Mercoledi, 22/02/2023 - Stamane a Roma, presso la Sala Stampa Estera, è stato presentato: “Processo alla solidarietà. La Giustizia e il caso Riace” ed Castelvecchi, a cura di Giovanna Procacci, Domenico Rizzuti e Fulvio Vassallo Paleologo.
Il libro ripercorre le fasi del processo a Mimmo Lucano, dopo il ricorso in appello, alla luce del quadro accusatorio e delle pene richieste dalla procura generale di Reggio Calabria con interventi di cittadini, esperti, studiosi, giuristi che riflettono da varie angolazioni e ottiche disciplinari sulla sentenza di condanna del tribunale di Locri, mostrando come l'accusa si basa principalmente su interessi personali, vantaggi di arricchimento di partecipanti alle associazioni e alle cooperative solidali e la condanna è fondata su presupposti ideologici e banali luoghi comuni. Ne parliamo con Giovanna Procacci, una delle curatrici del volume.
Per cominciare vogliamo ricordare quali sono stati i punti nodali del processo? Il processo di Locri contro Riace e Lucano ha avuto al suo centro l'accusa di associazione a delinquere. L'accoglienza dei migranti a Riace sarebbe stata frutto dell'azione di un gruppo di truffatori che si sarebbero associati per commettere insieme peculato, truffe e via discorrendo. Anzi, il tribunale afferma che l'accoglienza è stata solo un paravento per chiedere tanti fondi pubblici. Ora, tutti sanno riconoscere la differenza fra un'associazione a delinquere e quello che hanno visto in funzione a Riace, ancora di più lo sanno i calabresi. Tutti sanno che Lucano è povero e non si è intascato nulla. Tutti sanno che a Riace con le stesse cifre si accoglieva di più... Quando si produce un tale iato fra giustizia e sentire comune, un tale capovolgimento della realtà, vuol dire che c'è qualcosa di malato. Che ci interroga e ci chiede di mettere in discussione le anomalie della sentenza di primo grado.
Secondo la vostra ricostruzione e i pareri degli esperti e delle esperte presenti nel libro, quali sono i punti deboli dell'accusa a Mimmo Lucano? I punti deboli, molto deboli dell'accusa sono la sua incapacità di provare il dolo. Per provare che si sono commessi truffe e peculati bisogna aver trovato il frutto di quei reati, un gruzzoletto come lo chiamava il PM. Ebbene, hanno rivoltato come un calzino la situazione finanziaria di Lucano e non è emerso altro che la sua povertà. Non c'è stato vantaggio economico, eppure è colpevole di appropriazione privata. Si è tentato di attribuirgli un interesse politico-elettorale, ma neanche questo ha potuto essere provato. Nel processo non è emersa la prova, eppure la sentenza lo condanna lo stesso.
Qual è il rapporto tra la requisitoria della Procura Generale di Reggio Calabria, il processo e la sentenza di Locri? Nel processo d'appello in corso a Reggio Calabria, la procura generale ha sposato interamente l'impianto della sentenza di primo grado, senza nessun approfondimento ulteriore. Ha anche confermato l'associazione a delinquere. Nonostante la mancanza di prove di cui ho detto. Certo, ha chiesto una pena leggermente inferiore, 10 anni e 5 mesi invece dei 13 anni e 2 mesi chiesti dal tribunale di Locri. Ma convalidando tutte le accuse e senza riuscire ad eliminare le debolezze del quadro probatorio. Un avvocato mi diceva alla fine dell'udienza di non aver mai visto nella sua lunga carriera una requisitoria della procura generale così sciatta. Ecco, le anomalie di questo processo a Riace e Lucano continuano.
La Riace di Mimmo Lucano oggi. Resiste? Riparte? Riace resiste, accoglie dei rifugiati con fondi privati da raccolte solidali. Ma in realtà è una comunità ferita, sospesa, che attende un verdetto che ha già prodotto tutti i suoi effetti demolitori, distruttivi. C'è come una maledizione che colpisce in Calabria le esperienze più innovative, come se in quella terra difficile sia un'impresa titanica cercare di cambiare le cose.
L'incontro si può seguire in streaming alla pagina Facebook della Sala Stampa Esteri
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