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Marlene. Ritratto di una dea di Alfred Polgar

Marlene. Ritratto di una dea di Alfred Polgar

Il racconto di una diva e icona del cinema di sempre

Lunedi, 11/03/2024 -

Marlene. Ritratto di una dea è uno scritto di Alfred Polgar (traduzione di Maria Letizia Travo, con un saggio di Ulrich Weinzierl, Adelphi, 2023) che ripercorre l’itinerario dell’attrice e cantante tedesca Marlene Dietrich dagli esordi fino al film L’infernale.

Già nelle prime pagine si capisce che si tratta di un libro intenso: Polgar non è solo un estimatore, ma un acuto osservatore del valore artistico della giovane attrice. Il pregio del libro è il modo in cui racconta Marlene Dietrich: non si limita a raccontarne la vita, né a farne un elogio, né si limita all’agiografia.  Marlene. Ritratto di una dea di Alfred Polgar non è neanche un’idealizzazione della donna e dell’attrice tedesca, ma è uno scritto ricco di riflessioni che chiariscono il valore dell’attrice all’interno del mondo cinematografico e non solo. Questo perché i personaggi da lei interpretati sono i «più belli, più intensi, più intimi, e che più nitidamente riflettono l’essenza di colei che li impersona, sono però senza ombra di dubbio quelli nati sotto la stella della Maddalena, sotto la stella dai sinistri bagliori di quella Maddalena ancora pungolata dai sette demoni che ha in petto: donne per le quali l’amore è l’aria che respirano, la rinuncia un peccato contro natura, l’infedeltà un imperativo della fedeltà che esse serbano al proprio io».

Per Polgar, Marlene Dietrich incarna un tipo di femminilità che non ha nulla a che vedere con la vamp, checché ne dicano e ne abbiano detto le riviste scandalistiche. Polgar, infatti, associa la Dietrich al quel tipo di donna «il cui sguardo ci colpisce come un richiamo, come un destino, e che sembra stupirsi di quello che combina». Marlene Dietrich apparentemente è il sex appeal, specifica Polgar ma, sin dalle primissime apparizioni cinematografiche, si è presentata come l’incarnazione di una donna magnetica, libera e capace di essere se stessa. La donna de L’angelo azzurro è una donna che, con coraggio, sfida i valori della società e della borghesia. È di questo che si innamora il professor Urat, non solo del suo aspetto fisico o della sua voce.

Alfred Polgar, che si è dedicato a questo progetto tra il 1937 e 1938,  afferra e chiarisce il mistero del mito che si trova dietro alla Dietrich. Il testo è interessante anche perché si sofferma sugli inizi della carriera dell’attrice, quando Dietrich non si è  ancora affermata e ha un ruolo marginale nello spettacolo teatrale, Broadway, andato in scena al Wiener Kammerspiele nel 1927. Allora  Dietrich è altro se non una delle ‘Broadway girls’ che danza, ma «quella enigmatica, misteriosa bellezza, compiutamente bella [che l’avrebbe caratterizzata era giù presente in quello] spettacolo teatrale [che] recitava con baldanzosa bravura» è già in quel qualche modo pronta, pronta a diventare una stella, come nota ad un certo punto Polgar. Di lì a pochi anni Marlene Dietrich sarebbe stata scelta da Josef von Stenberg come protagonista de L’angelo azzurro. Un ruolo che la impone al grande pubblico e alla storia del cinema.

Il libro di Polgar rappresenta una prima riflessione sul rapporto tra l’immagine pubblica di attrice cinematografica e la sua identità: «tra un nome – sia esso reale o inventato – e colui che se lo è ‘fatto’ si instaura un rapporto come quello tra la moneta e il conio», scrive Polgar.

Nel suo scritto l'autore si sofferma molto su Marocco, un film di Josef von Sternberg, nel quale Dietrich dimostra tutta la sua bravura, nonostante alla base del film ci sia una sceneggiatura piuttosto ordinaria. In ogni caso, come racconta l’autore, l’attrice era così presa dal suo personaggio, che a volte non si accorgeva che le riprese erano finite.

Polgar non ha il bisogno di elargire elogi che non sono necessari. Il ritratto che fa della protagonista ammalia ancora i lettori, che, a distanza di anni, condividono le sue parole. La bellezza e la bravura della futura autrice di Lili Marlene sono davanti agli occhi del lettore contemporaneo, che non può far altro che seguire lo sguardo di Polgar, e finire per comprendere la veridicità delle sue parole.

La pubblicazione di Marlene. Ritratto di una dea è accompagnata da un lungo saggio a cura di Ulrich Weinzierl, che ricostruisce la storia dei rapporti tra Polgar e Dietrich e la genesi editoriale del libro. Nei primi anni Trenta i due hanno vissuto a Berlino, hanno avuto modo di conoscersi e di costruire un’amicizia: Dietrich ha indicato, nelle interviste, i testi di Polgar tra i suoi libri preferiti, e lo scrittore austriaco non ha mai mancato di farle avere, con dedica, ogni sua nuova pubblicazione. Dopo la salita al potere di Hitler, Polgar, poiché ebreo, si è dovuto rifugiare dapprima nella nativa Vienna, poi a Zurigo, poi a Parigi, per poi decidere di andare in America, dove ha atteso la fine della guerra (in Europa sarebbe tornato solo nel 1949).

Polgar ha iniziato a lavorare a questo scritto anche grazie al fiuto e all’interesse di Carl Seelig noto soprattutto per aver reso celebri nel mondo i testi di Rober Walser consapevole dello sguardo acuto dello scrittore austrico, e consapevole che lui sarebbe stato l’unico che avrebbe potuto scrivere un testo riflessivo sull’attività di Marlene Dietrich. Polgar era il solo dunque a cui affidare un compito così delicato: scrivere il racconto di ciò che nascondeva un’attrice bellissima e sorprendentemente brava, perché profondo conoscitore del lavoro dell’attrice, nonché uno dei suoi primi e acuti intervistatori. Il libro è, a tratti, un amaro documento contemporaneo, perché scritto da un intellettuale in difficoltà economica e in perenne fuga. Questo, però, non intacca in alcun modo lo spirito critico del suo autore, il suo giudizio o lo spirito indipendente, lo sguardo acuto e la lingua tagliente che ha contraddistinto Polgar nei momenti più felici (economicamente).

Purtroppo il manoscritto, una volta completato, ha dovuto aspettare anni per vedere la pubblicazione. L’Anschluss dell’Austria al Reich, il non aderire al partito nazista di Marlene Dietriech, l’essere ebreo di Alfred Polgar, lo scoppio della seconda guerra mondiale hanno impedito al libro di essere pubblicato e apprezzato. Solo nel 1984, quasi trent’anni dopo la morte di Alfred Polgar, lo studioso Ulrich Weinzierl, a cui si deve quest’edizione postuma, ha scoperto il manoscritto nel lascito postumo dello scrittore, e si è impegnato affinché venisse finalmente pubblicato.

Marlene. Ritratto di una dea aiuta, oggi, a ricostruire l’inizio e buona parte della vita artistica di Marlene Dietrich, che dal 1927 arriva fino 1978, quando appare sullo schermo per l’ultima volta in Gigolò, di David Hemmings, a fianco di David Bowie.


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