Rosanna Marcodoppido, da molti anni militante dell'Udi, fa parte anche della rete Io decido che ha promosso, insieme all’Udi e a DIRE la manifestazione di sabato 26 e i tavoli tematici di domenica 27 novembre. Io decido è composta soprattutto da giovani che si sentono parte dei movimenti femministi internazionali, con i quali sono in collegamento. Molti sono stati gli incontri che hanno preceduto il corteo di sabato, convocato principalmente sul tema della violenza contro le donne. Si è trattato di una tappa importantissima che segna la ripresa con forza di parola pubblica delle donne. NonUnaDiMeno è una presenza politica e un attivismo che costruisce relazioni anche attraverso la rete e che trae forza sia in piccoli gruppi disseminati nelle periferie urbane sia in realtà attive nelle province. (videointervista dal corteo / videointervista dal corteo/ videointervista dal corteo)
Rosanna ha seguito le assemblee preparatorie della grande manifestazione di sabato scorso (photogallery), compresa l’affollatissima assemblea nazionale dell’8 ottobre; domenica 27 novembre all'Università La Sapienza ha partecipato anche a uno dei 'tavoli tematici', quello sull'educazione alle differenze, all’affettività e alla sessualità. Le chiediamo le sue impressioni a 'caldo', le osservazioni che sente di poter fare guardando questo movimento.
Sulla base della tua militanza nell'Udi, vedi delle differenze nelle pratiche politiche di queste giovani rispetto a quelle che hai vissuto?
Dipende da quale punto di vista. La loro passione politica, l’amore per la libertà e la dignità femminile - basi necessarie di ogni pratica trasformativa delle donne - sono le stesse di quelle che noi dell’Udi abbiamo oggi e che avevamo tanti anni fa, alla loro età, come è la stessa la voglia di lottare contro ogni discriminazione e identico e forte il bisogno di esprimere solidarietà alle donne che subiscono violenze in Italia e nel mondo. Con Io decido ho partecipato in questi anni alla lotta per l’applicazione della 194 andando negli ospedali a manifestare e volantinare come tante volte ho fatto nell’Udi; anche con loro ho condiviso la fatica delle riunioni e del confronto in una pratica di democrazia sostanziale cercando di evitare la logica della contrapposizione e della delegittimazione. Allora dov’è la differenza? Con loro vivo un separatismo segnato dall’autonomia rispetto a partiti e sindacati, ma molte condividono spazi politici con i loro compagni in sedi occupate mentre l’Udi ha ovunque sedi abitate da sole donne. Questa è una prima differenza che però potrebbe essere anche irrilevante. Nell’Udi mi ritrovo tra donne di diverse generazioni mentre in Io decido, tranne me e qualche altra, sono tutte giovani. Nell’Udi sento la Storia, una lunga storia di donne, la tocco con mano, ho contribuito a costruirla e a scriverla, la vedo nei visi e nelle rughe di tante compagne. Le giovani in genere, e quelle di Io decido non fanno eccezione, hanno una memoria del loro genere troppo corta, la scuola le ha private dei saperi e dell’esperienza storica di chi è venuta prima: un patrimonio che devono ancora recuperare per posizionarsi con maggiore agio e signoria in questo loro complicato presente. E sono sicura che lo faranno, sono bravissime e sanno di non sapere tutto e di non poter fare da sole, altrimenti non avrebbero intrapreso questo percorso così impegnativo con Udi e DIRE. Sono, beate loro!, molto capaci di utilizzare le nuove tecnologie comunicative che consentono velocità nella condivisione, nei processi decisionali e organizzativi. Ma, soprattutto, sono le titolari indiscusse della loro esperienza, che è diversa da quella di tante di noi più avanti negli anni. E’ da questa esperienza che prende corpo e sostanza la loro lotta politica, tanto intrecciata alla nostra, ma più impaziente, più carica di energia fisica che sembra senza limiti. E’ la forza della loro giovane età che si mette in moto per sé stesse e per noi tutte. E’ per quelle della mia generazione la garanzia di un futuro ancora femminista.
Questo movimento guarda avanti e dichiara di essere in un cammino lungo il quale la manifestazione di sabato è stata una tappa. Quali prospettive vedi e quali problemi?
Penso alla giornata di ieri (domenica 27 novembre, ndr), agli otto tavoli di approfondimento e confronto sui tanti modi della violenza maschile sulle donne, ad una presenza che ha di gran lunga superato le aspettative: più di mille iscrizioni e l’intera facoltà di Psicologia occupata. Penso al ricco dibattito, alla volontà espressa da tutte di voler continuare il percorso con l’obiettivo di scrivere per la prossima primavera un piano nazionale femminista contro la violenza maschile sulle donne. Penso alla forza, all’entusiasmo espresso infine nell’assemblea plenaria in un crescendo di voci e slogan e abbracci nell’aula magna strapiena dove si sono decisi i prossimi appuntamenti e si è lanciata la proposta di organizzare per l’8 marzo lo sciopero internazionale delle donne: un giorno senza di noi. Vedo con speranza che la frammentazione del movimento delle donne sta tentando una possibile ricomposizione senza egemonie, in una pratica politica plurale e orizzontale per cambiare radicalmente le nostre vite, le vite di tutti. Voglio credere che questa volta possa davvero accadere.
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