L’autrice definisce i lineamenti di “una bioetica della cura” che coniuga la bioetica “trovata sui libri” con le diverse lezioni su “saper essere”, “saper fare” e “saper apprendere”...
Marianna Gensabella, già professoressa ordinaria di Filosofia Morale presso l’Università degli Studi di Messina, è stata componente del Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) dal dicembre 2006 a maggio 2022 ed è Presidente della Sezione Sicilia dell’Istituto Italiano di Bioetica. Il libro "Lineamenti di una bioetica della cura" (ed Rubettino) è, in ordine di tempo, l’ultimo di molti testi che l’autrice ha scritto sulla cura, ponendola in relazione ai valori che la attraversano e la compongono, alle sue specificità legate al genere e ai ruoli, alle sue diverse fasi, dall’inizio alla fine della vita dell’uomo e alle relazioni dell’uomo con l’ambiente e gli altri viventi. Anche qui, come nelle sue pubblicazioni precedenti, Gensabella ci coinvolge sul piano emotivo e ci incuriosisce ad approfondire le ragioni del sentire. Ci parla di sentimenti e diritti legati alla cura, della pratica di cura nei contesti quotidiani e di frontiera e delle teorie filosofiche da cui l’etica della cura deriva.
Il libro inizia con un riferimento personale, come se a parlare fosse un’amica, che ci confida le sue emozioni e ci predispone all’ascolto. Ci invita a riflettere sulle lezioni della pandemia che ci hanno fatto sperimentare quanto sia importante un’educazione, che consenta di comprendere il metodo, le possibilità e i limiti della conoscenza teorico - scientifica e che ha messo a nudo le verità ontologiche dei diversi volti di vulnerabilità, autonomia, interdipendenza ed incertezza, verità che possono aiutarci a modificare le convinzioni sulla base delle quali scegliamo e speriamo, la scansione del tempo, il modo in cui pensiamo e viviamo le relazioni con gli altri.
L’autrice definisce i lineamenti di “una bioetica della cura” che coniuga la bioetica “trovata sui libri” con le diverse lezioni su “saper essere”, “saper fare” e “saper apprendere”, che, seppure in modi diversi, ci hanno riguardato tutti nella sofferenza fisica e morale che abbiamo attraversato; la voce dell’etica, dice, può aiutarci a comprendere “come” orientare la nostra condotta per gestire al meglio le difficoltà poste dalla pandemia, ma anche “perché” dobbiamo farlo.
Nella seconda parte del testo ci propone, attraverso una rilettura dei saggi di Warrren Reich, una bioetica che supera i limiti di un percorso principio-norma-giudizio verso un altro, scandito da ascolto-narrazione-domanda di cura, per rispondere in maniera “tailored” al bisogno della persona.
Attraverso le riflessioni offerte dalla mitologia e dalla letteratura classica e contemporanea, sottolinea l’importanza di dare “attenzione sollecita” alle voci di soggetti poco ascoltati: le donne, le minoranze, i popoli di culture ad oggi esclusi dal dibattito bioetico, e i bambini. Voci che narrano esperienze morali diverse, a cui dobbiamo accostarci liberi dalla tentazione di applicare loro categorie morali preconfezionate.
Ci suggerisce di ripensare il concetto di cura a partire da “una bioetica di prossimità”, che promuova il rapporto tra la vulnerabilità e i “luoghi della cura”, intesi non soltanto come apparato istituzionale di assistenza, ma anche come momenti di attenzione ed ascolto.
Una prossimità che significa anche uscire dai luoghi della bioetica istituzionale, per “fare bioetica” insieme, un farsi nel quotidiano della bioetica, dove tutti i soggetti in gioco, che della bioetica si servono per compiere scelte,si muovono in un paradigma di cura spostato dai limiti al centro, dal conflitto tra i principi ad un territorio di incontro e di dialogo, anche tra persone convinte di scelte differenti sui limiti.
Nella terza parte l’autrice si propone di tracciare i lineamenti di “una bioetica della cura”, a partire dalla presenza della vulnerabilità in bioetica e della proposta del paradigma di cura negli scritti di Warren T. Reich, e lo fa attingendo a contributi di filosofi e filosofe che si sono occupati di cura e vulnerabilità, e facendo tesoro delle lezioni apprese durante la pandemia.
Ci descrive un modello di bioetica della cura trasversale, fondato sull’interpretazione heideggeriana del mito di Cura e sull’etica della cura definita dal pensiero delle donne, e agito nella pratica della bioetica per mezzo delle relazioni.
Questo modello può creare ponti tra bioetiche di segno diverso, individuare “terre di mezzo” dove tutti possano essere curati, in una relazione che coniuga principi e valori con quella tensione allo stupore (di cui parla Reich) che pone le basi per l’esprimersi delle vulnerabilità e delle responsabilità dei diversi attori della cura e consente il manifestarsi della solidarietà.
Il modello di bioetica della cura che l’autrice delinea abbraccia la responsabilità verso la natura e le generazioni future e per questi aspetti fa riferimento agli scritti di Lévinas e Jonas. Mette in evidenza la dimensione pubblica della bioetica, dove la solidarietà deve essere principio guida. Sottolinea l’intrecciarsi della bioetica clinica con la bioetica sociale e con gli altri ambiti della bioetica animale e ambientale e l’interdipendenza di ciascun elemento dell’ecosistema dagli altri. Un’interdipendenza che vede noi, umani capaci di cura, responsabili di rispettarne e custodirne l’armonia.
L’autrice si sofferma sulla descrizione delle virtù essenziali per la pratica di una bioetica della cura,le definisce “disposizioni della mente e del cuore”, e “quotidiane”, per il loro carattere non eroico e per il loro darsi nella pratica di ogni giorno.
Ciascuna virtù viene presentata con le sue specifiche caratteristiche che contribuiscono, insieme, al processo di apertura all’altro e, grazie ad una precondizione empatica,ci consentono la presa in carico, gli uni degli altri, senza cadere nel rischio di identificazione, guidando a vicenda, dal bene verso il meglio, l’agire e lo stare dell’altro, in una costante tessitura di buone relazioni di cura.
Nell’ottica di una bioetica di prossimità, la pratica delle virtù assume colori diversi, a seconda del luogo in cui è praticata, ma costante resta l’impegno di dare attenzione non solo al problema o dilemma bioetico, ma anche e soprattutto a chi ne è coinvolto.
La conclusione del libro è un appello accorato, un monito e un augurio per tutti i soggetti della cura, per tutti noi.
La crisi di salute planetaria che stiamo attraversando ci sfida, sul piano bioetico, ad adottare processi che intendano una sola salute, per tutti i viventi e per la Terra, perché la Cura è responsabilità di tutti e gli impegni di scelta etica in questo campo devono essere declinati per ciascun attore del sistema in funzione al suo specifico ruolo e al luogo in cui la cura avviene.
La proposta del CNB, di continua interazione tra il lavoro nei Comitati, nei Servizi e negli “spazi etici”, presentata in un recente documento “Vulnerabilità e cura nel welfare di comunità. Il ruolo dello spazio etico per un dibattito pubblico”, offre occasioni di accoglienza, attenzione e condivisione, anche fuori dell’ambito sanitario, nei tribunali per i minori, nelle carceri, nelle scuole.
Accoglienza, attenzione, condivisione e interazione sono elementi di fondo di una “bioetica della prossimità” e condizione necessaria per superare, insieme, le carenze strutturali, professionali e organizzative messe in luce dal Comitato Nazionale per la Bioetica.
Una bioetica della prossimità può dare un forte contributo per allestire luoghi accoglienti, in cui l’ascolto che nasce dall’attenzione e di essa si nutre, possa avvenire anche nei confronti di chi ci è straniero; sensibilizzare gli esperti che, per capacità e competenze, sappiano ascoltare ed orientare, liberi da pregiudizi ideologici e aperti al diverso, all’invisibile; richiamare l’attenzione delle Istituzioni a quella “preoccupazione simpatetica” che Reich vede al cuore di una bioetica pubblica della cura.
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