Oggi la semina per una (buona e giusta) agricoltura di domani
L'EXPO 2015 come opportunità epocale per l'economia e per l'agricoltura. Il territorio, il Made in Italy e l'imprenditoria femminile in una Intervista a DINO SCANAVINO, Presidente CIA
“L’EXPO 2015 rappresenta una grande opportunità per compiere la svolta epocale necessaria oggi e per comprendere, tutti insieme, che i modelli di sviluppo dell’agricoltura non possono essere più di tipo industriale e di sfruttamento intensivo ma che occorre un’eticità delle produzioni e, in generale, dell’organizzazione. Noi pensiamo che ci sia bisogno di più agricoltura e di più agricoltori perché aumentare la produzione in aree limitate del globo per sfamare gente che abita dell’altra parte del mondo è una ricetta insostenibile”. Dino Scanavino, presidente di CIA (Confederazione Italiana Agricoltori) tiene molto all’appuntamento dell’Esposizione Universale (al via il prossimo 1° maggio) proprio perché incentrato sul tema dell’alimentazione: Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita. “Abbiamo istituito una commissione apposita per l’organizzazione di sei nostri appuntamenti durante l’EXPO, dove avremo un ufficio di rappresentanza, e parteciperemo attivamente anche alla stesura della Dichiarazione Universale che sarà il lascito di questo importante evento. Trovo particolarmente significativo che questo appuntamento di valenza planetaria lascerà non un monumento ma un’idea, dei principi, l’indicazione di una strada da percorrere”. Come non sottolineare, da parte nostra, che la Presidente del Comitato Scientifico che stilerà la Carta è la prof.ssa Claudia Sorlini...
Presidente, lei ha tracciato lo scenario che l’EXPO deve indicare. Ma quali sono gli obiettivi più legati alle contingenze e alle necessità del mondo agricolo?
L’EXPO è un’occasione davvero straordinaria per veicolare il Made in Italy e la qualità come tratti distintivi e unici. In questo senso sarà decisivo per la nostra economia e non solo per l’imprenditoria agricola. È utile che l’etichetta dei prodotti sia completa, ma quello che serve di più è creare nei consumatori e nei cittadini la consapevolezza del gesto dell’acquisto e del consumo del cibo, partendo dalla conoscenza di come e dove si genera. In questa direzione vanno le fattorie didattiche, i mercatini, il progetto ‘la Spesa in Campagna’.
Un mondo agricolo così impegnato nell’innovazione dovrebbe essere sostenuto con politiche strategiche anche alla luce dei cambiamenti climatici e del dissesto idrogeologico del nostro territorio…..
Certamente non possiamo legare le scelte importanti ad eventi tragici. Siamo figli di Emilio Sereni, che ha scritto un libro ancora studiato dopo circa cinquanta anni, ‘Il paesaggio agrario dal medioevo ad oggi’. Ci vorrebbe un altro Emilio Sereni che scrivesse un nuovo testo, perché le necessità produttive e anche i cambiamenti climatici suggeriscono all’uomo e all’agricoltore in particolare di modificare il proprio comportamento. Oggi stiamo acquisendo consapevolezza che il tema delle produzioni affrontato solo in termini di volumi puri non è quello che aiuta l’agricoltura italiana. Invece dobbiamo produrre bene, e insieme ai nostri prodotti dobbiamo vendere il nostro paesaggio, le nostre ricette gastronomiche, il nostro saper essere, l’insieme dell’italianità. Con un pacchetto di riso di Vercelli dobbiamo vendere le cascine circondate dall’acqua in primavera, il nostro bello.
Si scorgono politiche prodotte da una visione di insieme che disegni un sistema-paese?
Anche questo governo non ha sviluppato ancora una politica agricola. Però abbiamo accolto positivamente alcuni provvedimenti che contengono elementi di innovazione forte. Ad esempio le detrazioni sul lavoro agricolo non a tempo indeterminato (che in certe realtà è impensabile per i ritmi naturali che seguono i lavori in campagna). È molto importante il provvedimento per le terre demaniali ai giovani. Al di là dell’impatto in termini economici, che oggi non possiamo valutare, è significativo il riconoscimento dell’importanza del bene terra per un giovane agricoltore. È un elemento rivoluzionario che costituisce una presa di coscienza da parte della politica che esiste il problema agricolo. Aspettiamo però di vedere l’impatto della Spending Review e, ferma restando la disponibilità degli imprenditori agricoli a contribuire e a fare la loro parte, abbiamo spiegato al Ministro Padoan (incontrato di recente) che l’agricoltura non sopporta più un prelievo lineare e aggravi di costi in modo lineare. Abbiamo detto che bisogna togliere i tetti agli edifici e guardare cosa c’è dentro: se c’è una cantina che produce Barolo o Brunello di Montalcino possiamo ragionare sulla possibilità che quell’edificio dia un contributo, ma se in quel capannone c’è fieno per alimentare un allevamento di capre, lo dobbiamo considerare in modo diverso. Bisogna valutare la redditività di quello che producono, invece le letamaie sono accatastate come edifici produttivi. Occorre fare un salto di qualità anche nella fiscalità. Come agricoltori abbiamo un senso dello Stato profondo però l’equità è un elemento cui non possiamo rinunciare e per questo chiediamo ai ministri di aprire un tavolo di discussione, non per negoziare ma per far pagare le imprese che possono e non mettere altre nelle condizioni di chiudere. La parola chiave è equità.
A proposito di costi, un tema collegato è quello della sicurezza alimentare, che è una garanzia ma anche un appesantimento burocratico...
I controlli sono prima di tutto una garanzia per noi, un valore aggiunto da spendere sui mercati. Così come la normativa del mondo del lavoro e la sicurezza dei lavoratori. Ci sono alcuni elementi di confusione, generati spesso dal sedimentarsi di politiche clientelari che hanno creato tanti soggetti preposti a fare controlli. Così accade che una bottiglia di latte è controllata da vari corpi ispettivi che però non si parlano tra loro. Quindi occorre un’opera di razionalizzazione. Poi chiediamo un registro on line dove i corpi ispettivi devono attingere informazioni. Altra richiesta è il verbale positivo, che non viene mai fatto, e altra necessità è l’istituzione della diffida in presenza di difformità non penalmente rilevanti ma che abbiano valenza amministrativa. Questo sarebbe rivoluzionario e darebbe sollievo alle nostre imprese, oppresse da una giungla normative e ispettiva e d’altra parte caratterizzate dall’essere di piccole dimensione e con tante colture, soggette a tanti tipi di normative. La parola semplificazione spesso pronunciata dal Presidente Renzi ci piace, anche perché il peso dello Stato è un elemento che frena e ci toglie competitività rispetto ai nostri competitori europei.
Altro elemento frenante penso sia l’illegalità, le mafie. Cosa dice il mondo dell’agricoltura in proposito?
Le mafie sono la punta estrema dell’illegalità, vi aggiungono violenza e sono un cancro ormai radicato anche al Nord. Poi c’è il problema dell’imitazione del Made in Italy, che fattura 60 miliardi di euro nel mondo ogni anno, di cui 6 miliardi generati dalla contraffazione. Registriamo poi una nuova emergenza: i furti di attrezzature, di trattori o di animali. Ci sono organizzazioni che vendono ad un mercato parallelo. È in uscita il nostro Rapporto sulla microcriminalità nelle campagne in cui ogni due anni facciamo il punto sui vari fenomeni di illegalità. La Camera ha istituito una apposita Commissione, ma è solo un primo passo. In generale il fenomeno è in crescita e la lotta è complessa. Non sarà una partita facile né veloce.
Le donne in CIA sono riunite in una associazione, Donne in Campo. Quali considerazioni sulla realtà femminile?
L’attenzione della confederazione per il mondo agricolo femminile è certificata storicamente, con tante grandi dirigenti - come Paola Ortensi, una tra le più note e recenti - anche in tempi in cui non c’era spazio per loro. Penso ad Argentina Altobelli. Del resto oggi sono donne il direttore, Rossana Zambelli, e il vice presidente vicario, Cinzia Pagni. Donne in Campo non è una enclave in cui le donne sviluppano loro progetti che poi propongono in modo rivendicativo. Con Mara Longhin (Presidente di Donne in Campo, ndr) in Giunta parliamo di questioni che riguardano l’agricoltura in generale. Quello che apprezzo delle donne è la capacità innovativa del prodotto e dei processi. Dove c’è bisogno di evoluzioni virtuose e creative le donne sono decisive. Dove ci sono produzioni che hanno risolto problemi di microimpresa o collocazione in un’area svantaggiata, lì ci sono donne. Sappiamo bene che l’imprenditoria femminile è meno numerosa, ma in termini qualitativi garantisce caratteristiche particolari e l’agricoltura ha bisogno di questa componente. Vorrei poi sottolineare l’importanza delle donne anche quando non sono titolari, ma riescono ad essere figure cardine nelle imprese.
Domando al presidente e all’imprenditore agricolo: pensa che ce la facciamo, come Paese, ad uscire da una crisi che sembra infinita?
Ce la facciamo. Pur in una situazione molto difficile, non ci mancano competenze, ingegno, capacità di soffrire. Non siamo da meno di altri. Abbiamo bisogno di una classe dirigente che si moralizzi, che si semplifichi, che sappia rinunciare a privilegi. Saremo chiamati a cambiamenti profondi. Tutti. Come C.I.A. abbiamo già iniziato.
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