Nanninella 'a Pazza, una donna tra la genialità e la follia, testimonia la potenza del racconto
Stefania Spanò in Nannina (Garzanti, 2023) non si limita a raccontare una storia, ma quella di una donna dal nome Nannina e la storia di un quartiere. Oltre al rapporto delicatissimo e umano che lega una nonna a una nipote. Il racconto ha qualcosa di particolare, perché nella nonna c’è più di una persona. Quest’ultima, infatti, rappresenta una tradizione che è quasi del tutto estinta: quella dei "cunti", una donna che era una "cuntastroppole".
Anna Grimaldi, questo è il nome della nonna, è una donna dalla più vite. È detta Nannina De Gennaro, Nannina 'a cuntastroppole, Nanninella 'a Pazza, una donna tra la genialità e la follia. Da giovane diventa famosa per i suoi "cunti", le sue storie narrate e recitate a voce in un cortiletto a Mianella o ai matrimoni, alle feste rionali, persino ai funerali, tutte pensate per la gente del quartiere come fossero ‘fiabe pezzenti’, senza morale, senza giudizio, una ‘stroppola’ appunto, ovvero «un cunto senza pretese, fatto così, per stare insieme.»
Il romanzo si apre a Secondigliano ‒ un quartiere a nord di Napoli conosciuto soprattutto per essere una delle zone a rischio della città dove l’illecito e il degrado sono di casa più che in altri quartieri ‒ e segue due linee temporali: la prima, negli anni '90, che dà voce a Stephanie, una bambina di dieci anni protagonista e punto di vista delle vicende; la seconda, tra gli anni '50 e '80, che permette di scoprire la figura carismatica ed estremamente sfaccettata di Nannina, nonna paterna della protagonista.
Nannina è così brava che quella di "cuntare" che questa diventa una vera e propria professione.
Si racconta, allora, come Nannina riesca a diventare un punto di riferimento per il quartiere, luogo purtroppo stretto tra la miseria e la criminalità. Le sue fiabe danno voce alla sofferenza, alle pene della gente comune. Sono una sorta di archivio in cui inserire e tramandare le afflizioni della gente per poi restituirle abbellite, romanzeggiate, colorite.
Nannina si scopre così voce del terremoto dell'80, come la voce della tragedia di Secondigliano: nel 1996, una voragine si aprì e causò molte vittime. Ma Nannina è anche la voce delle ultime volontà dei defunti che, non avendo avuto il coraggio di parlare in vita, affidano a Nannina il racconto della propria esistenza.
Ma la sua vita non sarà solo nelle parole: Nannina finisce chiusa in manicomio, tradita dalla moglie dell’uomo di cui era l’amante. Nannina non si chiude in se stessa e, a quanto viene detto nel romanzo, riesce a essere grata a chi le aveva insegnato a riconoscere tanta bellezza tra le sofferenze del manicomio.
La tragedia di Secondigliano sarà il motore che spingerà Stephanie, la nipote, a seguire le orme della nonna: anche lei si scopre una cuntastroppole. Vuole raccontare il quartiere con i suoi occhi. Da bambina di dieci anni, appassionatamente legata a suo padre Francuccio. Stephanie è una ragazzina intelligente, testarda, "stuppagliosa" come dirà sua zia Rosetta, che ha, cioè, un carattere cocciuto. Sarà in grado di assorbire l'arte di sua nonna e di farla sua, destreggiarsi tra i primi amori, le baruffe a scuola, le amicizie femminili, la sopravvivenza nel suo quartiere
La protagonista e voce narrante della storia non impara solo a "cuntare", ma anche a prendersi cura degli altri, a capire che una donna deve prendersi con la forza il posto che le spetta nel mondo.
La vita di una cuntastroppole non è semplice. All'inizio Stephanie parla come una bambina usando termini dialettali, frasi smezzate, ‘un registro e un tono da bambina’, alla fine lo stile, le parole e il registro è raffinato. I libri che tanto ama leggere l'hanno cambiata. anche nel modo di affrontare la sua famiglia.
A Spanò il merito di aver saputo fare delle descrizioni del quartiere vivide (pare quasi di poter toccare quei luoghi). Vivida è anche lingua, cosa che si ritrova anche nei romanzi di Simona Pedicini (Morte per grazia ricevuta), di Monica Acito (Uvaspina), di Peppe Lanzetta (Messico napoletano) e di Ramondino (Althénopis).
Il tono e lo stile sono coinvolgenti: pare di sentire davvero parlare una nonna e una nipote di Secondigliano, senza sbavature, senza diventare delle macchiette.
L’uso di termini scurrili e persino bestemmie sono ben calibrate da un'eleganza terrena che l'autrice padroneggia benissimo, tarate sull'ambientazione e sul contesto ma elevate dal fine letterario.
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