Giovedi, 16/01/2020 - “In questi anni ci siamo battute per avere anche in ospedale i contraccettivi long -acting per poter inserire una Iud o un impianto sottocutaneo in occasione delle interruzioni volontarie di gravidanza (IVG), questo allo scopo di sensibilizzare le donne sul fatto che l’esperienza dolorosa dell’aborto può diventare occasione per prendere consapevolezza del fatto che non va sottovalutata, mai, la possibilità di una gravidanza indesiderata”. Giovanna Scassellati dirige dal 2000 il Day Hospital per la legge 194 dell’Ospedale San Camillo di Roma, una delle più grandi strutture italiane insieme al Sant’Anna di Torino e all’Ospedale universitario Mangiagalli di Milano. In base alla sua pluriennale esperienza, la ginecologa romana sottolinea la necessità di lavorare molto sul versante della prevenzione anche alla luce della grande disinformazione che nel suo lavoro riscontra tra le donne, giovani o no, straniere o italiane. “Ci sono tanti metodi anticoncezionali sicuri e ogni donna deve poter scegliere quello che sente più adatto: pillole, cerotto, anello vaginale, IUD al rame o al progesterone. La pillola può creare problemi; per esempio può interferire con altri farmaci, dopo i 35 anni è poco indicata se la donna fuma oppure si pensa che faccia ingrassare, cosa che non è vera così come non è vero che aumenta il rischio del cancro mentre in realtà lo protegge perché mette a riposo l’ovaio”. Il tema della sensibilizzazione e dell’informazione delle donne in fatto di contraccezione è al centro del ragionamento di Scassellati, la quale sulla legge 194 ha una precisa opinione. “È una buona legge che ha contrastato la piaga dell’aborto clandestino e delle morti delle donne che vi dovevano ricorrere. Negli anni Settanta l’AIED, distribuendo la pillola contraccettiva, fece un lavoro enorme di pianificazione familiare. Oggi secondo me c’è bisogno di un salto di qualità: si deve promuovere la contraccezione nelle scuole, negli ospedali durante la degenza dopo il parto e quando si pratica un aborto. Così come è previsto dalla legge che tutela la maternità. L’altro corno del problema sono le maternità nelle adolescenti perché i genitori non si rendono conto delle loro responsabilità in questo senso, non educano i figli e le figlie e li/le lasciano troppo liberi/e . Arrivano da noi minori e genitori disperati e con gravidanze al limite dei tre mesi, vediamo mamme incredule che non pensavano potesse capitare alle loro figlie”. La questione della violenza di genere ha stretti collegamenti con questi temi. “Vediamo continuamente situazioni gravi per la violenza nei rapporti intra-familiari che sono spesso causa di aborto. A questo proposito partirà tra breve una ricerca per capire la rilevanza delle interruzioni di gravidanza riconducibili a episodi di violenza di genere, di abusi o stupri”.
Il ragionamento di Scassellati va oltre gli aspetti sanitari. “Incontro ogni giorno donne che hanno un desiderio di maternità nascosto ma che non si possono permettere una gravidanza. I dati parlano di un 68% di donne che con l’arrivo di una gravidanza viene licenziata o è costretta a licenziarsi perché non può contare su strutture o servizi che l’aiutino nel crescere il figlio se non a costi proibitivi. Da noi è difficile anche organizzare asili familiari o di condominio come succede in Francia o in Inghilterra, dove le donne durante la gravidanza si aggregano in un’organizzazione di child birth con corsi di yoga e respirazione per affrontare in modo autodeterminato il parto e il puerperio anche per la prevenzione della depressione post parto. In quei Paesi sono previsti assegni alle madri fino al compimento del 18mo anno del figlio, magari sono cifre piccole, ma è importante che sia riconosciuta la rilevanza sociale della maternità. Invece in Italia i sostegni sono per brevi periodi e sempre incerti, quindi non supportano la scelta della maternità che è rinviata e arriva mediamente intorno ai 37-38 anni”. Le maternità in età avanzate sono un problema notevole, che hanno delle conseguenze importanti nell’evoluzione della società sotto molti profili. “Credo che bisognerebbe discutere molto fra donne di questo argomento e forse potremmo addirittura pensare ad una Class Action perché viviamo in uno Stato che non ci permette di essere madre negli anni in cui il corpo è sicuramente più ricettivo. Nell’ultimo congresso SIGO, AOGOI, AUGUI a Napoli (fine ottobre 2019) è emerso che la sterilita è in aumento fino al 25% perché le coppie cominciano a pensare ad un figlio troppo tardi. Inoltre la sterilità maschile è in aumento anche perché i ragazzi non fanno controlli specialistici all’apparato riproduttivo, quei controlli a tappeto che una volta avvenivano durante la visita per la leva”. Un altro tema su cui le strutture pubbliche si confrontano è quello dell’HIV. “Ci sono troppi casi di nuove infezioni in giovani tra i 24 e i 30 anni; dovremmo fare più informazione attraverso i consultori, con dibattiti nelle scuole e nei quartieri periferici”.
Si tratta di questioni che meriterebbero maggiore attenzione e che dovrebbero essere oggetto di campagne di informazione ma, oltre alla difficoltà culturale e strutturale, l’Italia è bloccata da troppi tabù e da una sostanziale ipocrisia.
“Sono argomenti molto specifici e talvolta tecnici - conclude Scasselllati - ma credo che le donne siano largamente interessate ad essere informate ed aiutate a scegliere. Bisogna affrontarli liberandoci dai tabù. Le donne devono sapere che in caso di un rapporto a rischio possono ricorrere alla pillola del giorno dopo chiedendola in farmacia senza la prescrizione, che è necessaria solo se sono minorenni. Abbiamo dovuto lottare anche per questo, per farla inserire fra i farmaci d’emergenza sempre reperibili in farmacia e le donne lo devono sapere. Spiegarlo è utile anche per rinnovare la consapevolezza che i diritti non sono acquisiti per sempre. Per la mia generazione la pillola è stata una vera conquista che ci ha permesso di vivere liberamente la sessualità anche conoscendo il nostro corpo; con il self help e con l’autocoscienza è cresciuta la nostro consapevolezza. Le giovani oggi danno per scontati i diritti e non sono in gradi di esigerli. Noi operatori siamo in prima linea su questi temi, cerchiamo di lavorare con entusiasmo ma ci sentiamo abbandonati dalle istituzioni che fanno troppo poco per sensibilizzare le donne”.
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