima palestra sociale per entrare nella sfera pubblica, il saggio ristabilisce un equilibrio ponderale attraverso l’apporto delle donne alla cultura progressista. La prospettiva di queste primogenitrici della politica militante mette infatti, in luce la profonda contraddizione della lotta per la società socialista che avrebbe abolito classi e differenze, ma mantenuto invariati i privilegi patriarcali.

Fiorenza Taricone ha affrontato fin dagli anni Ottanta in numerose opere la specificità dell’associazionismo femminile ottocentesco italiano di stampo liberale e di stampo socialista, evidenziandone le interconnessioni e i risvolti internazionali, ma in questo nuovo lavoro l’Autrice affronta in maniera specifica l’apporto alla modernità democratica che seppero dare le prime donne socialiste.
Nel primo capitolo si analizzano le resistenze iniziali delle donne a superare il limite delle rivendicazioni salariali e ad abbracciare anche quelle politiche, legate essenzialmente alla richiesta della cittadinanza. Secondo l’Autrice, le donne socialiste si auto–organizzano, entrano a pieno titolo nell’agone politico e “scelgono” la politica, consapevoli da sempre della disparità fra teoria e prassi. Uno dei passaggi cruciali del dibattito riguarda infatti la nascita di sezioni esclusivamente femminili per far crescere l’autonomia femminile, mentre alcune attiviste propendevano per le sezioni miste.
Fiorenza Taricone mette bene in evidenza il grande lavoro di propaganda capillare e di sensibilizzazione da parte della nuova leva di donne militanti e dirigenti. Fra le novità fondamentali, il “reciproco riconoscimento fra donne”  vale a dire “la capacità di superare le convenzioni nel delegare ad altre donne la rappresentanza dei propri interessi, nell’assumere comportamenti ritenuti sconvenienti dalla morale religiosa come muoversi in ambienti maschili e al di fuori delle mura domestiche” (pp. 22-3). Ai vertici delle organizzazioni femminili si formano i nuovi quadri per la dirigenza politica e sindacale che vedono protagoniste donne alcune più note come Anna Kuliscioff, Angelica Balabanoff, Argentina Bonetti Altobelli, altre molto meno conosciute, come Linda Malnati (quest’ultima licenziata da maestra perché conferenziera e propagandista del Partito Socialista), Maria Goia, Cristina Bacci, Maria Giudice.

Sia il preciso lavoro documentario, che riporta in primo piano le voci delle donne puntualizzandone i temi in discussione, così come la mirabile sintesi sulle lotte durate quasi un secolo per il vero suffragio universale, rendono vividamente la complessità della conquista dei diritti civili e politici. Alla disamina internazionale, che scorre veloce e ricca di riferimenti sui temi della vasta letteratura storico-politico-suffragista, si lega la specificità del percorso italiano, mai disgiunto da una rete europea ed internazionale di contatti. Il termine ante-quem è il 1861. Da questa data in poi si tenterà, infatti, attraverso infinite petizioni alla Camera dei Deputati, di arrivare dapprima al diritto di voto a livello amministrativo, chiedendo che vengano estesi i diritti già esistenti concessi alle donne lombarde dal codice austriaco teresiano (già molto avanzato per l’epoca) fino alle proposte di riforma della legge elettorale che superassero il veto del censo e del genere. Ma, sottolinea Fiorenza Taricone, anche se nel Partito Socialista è vivace la discussione sulle rivendicazioni femministe che accomunavano operaie, borghesi e aristocratiche, la querelle del voto attraversava tutti gli schieramenti politici. Fra i protagonisti d’innumerevoli proposte e battaglie, durate anche per tutta la vita, ritroviamo Ubaldino Peruzzi (destra liberale), Salvatore Morelli (laico radicale), Anna Kuliscioff (Partito socialista), Anna Maria Mozzoni (area mazziniana e poi socialista). Ma nonostante l’ascesa al potere della Sinistra nel 1876 la riforma elettorale di Depretis non comprende le donne. L’associazionismo femminile è stata quindi una risposta politica e uno stimolo alle insufficienze di una classe politica per lo più miope e culturalmente inadeguata.

Tra la fine del secolo e l’inizio del ‘900 si formano a Milano e Roma due importanti associazioni che ricalcano la contrapposizione tra socialiste e liberali: da una parte l’Unione femminile (Presidente Ersilia Majno Bronzini) di area socialista e dall’altra il Consiglio nazionale delle donne italiane (Presidente Gabriella Spalletti Rasponi), di area liberale e mazziniana. All’inizio del nuovo secolo le donne costituiscono anche comitati pro-voto, prevalentemente urbani e collegati internazionalmente a organismi consimili. Nel 1906 una petizione stesa da Anna Maria Mozzoni, ormai settantenne, come richiesta di un suffragio veramente universale vale a dire comprendente anche le donne, viene firmata da autorevoli esponenti del movimento come Maria Montessori e Teresa Labriola. Discussa nel 1907 è affossata dallo stesso Giolitti che, pur a favore del voto amministrativo, ritiene il voto politico alle donne “un salto nel buio”; teme uno sconvolgimento negli equilibri di rappresentanza, essendo le donne ricattabili a livello familiare e religioso. Non è quindi un caso, sottolinea la Taricone, che il voto attivo a livello amministrativo sia considerato meno pericoloso e destabilizzante. Nel libro sono messe bene in evidenza le dinamiche che nel Partito Socialista, contrappongono i timori di un Andrea Costa o di un Filippo Turati sulla scarsa rappresentatività delle esigenze suffragiste di una fazione alto borghese sradicata dal contesto operaio. E’ la Kuliscioff, facendo propria la battaglia mozzoniana, a organizzare tra il 1906 e il ’14 una vasta campagna di mobilitazione. La guerra di lì a poco sconvolge i tradizionali equilibri del panorama suffragista che si divide fra interventismo e pacifismo; alla fine della guerra viene presentata dall’on. Salandra una proposta per l’estensione del diritto di voto ai combattenti abbassando il limite di età a 18 anni, con la protesta di alcune associazioni; nel 1919 la legge Sacchi che pure ammette le donne all’esercizio delle libere professioni e abolisce l’autorizzazione maritale non riesce a ottenere il diritto di voto; poco tempo dopo, invece, una nuova proposta di legge intende allargare semplicemente a tutti i cittadini di ambo i sessi le leggi vigenti sull’elettorato politico e amministrativo. Il 19 settembre del 1920 la Camera approva, ma la legge non completa l’iter legislativo per le vicende di Fiume e lo scioglimento della Camera. Ancora nel ’22 l’on. Modigliani ripresenta la proposta di legge sulla base di un solo articolo che avrebbe esteso alle donne le leggi vigenti sull’elettorato politico e amministrativo. Al parere contrario del governo, tutte le associazioni femminili appartenenti a diversi schieramenti politici inviano una nuova petizione sottolineando il ruolo della donna nella società, non solo come “educatrice nella famiglia e nella scuola”, ma anche come “lavoratrice e contribuente”. Dallo scenario descritto nel libro emerge quindi non soltanto l’immagine comprovata di un impegno e di una militanza che interpreta lo slogan suffragista internazionale: no taxation without representation, ma anche che il diritto di voto amministrativo e politico, attivo e passivo delle donne, è il frutto dell’impegno assiduo di tutte le donne militanti.

Il disegno di legge sul voto amministrativo ristretto a poche categorie femminili viene approvato nel maggio del 1925, ma non entra in vigore per l’estensione del regime podestarile a tutti i Comuni, in virtù del quale il podestà con decreto reale sostituisce consiglio comunale, giunta e sindaco. L’autrice sottolinea come l’impegno opportunistico di Mussolini nel diritto di voto alle donne anche se solo amministrativo e censitario, derivi sia dai suoi trascorsi socialisti, sia da quanto già sancito dalla Carta del Carnaro in cui lo stesso D’Annunzio prefigura l’uguaglianza della donna nei diritti politici e civili. “La ‘concessione’ del voto amministrativo nel governo Mussolini, riprende quindi un discorso interrotto dal corso degli eventi, maturato in ambienti laico-socialisti, di cui lui stesso ha fatto parte.
Nel ’28 la Federazione nazionale pro-suffragio si riorganizza in Fisedd (Federazione per il suffragio e i diritti civili e politici delle donne) presentando un memoriale sul nuovo codice penale. Ma nel ’35 la presidenza della Fisedd è assegnata d’autorità a una rappresentante dei Fasci femminili di Mantova (Irma Arzalà) e la questione del suffragio femminile subisce una nuova battuta d’arresto all’approssimarsi della seconda guerra mondiale.

Nell’impegno civile e politico profuso della donne socialiste e di area, Fiorenza Taricone evidenzia come la dottrina marxista della lotta di classe e della dialettica oppressori-sfruttati, non preveda una questione femminile autonoma e come le donne militanti di partito, funzionarie, sindacaliste, contribuiscano a fondare non soltanto un modello teorico ma anche una doppia militanza, nel partito e nelle organizzazioni “femminil-femministe”. Secondo F. Taricone “l’associazionismo di area, cioè quello vicino al Partito, rappresenta il punto d’intersezione fra le masse femminili non politicizzate e l’élite delle donne che crearono organizzazioni stabili all’interno del partito”. L’Autrice mette bene in evidenza nel terzo capitolo, come le militanti svolgano opera di mediazione di fronte ai timori della dirigenza maschile sulla tenuta dell’unità del Partito socialista rispetto alle istanze di un movimento femminile con leggi e necessità proprie. Diversa quindi la sua analisi che rivendica sempre un’azione mai rinunciataria, da quella di Anne-Marie Käppeli che afferma come, in alcune situazioni, le femministe socialiste, per paura di nuocere alla causa del proletariato, non osino manifestare i propri obiettivi femministi.

La differenza tra l’associazionismo operaio delle Società di Mutuo Soccorso, delle Leghe e delle Cooperative, caratterizzato da rivendicazioni economiche e salariali e l’associazionismo borghese rivolto ai diritti civili e politici, ha per l’Autrice alcune convergenze: per tutte le donne l’associazionismo ha significato uscire sia dalle pareti domestiche sia dai tempi scanditi dal lavoro. Ma in entrambi gli schieramenti il denominatore comune è la maternità: “La maternità, da ruolo e funzione esclusivamente privati, passò ad assumere valenze pubbliche e divenne la posta in gioco di molte rivendicazioni politico-sociali […]” (p. 73). Le proposte per riqualificare una funzione sostanzialmente circondata di retorica sono la Cassa di Maternità per le operaie, l’equiparazione dei figli illegittimi con i legittimi (che si realizzerà soltanto nel 1975), il diritto alla ricerca della paternità (vietata fin dal Codice napoleonico nel 1804, per ‘preservare’ gli uomini da possibili ‘profittatrici’) per le ragazze madri. L’associazionismo emancipazionista quindi per l’Autrice, costituisce la trama attraverso la quale le donne attuano un “femminismo pratico” soprattutto con la nascita dell’Unione Femminile (1898) che appoggia molte iniziative del movimento femminile socialista come la legge sul lavoro minorile e delle donne, seguita attentamente dalla Kuliscioff.

Attraverso vari periodici femminili partono campagne di denuncia sulla condizione femminile “in sintonia con molte delle iniziative socialiste come ad esempio sul divorzio”. Come si legge, sono azioni trasversali, studiate e coordinate, spesso svincolate dalle logiche puramente partitiche, quali, secondo l’Autrice, l’intuizione delle associate socialiste sull’importanza crescente del ceto medio femminile in nome di un’alleanza interclassista allora osteggiata dal Partito.

Vediamo così a cavallo tra i due secoli svilupparsi tutti i temi della modernità, molti dei quali dovranno arrivare fino agli anni ’70 del Novecento per avere collocazione giuridica. L’Autrice mette in evidenza ancora un altro punto di convergenza tra le socialiste e le donne di formazione mazziniana e repubblicana: la laicità della scuola. La sezione romana dell’Unione femminile, ad esempio, nata nel 1903 (che ha tra le sue affiliate anche la scrittrice Sibilla Aleramo) si occupa della terribile situazione sanitaria nelle campagne romane, colpite dalla malaria dove un’apposita sezione cerca di aprire scuole rurali nell’Agro Romano.

La transizione a una nuova morale, sia tra le donne del Partito Socialista sia nel movimento femminile socialista, analizzata nel quarto capitolo, che superi la doppia morale nella famiglia e nella società si annuncia già per l’Autrice dalle pagine del periodico “Critica Sociale” diretto da Filippo Turati e Anna Kuliscioff. La stessa Anna Kuliscioff, Argentina Bonetti, Anna Franchi sono esempi di donne indipendenti capaci di decidere del loro avvenire: “donne nuove, politicamente impegnate, emancipazioniste e progressiste” afferma Taricone; pur non arrivando “all’equazione privato-politico” tipica del movimento sessantottino, testimoniano il loro vissuto anche attraverso opere autobiografiche nella costruzione pubblica del sé, insieme alla volontà di conquistare rilevanza nel partito e un’avanzata legislazione sociale per le donne. Nel quinto capitolo si esamina, tramite l’evoluzione che porta alla legge del 1902 sul lavoro delle donne e dei fanciulli della Kuliscioff, la priorità che le socialiste danno al tema del lavoro. Si sottolinea, da parte dell’Autrice, la condizione lavorativa delle donne considerate merce lavoro concorrenziale in senso negativo, in grado di abbassare il costo del lavoro. Il tema del lavoro è considerato dal Partito prioritario rispetto a quello della cittadinanza politica delle donne, tema quest’ultimo che produce frizioni fra Partito, organizzazioni femminili e associazionismo di area socialista.

Un paragrafo a parte è riservato al problema dell’alfabetizzazione e alle maestre socialiste. Si assiste a una progressiva entrata nel mondo del lavoro delle figlie della piccola e media borghesia con la scelta quasi obbligata del diploma da maestra. Il lavoro assume spesso, come specifica F. Taricone, il significato di una missione da parte di donne dedite al dovere, nubili, di comprovata moralità, ma soggette agli arbitri delle amministrazioni comunali, dalle quali dipendono, con una progressione di carriera e una paga inferiore ai colleghi; le maestre sono, molto spesso, donne sole e indipendenti, che arrivano nei comuni sperduti delle campagne o in zone montane soggette a maldicenze ostili, come nel caso di Italia Donati, suicida dopo un linciaggio morale, che nel 1886 occupa le pagine dei giornali dell’epoca. Esempio di maestra laica “che affrontava il suo lavoro come un apostolato sociale tra i diseredati” è Ada Negri. Le insegnanti socialiste, già ai primi del Novecento, organizzate in sindacati, sono, a giudizio dell’Autrice, “l’onda lunga dell’ambiguo femminismo italiano che rivendicava il voto e continuava a celebrare la missione e il sacrificio materno” (p. 137).

Nel sesto capitolo, il rapporto tra pacifiste e interventiste prende le mosse dallo sfatare il semplice binomio donne-non violenza, sottolineando che il contributo delle donne a quello che l’Autrice definisce settore militare-organizzativo, è frutto soltanto di studi recenti, uscito da un limbo in cui l’interventismo è stato sconfessato dalla tesi dell’innato pacifismo femminile. Il Partito Socialista che continua a sostenere la non belligeranza a differenza dei socialisti tedeschi e francesi, vede la componente femminile spesso aspramente contrapposta nel tentativo di coniugare interventismo, nazionalismo e patriottismo; la figura emblematica è Teresa Labriola, figlia del filosofo marxista Antonio. Mentre per le emancipazioniste-interventiste infatti i concetti di cittadinanza e quello di amor patrio si fondono senza contraddizioni, per le emancipazioniste pacifiste, in maggioranza socialiste, i due concetti rappresentano una contraddizione. Oltre all’antimilitarismo socialista, esse si considerano cittadine del mondo, la patria è quindi un ideale inconsistente. L’Autrice nel settimo capitolo completa il quadro rileggendo le scelte di Angelica Balabanoff, Margherita Sarfatti e Leda Rafanelli in rapporto a Mussolini e al fascismo. La prima, autrice di vari testi fra cui di Lenin visto da vicino, in gran parte autobiografico, intrattiene con il giovane Mussolini un rapporto pedagogico da maestra ad allievo; un legame che finisce con l’ingratitudine profonda di Mussolini; Margherita Grassini Sarfatti, colta e raffinata, diventa autrice del best seller agiografico Dux ma viene poi perseguitata dalle leggi razziali che non tengono affatto conto del suo passato ruolo culturale e sentimentale; infine Leda Rafanelli, misticheggiante e anarchica, che fa notare a Mussolini come non sia dignitoso sparlare di un’amante che è, appunto, Margherita Grassini Sarfatti.
Livia Napoleoni

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