"Ostaggio della vallata" di Fausta Genziana Le Piane
La poesia di Fausta Genziana Le Piane apre al lettore un ampio varco di pensieri e riflessioni. C’è una forte presenza della natura: i monti, la pioggia sugli alberi del bosco, sassi, fiori e case, uccelli d’ogni genere...
La poesia di Fausta Genziana Le Piane apre al lettore un ampio varco di pensieri e
riflessioni. C’è una forte presenza della natura: i monti, la pioggia sugli alberi del bosco,sassi, fiori e case, uccelli d’ogni genere, come la rondine e il gufo. Riecheggiano i ricordi del passato soffermandosi sui momenti significativi della vita, come l’amore e la morte, con densi risvolti autobiografici e ritorni alla sua terra d’origine, la terra di Calabria. Infatti c’è la donna del sud “con lo scialle scuro… a chi domani partirà con la valigia… e poiscompare per le vie del mondo”. Ci sono meditazioni sulla storia, sulle lacerazioni della vita moderna, su esperienze estreme come Hiroshima e la devastazione della prima bomba atomica. Tutte esposizioni che si fanno metafora per definire la complessità del modo di vivere di questa confusa modernità. E c’è la forza del vento. E la vallata.
Fausta assolve in pieno il primario compito della Poesia, rendere visibile tutto ciò che
esiste ma appare velato.
Si percorre la vita per sentieri tortuosi, piene di vie che chiamano e, ad ogni bivio, il dubbio assale e inquieta. Dov’è la via, quella giusta che renderebbe l’umanità almeno un poco più libera? Tutto d’intorno racconta d’un mondo inquinato e devastato da mille annunci che non sono veri, che vorrebbero imporre falsi miti e ideologie che mai potranno appartenere all’essenza umana. Troppi inviti hanno formato disattese illusioni e sono diventate legna da ardere fattasi cenere che non va via, non c’è vento che passi e la disperda, lontano per liberarcene.
Già, il vento.
Il vento è simbolo di forza e libertà, e quindi soffre nel sentirsi ostaggio.
Così scrive Fausta, nella poesia che dà il titolo al libro “Ostaggio della vallata”:
“Prima ostaggio della vallata, / il vento si libera / poi, / e, / trasportando con sé /
frantumi di sere d’estate, / accarezza il verde seno delle colline. / Avanza infine verso una notte d’amore”. (Ostaggio della vallata)
Non a caso questa lirica è inserita all’interno della sezione “Resuscita Lazzaro” ove si
denota un intenso desiderio di rinascita, di liberarsi da una estesa vallata da cui è difficile trovare un via che porti verso l’alto. Ma il vento, ora, è finalmente libero, e si sparge su tutte le liriche di questa pregevole raccolta poetica.
Ora finalmente
“Torneranno le parole. / E saranno come biglie colorate / spinte / dalle agili dita / di
bambini concentrati / sul gioco dell’estate. / … Entreranno trionfanti / fino alla stanza
del re”. (Torneranno le parole)
È una libertà conquistata che non ha più limiti, un forte incitamento alla rinascita
dell’umanità che pretende, non tanto una improbabile liberazione dalla sofferenza, ma una
conoscenza del perché della sua presenza, fino al mistico urlo verso il Divino
“Signore, / resuscita Lazzaro!” (Resuscita Lazzaro)
Ed è toccante, in questa medesima lirica, la rievocazione di tante assenze attorno alla
tavola bandita per Natale. Nessun domani sarà uguale ad oggi o ieri, sarà sempre un
domani disarmonico, seppur mai privo della Memoria che rende forti e fa la nostra storia.
Ma questa forza già si fa spazio nei primi componimenti della raccolta, in cui si evoca
Selene, personificazione della luna piena, splendente, desiderio di luce e d’infinito che
“Si accovaccia / nel palmo della mano / e / punto dopo punto / aderisce alla carezza / che
scardina / i lineamenti del viso”. (L’infinito)
È una visione di tenerezza, è come acqua raccolta nel palmo della mano e un bambino che
ne beve accovacciato, acqua fonte di vita e di purezza.
E qui rientra nel cuore quell’infinito amore che si cosparge nei versi dedicati ai figli mai “sempre o quasi banali” giacché essi rappresentano per i genitori una fusione di gioia e sofferenza. La sofferenza dei genitori verso un disagio dei figli a volte è atroce fino a divenire disumano, che ci fa mendicanti “di casa in casa” (STELLINA, a mia figlia Scilla) in cerca d’una sospirata consolazione che acquieti l’animo.
Così ritorna la forza del vento:
“Voglio stringerti nel vento / veloce levriero del sorriso / che corri senza catene / nella tempesta della giovinezza”. (CERTEZZA D’AMORE, a mio figlio Alberto)
Ma è donna forte e ha una visione forte della vita e delle sue sofferenze, che affronta
opponendosi con un risoluto e orgoglioso “eppure… non avendo paura della vita e
avvolgendo felice la morte”. (EPPURE)
Ed è proprio nell’ottica dell’aggettivo avverbiale “felice” che va letta questa pregevole
silloge. I suoi versi colpiscono al cuore e danno fuoco perché riscaldino le notti buie e
silenziose.
Fanno meditare i versi delle brevi liriche, dove alla tristezza di una (Stanza vuota)
“In questo silenzio / la mia solitudine / è uno sparo alla mente” ;
e
(Ragnatela)
“Lavora lenta / ma decisa / alla tela / che non ha fine / e che mi ucciderà” ;
fa però da contrappeso
(Indovino)
“Indovino il chiaro della tua ala, / rondine: / brilla per chi vuol cercare”.
Ed è sempre il vento in cui volteggia la rondine che rende vigore alla vita, come
contrappeso che Fausta fa vantare su tutto.
Antonio Ragone
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