Domenica, 12/09/2021 - Angelina è stata uccisa a coltellate da suo marito. Rita è stata uccisa a colpi di pistola dal suo ex marito. Ada è stata uccisa a coltellate da suo marito. Chiara è stata uccisa da un suo vicino di casa. Solo negli ultimi dieci giorni. Ma come vengono raccontate queste uccisioni, questi femminicidi. Come vengono raccontate queste donne? E come vengono raccontati i loro assassini?
Uno dei primi momenti importanti nell’esistenza di un essere umano è quando inizia a parlare: da bambine e bambini impariamo pian piano a ripetere le parole che sentiamo e ad utilizzarle per chiedere, spiegare, per rapportarci con le persone che ci circondano. La lingua e le parole sono quindi il primo e fondamentale strumento con cui esprimiamo noi stesse/i e ci presentiamo al mondo. Chi, poi, nella vita sceglie le parole come mestiere avrà il privilegio e contemporaneamente il potere di descrivere e spiegare a chi legge o ascolta ciò che accade nel mondo in cui viviamo.
La lingua e le parole sono uno strumento di potere. E chi utilizza la lingua e le parole per mestiere ha un potere enorme, perché costruendo ogni frase orienta l’interpretazione di chi legge decidendo di rappresentare in un certo modo la realtà sociale. Ogni parola che si sceglie di utilizzare porta con sé il bagaglio culturale che chi parla o scrive ha su quel tema, ma anche gli stereotipi e i pregiudizi sociali e culturali con cui tutti e tutte siamo cresciuti.
I giornali hanno quindi una responsabilità quotidiana nella narrazione di un grave fenomeno sociale quale è la violenza maschile contro le donne, che, radicando la propria origine nella cultura, ancora di più si scontra con quei pregiudizi e quegli stereotipi che è indispensabile combattere per eliminarla. Dire qualcosa in un certo modo significa pensare quel qualcosa in un certo modo; e significa condizionare anche chi legge a pensarlo in quel modo. Il modo in cui si racconta la violenza maschile contro le donne non è mai neutro, e pensare che il/la giornalista di cronaca si limiti a riportare fatti in modo puramente oggettivo è irreale: è inevitabile che il linguaggio di chi scrive rispecchi sempre la sua cultura e le sue idee su quel particolare argomento o contesto. Ognuno guarda alla realtà con i propri occhi.
Partendo dal presupposto che la violenza di genere sia un problema culturale, che quindi deve trovare la propria soluzione nella cultura e non solo nella legge, il saggio “Parole e pregiudizi” si propone di analizzare il linguaggio che i quotidiani italiani scelgono di utilizzare nel riportare in cronaca i casi di femminicidio, al fine di verificare se la narrazione che viene restituita a chi legge è coerente o no con gli obiettivi di prevenzione della violenza e di ogni forma di discriminazione imposti in primo luogo dalla Convenzione di Istanbul. La prevenzione della violenza parte infatti proprio dalla cultura, dall’esigenza di un profondo rinnovamento culturale che renda effettiva la pari dignità delle donne all’interno della società. E quindi l’uso corretto e consapevole della lingua, delle parole, è uno dei primi indispensabili passi per costruire una società nuova, più libera e rispettosa di tutte le sue componenti. Analizzando gli articoli apparsi sui più diffusi quotidiani italiani nell’arco di un anno - tra aprile 2019 e aprile 2020 – “Parole e pregiudizi” verifica come la stampa italiana, nel riportare i casi di femminicidio, tenda a fornire al lettore un frame interpretativo che deresponsabilizza l’azione violenta dell’uomo, rappresentando per lo più il fatto come un delitto d’impeto, determinato da un discontrollo episodico, e causato spesso da un comportamento della donna che ha deluso le amorose aspettative del partner, con la conseguenza di isolare ciascun evento dall’altro senza coglierne la comune matrice culturale.
I media hanno un ruolo strategico nel progresso delle pari opportunità: continuando a essere la principale e più autorevole fonte d’informazione e di costruzione delle opinioni per la maggioranza della popolazione, possono ostacolare oppure favorire una rappresentazione della realtà stereotipata e discriminatoria. È, infatti, importante, interrogarci non solo su cosa viene detto, ma anche e soprattutto su come viene detto; e anche su quanto non viene esplicitamente detto dai quotidiani, bensì implicato.
Un problema cruciale del femminicidio è il fatto che la retorica dell’emergenza si rifiuti ancora di considerarlo un fenomeno strutturale socio-culturale, e non solo una delle tante forme di devianza criminale. Emblematico in questo senso è un passaggio scritto sull’uccisione di Rosalia Mifsud:
“Oggi quella casa, acquistata con sacrifici da Rosy circa tre anni fa, è il simbolo di un orrore che ha sconvolto l’intera comunità di Mussomeli, dai vigili urbani fino ai frequentatori del bar, intimoriti dalle telecamere, con l’orecchio alla televisione per sentire il racconto di quanto accaduto. «Chissà cosa gli è passato per la testa» dicono i passanti, desiderosi che tutto ritorni alla tranquillità, mentre si avviano a tornare a casa per il pranzo dopo aver assistito alle fasi dei rilievi e alle operazioni dei carabinieri. Loro vogliono cancellare quella pagina di sangue dalla loro cittadina e vivere ancora in quel posto tranquillo, lontano da telecamere e televisioni.” (Repubblica, 1/02/2020)
Queste poche righe sembrano proprio riassumere il sentimento popolare esistente nei confronti della violenza maschile contro le donne: è stato un momento di pazzia che, tutto sommato, non ci riguarda; possiamo continuare a vivere come abbiamo sempre fatto. Ma è proprio continuando a vivere come abbiamo sempre fatto che noi donne continueremo a morire!
Per risolvere un problema è evidente che bisogna prima riconoscere che c’è n’è uno. E per far questo gli unici strumenti a nostra disposizione sono una nuova formazione dei professionisti e delle professioniste e una nuova educazione di tutte e tutti. Serve cioè un nuovo genere di formazione per un nuovo genere di informazione.
L’obiettivo e la speranza di chi come me riflette sul potere delle parole è che prima o poi i mass media comprendano l’importanza dell’utilizzo di un linguaggio corretto e assumano l’impegno di dare il proprio contributo al progresso della società in cui viviamo, e in cui soprattutto crescono le nostre bambine e i nostri bambini. Loro hanno diritto di avere un futuro migliore e libero da pregiudizi.
“Parole e pregiudizi. Il linguaggio dei giornali italiani nei casi di femminicidio” (Ed. LuoghInteriori, 2021)
Maria Dell'anno
Data di pubblicazione: 10 settembre 2021
EAN: 9788868642969
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