Mi prende d’amore una forma di Nadia Alberici: i consueti verdi su per salite strane
“Mi prende d’amore una forma” è la seconda raccolta poetica di Nadia Alberici, edita nel 2018 in coedizione tra Negretto Editore e Gilgamesh Edizioni. La prima silloge, “Terre incolte” è stata pubblicata nel 2015 da Gilgamesh Edizioni.
Venerdi, 30/03/2018 - “Quel che dissi/ era un albero alto e diritto/ Beveva l’acqua dal canale/ e l’acqua si faceva forma/ e corteccia dura di tempo/ Raccoglieva visioni dall’azzurro/ e cuciva l’aria con disegni ritorti/ E dissi/ l’albero cresciuto materia/ era quel me/ che sarei divenuta/ se fossi cresciuta sola sotto la luna/ […]” ‒ “Quel che dissi”
In una dimensione senza tempo, l’Io si individua in albero, nella materia in cui avrebbe potuto esprimere ciò che l’acqua rievocava. L’Io sibila i versi tra la folla per coloro che prestano attenzione al valore delle parole, simboli raccolti nell’azzurro, nel cielo.
“Mi prende d’amore una forma” è la seconda raccolta poetica di Nadia Alberici, edita nel 2018 in coedizione tra Negretto Editore e Gilgamesh Edizioni. La prima silloge, “Terre incolte” è stata pubblicata nel 2015 da Gilgamesh Edizioni.
Claudio Borghi, insegnante di matematica e fisica, firma la presentazione della raccolta e Silvano Negretto cura, in chiusura, la nota dell’editore.
“La fusione con la natura, desiderata e desiderante, che ispiravan gran parte delle poesie di “Terre incolte”, pare molto attutita, quasi messa tra parentesi; si percepisce un continuo, teso scambio di sensazioni e pensieri tra il centro vivente e la realtà che lo circonda e ne minaccia il corpo, lo confina nel cerchio, pulsante tra sogno e coscienza, desiderio e paura, dell’esistenza.” ‒ Claudio Borghi
Il sentire che genera pensiero in corrispondenza al centro interno ed alla realtà che si percepisce e che si crea. La minaccia del corpo, la manifestazione materiale. Il discorrere interiore che pone limiti all’evoluzione dell’imago che, necessariamente, orienta le percezioni dello stesso. È l’Io che, in viaggio, percepisce Anima come soffio che s’accende quando è riconosciuta.
“Corpo morto corpo fermo corpo vacuo/ corpo denso corpo intenso/ cuoce l’anima fresca/ come una goccia di vento/ Io la sento che c’è e non c’è/ che s’inebria di me// […] e quella foce di fiume loquace/ che corre davanti alle braccia e segue la traccia/ stringendo la terra/ Emersa.” ‒ “Corpo morto corpo fermo corpo vacuo”
Nadia Alberici, nelle sue liriche, esercita la volontà di esplorare l’istante, di sciogliersi in frammenti disperdendo la coscienza in parole ‒ simili a capelli attorcigliati ‒ che sgorgano da una sorgente generando connessioni nuove ed autentiche.
L’Io indaga sullo scorrere e correre della vita, ogni domanda è ricerca dell’amica ‒ Anima ‒ che “congiunta e inseparabile” osserva e canta. Ogni domanda è elevarsi dalla “distanza abissale” per vestire la brezza dell’imitarne il canto, come una cascata “di miele disciolto/ che chiama una memoria”.
“Le parole non bastano mai, anche se aiutano, per rispondere ai nostri dubbi; e il dubbio non è mai sofferenza, è presa d’atto cosciente della misteriosa bellezza della Materia o Natura vivente di cui Nadia si sente parte. L’anima, anche quando appare sconvolta dalle emozioni, anche quando rischia di “perdere il senso”, trova stabilità nella “terra inerte”, nella natura stabilmente viva, nella quale con meraviglia siamo immersi.” ‒ Silvano Negretto
“Mi prende d’amore una forma” è una sequenza di colori nella quale rigoglia il verde – emblema della Natura ‒. In ben undici liriche, infatti, siamo trasportati in questa figurazione: “il vento/ il verde”, “e gli odori dei passaggi sul verde prato”, “anime molto/ folte/ verdi e scure”, “le pagine verdi”, “sono viaggi di ritorno/ in ranghi desueti/ nei consueti verdi”, “e verdi fiordi dei boschi”, “s’interroga con i segni dell’erba”, “quasi un’erba infestante”, “di erba e capelli”, “col vento e nell’erba alta”, “i colori di erba”.
I consueti verdi, le anime verdi, il vento verde. Quasi a dir che l’evadere dell’Io dal corpo sia un rientrare nello status consueto di Natura nel quale si raccoglievano “fiati di animali e generi umani” e, di alberi. È uno “svanire nell’Universo” “nelle albe ancora piene della notte”, è la determinazione dell’incontro con l’altro che abita nel corpo da quando si ha reminiscenza.
Ed in questa condizione d’astrazione la poesia diviene anamnesi, rievocazione, ricordo.
“Ogni volta con lei diverrò marea/ abbandonandomi/ a quell’entrare discreto e inondante/ nelle gole mie infinite./ Ci unisce un filo ininterrotto di memoria/ Un filamento elastico di saliva/ che srotola piano dall’incavo profondo/ dei miei occhi senza/ che fonema gorgogli e si congiunga/ […]” ‒ “Ogni volta con lei diverrò marea”
“Un filo ininterrotto di memoria” che Nadia Alberici insegue, evadendo dalla percezione sensoriale del mondo materiale, per avanzare “su per salite strane” in cui la sensazione non avviene tramite i sensi ma attraverso la volontà di contemplazione.
La meta ‒ se così possiamo nominare lo scopo del tendere dell’Io attraverso l’atto del moto spirituale in unione con la Mente Creativa ‒ è l’Armonia.
“[…] La mia ombra là appariva e spariva come se fosse un niente/ trasparente/ Transitare in un paesaggio che è sensazione/ e indossare l’armonia vivente/ fino alla sua eclisse/ Ti dico che era così prima che il giorno mi prendesse.” ‒ “E se ti dico che il mare era un velo di sfumature liquide”
Written by Alessia Mocci
Ufficio Stampa Negretto Editore
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