In scena a Ostia sabato 29 gennaio, l'attrice e regista: un invito all'arte del ridere
In vista della prima uscita del suo nuovo spettacolo ‘Contro dolore’, rivolgiamo alcune domande a Donatella Mei, attrice e regista di lungo corso e sempre 'fuori dal coro'.
Cosa c’è di ‘Antisettico, antipiretico, antalgico…. ‘ nel tuo nuovo spettacolo ‘Contro dolore’ che va in scena sabato 29 gennaio nella Sala Paolo Poli (Arcadia Aps) di Ostia (Roma)? Cosa ti ha ispirato?
Questo spettacolo, ispirato al manifesto futurista di Palazzeschi, è un invito all'arte del ridere, del non prendersi troppo sul serio e soprattutto a liberarsi dall'abitudine a considerare gravi molte condizioni della vita. È una chiara provocazione, un tentativo di alleggerimento dai mal di testa del pensiero serioso, da ciò che ci sembra "importante", parola ultimamente abusata da giornalisti, critici e politici.
Il recital, con improvvisazioni al pianoforte di Theo Allegretti, nome non scelto a caso, è nato qualche anno fa, con repliche in vari teatri, compreso il teatro Frigia di Milano, da un'idea che avevo avuto anni prima e che avevo accantonato per via della difficoltà di trovare un musicista che avesse la capacità di giocare con grande libertà e ingegno. Poi la pandemia ha bloccato la realizzazione e la continuazione di molti miei progetti. È stata però anche l'occasione per scrivere e/o modificare progetti già esistenti.
Il fermo prolungato per la pandemia ha colpito duramente il mondo dello spettacolo. Quale impatto ha avuto nei tuoi progetti di attrice e regista?
Certo la chiusura dei teatri, per una attrice, significa perdere sicurezza in se stessi, significa perdere esercizio e fiducia. Un pittore o uno scultore può continuare ad esercitare la sua arte anche da solo ma un attore ha bisogno di un pubblico, di un feedback immediato, non può farlo davanti a uno specchio senza sentirsi terribilmente ridicolo, e non comico.
Quale futuro vedi nel tuo campo?
Questo lungo periodo ha cambiato profondamente le arti, molto si è spostato nel mondo virtuale e in questo sono sbocciate nuove forme e nuovi approcci, ma io credo che il teatro sia la forma più carnale e più viva della comunicazione e della comunione, imprescindibile dall'essere umano e insostituibile. Magari mi sbaglio, magari è destinato a un inesorabile declino. Per fortuna io non sono giovanissima e quindi... posso crederci ancora un altro po’!
Lascia un Commento