Lunedi, 23/07/2018 - “Aiuto aziendale alle manager per far congelare gli ovociti”. L’offerta allettante - che proviene da un’azienda leader cinese ma che ricalca lo stesso tipo di incentivi introdotto da qualche tempo da società hi-tech americane - prevede tra i benefit del contratto un consistente contributo per un intervento che intende proporsi come la soluzione ottimale per conciliare carriera e figli, rimandando la maternità al momento desiderato, grazie alla tecnica dell’egg freezing, ovvero al congelamento degli ovociti.
L’intento è nobile: ”Vogliamo aiutare le nostre dipendenti a fugare le preoccupazioni su famiglia e figli, in modo che possano godere meglio lo sviluppo della loro carriera”.
Si tratta indubbiamente di un’opportunità offerta dalle biotecnologie, una possibilità di scelta che dovrebbe allargare lo spazio della libertà ma che appare, insieme, esposta al rischio di entrare in un contesto di necessità, di forti condizionamenti. In effetti, il progresso delle tecniche di fecondazione assistita, sottraendo sempre più la maternità alla natura e al destino, consente oggi alle donne di differire la procreazione al momento da loro scelto. Ma proprio questo è il punto. Scelto volontariamente da loro, in base a un progetto di vita, o rispondente ad una scelta per così dire obbligata, per il timore di essere tagliate fuori dal mercato del lavoro? Ci troveremmo in questo caso davanti a quella che, anni fa, la ginecologa Eleonora Porcu definiva “una sottile coercizione travestita da libertà” segnalando il rischio di una “violenza contro le donne, costrette a ricorrere alla fecondazione assistita per lasciare spazio agli studi e alla carriera”. Donne, quindi, destinate a procreare sempre più tardi, rese più fragili dal confronto con una tecnologia che manifesta la sua radicale ambivalenza: da un lato, offrendo loro più opportunità di decidere se, quando e a quali condizioni essere madri, dall’altro, accrescendo la possibilità di un controllo maggiore e più insidioso, rispetto al passato, sulle loro scelte.
Il messaggio illusorio che passa, inoltre, è che ci sia sempre tempo per diventare madri, che a 20 o a 40 anni la maternità sia in fondo la stessa esperienza, una volta che sia garantita dalla freschezza inalterata degli ovociti congelati. Ma il nostro corpo – e la nostra mente – non subiscono lo stesso processo di congelamento e, seguendo il corso del tempo, mutano, maturano, invecchiano. Non ci si può illudere di poter affrontare la gravidanza in età matura con le stesse risorse di energia dei 20 anni. Gioverebbe, forse, una maggiore consapevolezza del proprio corpo e dei suoi limiti nel riconoscimento che la maternità non è assimilabile ad un lavoro da rimandare a tempi migliori.
Sennonchè proprio su questa assimilazione si fonda, a ben vedere, lo stesso progetto del congelamento degli ovociti che mira alla ricerca di una conciliazione tra lavoro produttivo e lavoro riproduttivo e che guarda alla maternità come una funzione da adempiere con la massima efficienza, non certo come una promessa di felicità.
Articolo pubblicato ne IL SECOLO XIX sabato 21 luglio 2018 pp. 1 e 5
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