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Migranti e sicurezza: l'integrazione (im)possibile

Migranti e sicurezza: l'integrazione (im)possibile

Tra opportunità di ascolto e difficoltà di accoglienza, incontriamo le storie delle persone straniere con l'intervista a Marcella Lo Bosco (coop. Diaconia/Frosinone)

Martedi, 06/04/2021 - “Alcuni territori sono maggiormente disponibili, rispetto ad altri, all’accoglienza dell’altro in generale e quindi anche dei migranti. Dove ci sono resistenze, invece, è difficile operare; sono territori generalmente contrassegnati da un tessuto sociale che non è ben disposto verso il diverso, quindi anche lo straniero non è visto come una risorsa ma è vissuto come una minaccia che genera sentimenti di paura. E la paura spesso si trasforma in rabbia”.
Nei locali della Asl di Frosinone incontriamo Marcella Lo Bosco, psicologa e psicoterapeuta che opera nell’ambito dei servizi per i migranti della cooperativa sociale Diaconia (espressione della Diocesi di Frosinone-Veroli-Ferentino). “Quando c’è ostilità i/le migranti hanno difficoltà a vivere in maniera serena la relazione con il territorio e con le persone autoctone, questo compromette i percorsi di integrazione e le loro attiva”.
Cercando di comprendere meglio, chiediamo a Lo Bosco di approfondire. “Anche dal punto di vista psicologico le cause sono sfaccettate e sono riconducibili prevalentemente ad un sentimento di paura. Una spiegazione va ricercata nella dimensione culturale: quando la persona sente di non avere strumenti per interagire con l’altro e per poter collaborare, allora diventa escludente e si arrocca. La paura prende il sopravvento. Sull’altro vengono proiettate tutte le insoddisfazioni personali e l’intruso viene ritenuto responsabile dei propri bisogni insoddisfatti”.
Conoscere quali altri sono gli ostacoli all’integrazione socioeconomica delle persone immigrate è indispensabile per avere chiari i contorni e le complessità della questione. “Arrivate in Italia, si aspettano di trovare una realtà sociale ed economica che non c’è più; rendersi conto di questo è per loro un trauma. Spesso si verifica la cosiddetta psicosi del migrante, quando le persone non hanno strumenti e risorse interiori sufficienti per portare avanti il progetto migratorio: il viaggio è durissimo e, una volta arrivati, si pensa che il dolore e la fatica siano finite. Invece ne comincia un’altra: la fatica dell’integrazione e di confrontarsi con un tessuto socioeconomico che non offre più le possibilità di un tempo. La disillusione è tremenda e spesso toglie la spinta a riattivarsi per costruire il proprio futuro. Inoltre i cambiamenti repentini del quadro normativo hanno peggiorato tutto, in particolare la legge Salvini ha costretto molti migranti a lasciare i percorsi Siproimi (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) obbligandoli a tornare nei percorsi di prima accoglienza che non offrono le possibilità di studio, di formazione o di lavoro previsti nei progetti di seconda accoglienza. Il Covid, poi, ha ulteriormente aggravato una situazione già molto difficile”.
Considerando lo spunto che ci ha portato a questo incontro - il progetto sostenuto dalla Regione Lazio “Donne, Sicurezza, Legalità” - chiediamo informazioni sulle condizioni delle donne. “Il viaggio per le donne è particolarmente duro perché subiscono violenze di qualsiasi tipo e accumulano traumi su traumi. Quando le prendo in carico come psicoterapeuta intraprendo con loro, donne e uomini, un vero percorso nell’inferno. Non tutti hanno il coraggio di raccontare quello che hanno vissuto, soprattutto le donne. Alcune riescono ad aprirsi e con queste si può fare un bel lavoro, magari lungo, ma proficuo. Altre non riescono a condividere i loro drammi, non ne hanno il coraggio perché prevale la vergogna. Poi ci sono quelle che considerano la violenza un fatto ordinario perché nei loro territori di provenienza la donna è considerata un oggetto sessuale, di sfruttamento; per le nigeriane (ne abbiamo molte) è normale mantenere la famiglia mentre l’uomo non lavora”.
Uno strumento che si è dato il territorio per la gestione di tutte queste difficoltà è il progetto P.A.S.S.I. (Programma di Assistenza, Sostegno, Sviluppo e Integrazione) che nasce all’interno del Dipartimento Salute Mentale e Patologie da Dipendenza della Asl di Frosinone, come risposta all’esigenza di costruire un percorso di diagnosi, cura e riabilitazione per i richiedenti asilo, i minori stranieri non accompagnati e di seconda generazione, gli stranieri in condizioni di marginalità e/o difficoltà economica e sociale. Al Centro PASSI afferiscono varie cooperative del Terzo Settore aderenti alla Rete La Casa Comune, tra cui Diaconia, e l’Università di Cassino. “Dopo il primo lockdown, attraverso i focus group, (previsti all’interno del Progetto VirCOV, nato dalla collaborazione fra il Centro PASSI e la Cattedra di Sociologia dell’Università di Cassino), abbiamo lavorato sulle emozioni cercando di attenuare i sentimenti di paura, di rabbia, di sconforto e di smarrimento scatenati da una malattia nuova e sconosciuta. L’obiettivo è stato quello di mettere in sicurezza le donne, gli uomini e i bambini sia fornendo informazioni per evitare i contagi, sia cercando di gestire il lockdown emotivo. E abbiamo constatato che per i beneficiari era importante avere accanto chi si occupava della loro salute fisica e psichica”.

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