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Parlando di 8 Marzo a Rebibbia

Parlando di 8 Marzo a Rebibbia

- Le detenute del carcere di Rebibbia raccontano la loro Giornata della Donna

Redazione Venerdi, 27/02/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2015

È come se nell’aria i pensieri che volano siano altri, questo lunedì di gennaio in cui parliamo della Giornata Internazionale della donna con le detenute del corso. Pian piano le riflessioni su questo appuntamento - festa o giornata che sia - prendono forma e da ciascuna esce un’idea, un ricordo, un sentimento. Questa discussione sarebbe stata impensabile se non le avessimo già conosciute, se loro non ci avessero già conosciute. Se insieme non avessimo realizzato il progetto ‘A mano Libera’ e composto l’inserto pubblicato nel numero di febbraio di NOIDONNE. Ed eccoci qui, insieme, al di là di ogni formalità: ridendo, empatizzando, incazzandoci, piangendo. Potrebbe essere un titolo, un attacco…Tu chiamala, se, vuoi, disambiguazione. Otto marzo a Rebibbia, libertà delle donne e privazione della libertà. Carcere delle donne e carcere degli uomini. Per Laura è la commemorazione delle donne uccise a New York: “mi ricordo un 8 marzo di tanti anni fa, avevo 15 o 16 anni e feci sega con le mie compagne di scuola per vedere Piazza di Spagna… ricordo la fontana della Barcaccia piena di mimose…Due anni fa ho ricevuto la mimosa da Luca e l’ho talmente apprezzata che mi è passata perfino l’allergia”. Le fa eco Assunta “io portavo la mimosa a mia madre, e lei la portava a me: la coglievamo dall’albero dietro casa, che si riempiva di profumo. Oggi sono contenta quando me la porta il mio compagno”. Nei ricordi di Cinzia “fino a 10 anni fa l’8 marzo era festeggiato, a Milano, da certo pubblico della sinistra. Nelle fabbriche si spegnevano le macchine, si davano 30 o 60 minuti di pausa, si distribuivano mimose alle operaie. Lo facevo anche io, da imprenditrice. Quest’anno lo faranno le mie sorelle”. Per Franca “festeggiare, o meglio ricordare le donne per tutto il loro percorso come mogli, madri o come punto di forza nella Resistenza ed in ogni manifestazione è farlo ogni giorno. Le donne in ogni epoca e sino ad oggi sono il simbolo di sacrificio, abnegazione, volontà ferrea” e aggiunge “nonostante si pensi agli uomini quali esseri potenziali in qualunque campo, le donne sono impareggiabili in ogni luogo o istituzione”. Ed è una “festa convenzionale” per Sylvie, “con donne che vanno a cena fuori, a vedere gli spogliarelli degli uomini”… una festa che “non mi è mai piaciuta”. Nell’impressione di Barbara - che forse ha nostalgia di quel ‘Gale8marzo’, oggi diventato solo business - c’è amarezza quando dice a voce alta “cosa altro aspettarsi da un mondo manovrato da burattinai cosiddetti uomini?” Non si può sottovalutare l’emozione di Lucia che s’intenerisce se un uomo dona a una donna anche solo un tralcio di mimosa. E ancora i ricordi di un passato per chi, come Barbara, non dimentica e nella voce comunica un po’ di nostalgia quando racconta di “quel vivaista che insegnava alle detenute floricoltura e che l’8 marzo coglieva le mimose dall’albero che c’è ancora nel giardino della Direzione, le confezionava e le regalava alle detenute”. Ma dall’8 marzo come appuntamento, il merito dei problemi prende corpo e il dialogo si estende, va oltre, entra nel vivo, arriva a saltare il muro e valutare differenze con gli uomini detenuti nell’altra parte del carcere. “Meglio che non lo fanno più, odio gli addobbi, sono felice che abbiano levato quelli di Natale, non facevano altro che aumentare la mia tristezza, c’era un albero così grosso che contribuiva a levarmi l’aria. È cattiva l’aria di Rebibbia - racconta Laura -, i corridoi sono pieni di dolore. Il carcere ti leva la dignità. Ho pianto l’altro giorno, quando dopo la visita dei miei genitori, di 75 anni, mi hanno spogliata nuda, mi hanno fatto fare le flessioni, mi hanno perquisita. Come se i miei potessero avermi portato la droga. Mia madre mi strazia il cuore quando mi abbraccia prima di andare via e mi dice. ‘Fai la brava, mangia’, e mentre esce si gira verso di me per mandarmi baci”. Segue Loredana “mi viene da ribellarmi ogni volta che, in fila per la terapia, vedo una signora di 75 anni affaticata: nessuna la fa passare e le infermiere non la trattano con il rispetto dovuto all’età e alla condizione di malata. O quando vedo arrivare ragazze che non parlano italiano e, dopo aver fatto il modulo di primo ingresso, aspettano per ore senza capire cosa fare”. Si inserisce Barbara: “ho pianto il 10 gennaio, che era il mio compleanno e dopo molti anni l’ho voluto festeggiare. È stato un bel pomeriggio, ma alla fine mi hanno accusato di aver rotto lo stereo che il carcere mi aveva dato, e le mie compagne che sapevano che non era così non mi hanno sostenuta”. Conferma Sylvie: “è vero, ne sono testimone” e aggiunge “ho perso il senso di me; certe volte non riesco neanche a parlare, sto depauperando il mio vocabolario a forza di sentirmi dire che parlo difficile. Così, la solidarietà è un lusso che non riesco a praticare, e mi trovo a pensare che è un bene che siano gli uomini a detenere il potere. La maggior parte delle donne ha preconcetti e pregiudizi che gli uomini non hanno”. Interviene e puntualizza Assunta: “no, è che gli uomini sanno fare un gioco di squadra, sanno chiedere tutti insieme, e così ottengono quello che vogliono. Il mio compagno, che ha fatto 5 anni di galera, mi dice sempre che il loro modo di essere compatti è molto forte”. “E infatti ottengono: hanno molti più diritti di noi - conferma Loredana -. Noi non possiamo chiamare gli avvocati praticamente mai, loro hanno una telefonata con il legale al mese. Loro, a differenza nostra, hanno più scelta e più facilità negli acquisti, ad esempio. Il carcere delle donne è carcere due volte. E poi, molte di noi qui hanno perso il loro uomo. Il tempo è lungo da passare, anche fuori, e noi donne siamo più forti ad aspettare e a rinunciare”. Ma Lucia non ci sta a vedere solo il negativo, e pur parlando piano sembra urlare quando aggiunge “tutto vero, ma io voglio sorridere, quando sono entrata qui ero nera in tutto il corpo per le botte che avevo preso fuori, e non posso dimenticare l’inferno che ho lasciato”. Quasi a confermare il bisogno di tutte di guardare oltre il muro del dolore… arrivano le simpatiche poesie di Cinzia e Loredana.

FEMMINILE SINGOLARE MINSTERIALE

di Cinzia Mangano

Al femminile non dirige il direttore

non comanda il comandante

non ispeziona l’ispettore

né assolve il giudice istruttore

Al femminile non condanna il magistrato

né dice messa il prelato

A voi chiedo, con osservanza

quali sono le regole dell’uguaglianza

se le donne ai ministeri sono obbligate

a portar le braghe e il ghigno degli artiglieri

A codesto illustrissimo mi appello

vogliate riconoscerci un modello

in verità del nostro ventre è la forma del mondo

La sottoscritta per concludere pone

in calce una domanda

al femminile detenuta sconta pena

o è in attesa che si risolva il problema?

Confido in un vostro autorevole intervento

affinché possiate chiarirmi il malcontento

In attesa di giudizio resto attenta

ma che sia universale e non solo maschile singolare.

La detenuta XX



DONNE

di LOREDANA

Può essere compagna di vita

Con aggettivo possessivo diventa “la mia donna”!

Al plurale suona familiare “le mie donne”

Donna come Eva nell’offrirti una semplice mela

Befana se non ti è grata

Strega quando la mela è avvelenata

Donna Rosa in una baudiana canzonetta

Desiderio in una un po’ più vecchia

Nobile, Pia, Santa come Madonna

Regina di fiori, di spade, di cuori

Quando te la giochi a carte

Donna è colei che sta nell’ombra

Ma è più grande di te

Donna quella che ti offre il sorriso

Che scalda il cuore

Donna tuttofare, mamma, sorella, amica

Donna sportiva, astronauta, scienziata

Maestra - e non solo di vita

Donna in cucina dipinge e le mani parlano di sé

Donna d’affari e si dimostra molto più scaltra di te

Donna cantante

Che con voce graffiante

Ti ricorda la vita distante

Missionaria, carcerata

Donna assassina quando si difende dal mostro

Ma che resuscita e lo mette al suo posto

Donna guardia che sorveglia l’assassina

Ma che non dimentica il cuore in cantina

Donna azzoppata dalla vita

Ma che supera ogni salita ardita

Donna fortunata e generosa

Che non dimentica e offre senza posa

Donna Fata Turchina

Alle prese con la vita taccagna

Donna copertina senza il cervello di una gallina

Donna direttora

Che conserva l’A finale

Perché non vuole l’usuale matrice

Che termina con Direttrice

Donna lettrice, scrittrice, donna felice

Donna truccata, ma mai mascherata

Donna Cupido

Sognata, agognata

Donna passione, per sempre

Donna distante, diamante

Poliedrica, misteriosa

Per te, donna, meravigliosa

Ricevi

Questa gialla mimosa!

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