Domenica, 13/01/2013 - Malala è uscita dall’ospedale di Birmingham. La quindicenne pakistana ferita alla spalla e alla testa da un talebano che voleva punirla, eliminarla perché impegnata da quando aveva 11 anni per il diritto all’istruzione delle bambine e ragazze del suo Paese ce l’ha fatta grazie anche alla generosità del governo inglese che l’ha accolta e che ospiterà lei e la sua famiglia per 5 anni e del governo pakistano che si è impegnato a pagare le spese ospedaliere. Dovrà ancora sottoporsi ad una operazione alla testa, per la ricostruzione del cranio, ma ha già dichiarato che vuole tornare a studiare. Coraggio, Malala!
Lei che nel 2009, in una regione segnata da una violenta offensiva contro l’istruzione delle donne
-le scuole chiuse alle bambine e ragazze per volere dei talebani- trovò il coraggio di raccontare tutto alla Bbc e in seguito continuò a rilasciare interviste, a scrivere articoli nonostante le minacce di morte, tanto da meritare in Pakistan un premio per la pace. Il presidente del suo Paese è andato a trovarla in ospedale e l’ha definita “una ragazza straordinaria, un dono per il Pakistan”. Moltissime sono le firme che sono arrivate e stanno arrivando per una petizione che chiede che le venga assegnato il premio Nobel per la pace. Sarebbe un gesto giusto e simbolicamente significativo, da sostenere con determinazione. È una storia che colpisce e commuove. Come colpiscono le immagini delle manifestazioni in India contro gli stupri e il femminicidio (una donna violentata ogni 22 minuti!): una vera e propria sollevazione di popolo come mai è accaduto da noi, neanche per i tragici fatti del Circeo. Donne, bambine, uomini, vecchi con la loro dignitosa e indignata presenza a protestare in lunghi, colorati e affollati cortei a Delhi, Bangalore e in tante altre città ci sorprendono e ci spiazzano. Ma come, tutto questo succede davvero in India? Da dove però arriva anche, come un macigno nello stomaco, la notizia che i cinque stupratori rischiano l’impiccagione. Siamo contro la pena di morte: può il dolore, l’orrore, la pur giusta indignazione portare a sopprimere delle vite umane?
Ma torniamo alle manifestazioni in India. Come si è passati dal silenzio alla protesta? Attraverso quali pratiche di presa di coscienza collettiva? Sappiamo troppo poco. E troppo poco siamo state vicine alle migliaia di donne che hanno reso possibile e animato la cosiddetta primavera araba, pagando prezzi pesanti e dolorosi, e che vivono ora il rischio o l’amara realtà di un ritorno ad un ordine che è quello di sempre, stemperato forse da alcune concessioni.
È tempo invece che ci impegniamo, tutte, a guardare con occhi più attenti e curiosi al di fuori del nostro Paese perché il Patriarcato ha radici planetarie e per sconfiggerlo occorre estirparle tutte, ovunque nel mondo esse allignano. E per farlo dobbiamo essere più che mai unite e sostenerci l’un l’altra, attraversando conflitti, confini, lingue, tradizioni, culture, sempre al fianco di quelle donne coraggiose che lo stanno facendo da tempo.
Uno degli slogan più belli degli anni settanta e che ancora oggi viene gridato durante le manifestazioni anche dalle nuove generazioni di donne è “Per ogni donna stuprata e offesa siamo tutte parte lesa”; oggi che l’informazione, grazie alle nuove tecnologie, avvicina ciò che è lontano dobbiamo sentirci tutte parte lesa per ciò che accade alle donne in ogni parte del pianeta. Per questo mi convince molto l’idea di andare per le strade e nelle piazze di tutto il mondo il 14 febbraio a manifestare con lo slogan “Svegliati! Balla! Partecipa!” aderendo all’iniziativa promossa da Eve Ensler, autrice de I monologhi della vagina.
Dare un’immagine di noi di forza, di gioia di vivere, di piena consapevolezza di essere portatrici di una nuova civiltà umana, più giusta, più amorevole, più vivibile per tutte/i.
Certo io non devo svegliarmi, non mi sono mai addormentata da quando nei primi anni settanta ho cominciato, ma ho voglia di esserci, ancora una volta, insieme a tante che come me sono rimaste a lottare e, spero, alle molte che sapranno svegliarsi e impegnarsi per cambiare definitivamente questa barbarie che non ha alcuna legittimazione se non un’idea pericolosa e tragica di mascolinità di cui ormai non pochi uomini provano profonda vergogna.
Vergogna e indignazione anche di fronte ai deliranti proclami che nel nostro “civile” Paese stanno imperversando nella rete e non solo definendoci nazifemministe e negando l’evidenza di ogni violenza e sopraffazione.
“Svegliati! Balla! Partecipa!” dunque. La lotta continua.
Lascia un Commento