Una pagina storica del femminismo degli anni Settanta, edita da Viella: la presentazione di Angelica Vitiello
Scrivo sotto l’influenza della grandissima manifestazione nazionale di Roma del 25 novembre che si apre con il grido “Insieme siam partite, insieme torneremo. Non una, non una, non una di meno”. “Mai più sole”, “Insieme”, ieri e oggi.
Giugno 1976: una giovane di 16 anni viene stuprata da due sconosciuti. Il movimento femminista affronta il processo insieme a lei. Di questo si occupa il libro.
Novembre 2023: una giovane di 22 anni, Giulia Cecchettin viene uccisa dall’ex fidanzato. La sorella Elena in una lettera pubblica scrive “Per Giulia non fate un minuto di silenzio, per Giulia bruciate tutto”.
Nadia Filippini in 'Mai più sole contro la violenza sessuale' (ed Viella) ricostruisce il processo per stupro celebrato a Verona nel 1976.
Ci si può chiedere: “Perché ricostruire una vicenda ormai lontana nel tempo?”
La risposta dell’autrice si trova in una frase del libro: “il rischio della cancellazione della vicenda dalla storia è stato il principale motivo che mi ha spinto a intraprendere questa ricerca". Ma non è solo questo il motivo. L’autrice, all’epoca dei fatti, era una giovane femminista che viveva a Verona e che partecipò alla grande mobilitazione in occasione di quel processo. La forza del suo libro è proprio in questo duplice sguardo: lo sguardo della storica e lo sguardo della femminista coinvolta nel movimento delle donne di quella città di provincia.
È un libro che si legge pagina dopo pagina con grande interesse, che suscita riflessioni, che induce al confronto tra quello che avveniva ieri e quello che avviene oggi: gli atteggiamenti, le domande, i commenti dei giudici e degli avvocati della difesa nei tribunali di ieri e di oggi, la partecipazione del Movimento femminista ai processi per violenza sessuale di ieri e i Centri Antiviolenza di oggi.
Filippini ricostruisce il clima sociale e politico degli anni Settanta con un movimento femminista in piena espansione con le sue mille iniziative, culturali, politiche, sociali, tra le quali la partecipazione al processo di Verona. Ricorda il dibattito sull’aborto e il processo per aborto a Gigliola Pierobon celebrato a Padova nel 1973, l’esperienza delle 150 ore, le librerie aperte dalle donne, i consultori autogestiti, l’occupazione di palazzo Nardini in via del Governo Vecchio a Roma. Racconta della trasformazione economica e sociale di Verona con il sorgere delle industrie e della classe operaia, i movimenti politici locali e la nascita dei gruppi femministi riuniti in un coordinamento.
Il cuore del libro è la vicenda di Alma (uno pseudonimo), 16 anni, che abita in un paesone della provincia di Verona. Una sera di giugno del 1976 sta tornando a casa, in compagnia del fidanzato, quando sbucano all’improvviso due uomini semi mascherati, armati, che aggrediscono il ragazzo, portano Alma in un luogo isolato, la violentano e l’abbandonano. Sarà soccorsa da contadini della zona. Alma denuncia lo stupro e si unisce al Movimento femminista.
Nadia Filippini attinge agli archivi femministi, agli articoli di quotidiani e settimanali, alle fotografie, al fascicolo processuale. Intervista una ventina di donne che hanno partecipato alla vicenda e l’avvocato di parte civile Vincenzo Todesco. Anche se frammentarie, le loro testimonianze trasmettono forti emozioni. Tutte queste fonti hanno permesso una ricostruzione molto puntuale della vicenda. Ma non c’è solo il rigore della storica, c’è anche la sua partecipazione emotiva. Nadia ha aggiunto un tassello prezioso alla storia del movimento delle donne, facendo uscire dall’oblio una vicenda molto significativa.
Durante il processo Alma è sottoposta a interrogatori umilianti, non solo da parte degli avvocati della difesa, ma anche da parte del presidente del Collegio giudicante, del Pubblico Ministero. Questi interrogatori sono l’espressione, come Filippini ribadisce più volte, di “una cultura solidale con lo stupro”. La società patriarcale una volta indossata la toga, interviene in difesa di sé stessa. Alma presenta un’istanza in cui chiede al presidente del Collegio che il dibattimento sia a porte aperte. Anche il coordinamento dei gruppi femministi con un documento chiede il processo a porte aperte. Le femministe sono presenti e molto numerose in Tribunale. Ci sono dei momenti di grande impatto emotivo, quando l’ingresso degli imputati è accolto dal rumore assordante degli zoccoli che battono all’unisono sul pavimento di legno dell’aula giudiziaria (testimonianza di Anna Poli). La forza delle femministe si esprime anche fuori dall’aula giudiziaria, in Piazza deli Signori con lo spettacolo delle incappucciate: rappresentano i Poteri che opprimono le donne. Le femministe prendono la parola a turno per accusarli. Distribuiscono volantini per le strade di Verona, tappezzano la città di manifesti. Il movimento è sempre vicino ad Alma la sostiene, le dà forza. Mi ricordo uno slogan che ripetevamo nei nostri cortei femministi degli anni Settanta: “Per ogni donna stuprata e offesa siamo tutte parte lesa”.
Il confronto del movimento femminista con i mass-media di allora dimostra una volontà di dialogo con i giornalisti a patto che rispettino certe regole: non chiedere particolari scabrosi, non manifestare curiosità morbosa. E’una comunicazione controllata dal movimento femminista. Alma, quando parla ai giornalisti, usa molto di più il pronome personale NOI del pronome personale IO. Gli articoli sono utilizzati come cassa di risonanza di questo processo.
Sono rimasta veramente colpita da questa figura di ragazza, come emerge dalle pagine del libro, forte, consapevole, determinata. Concede interviste, partecipa a conferenze stampa, a trasmissioni radiofoniche e ad una trasmissione televisiva. Ha solo 16 anni!! Da vittima diventaprotagonista. Alma, da oggetto di violenza carnale, diventa soggetto che, con le sue dichiarazioni, intenta lei stessa un processo alla società patriarcale. C’è la sua parola chiara e netta contro il silenzio della vergogna. Con la parola sfida la società maschilista che la giudica disonorata. “È la dimensione politica della violenza, ad essere resa pubblica”scrive Filippini.
Il collegio giudicante viene ricusato dalle avvocate Tina Lagostena Bassi e Maria Magnani Noya per maschilismo “I tre giudici hanno manifestato grande inimicizia nei confronti della parte lesa e hanno dimostrato di essere portatori degli stessi valori socio-culturali degli stupratori”. L’istanza di ricusazione viene respinta. “Il pubblico esplode in un boato di protesta”. Il presidente ordina di sgombrare l’aula ma le manifestanti rifiutano di uscire. Le sale del tribunale vengono sgombrate con la forza.“Le donne si raccolgono in piazza, iniziano un sit-in che si protrae per tutta la giornata fino a sera, in attesa della sentenza”. Le avvocate non pronunciano l’arringa finale e abbandonano l’aula, insieme ad Alma, all’avvocato Todesco e al padre di Alma, “in segno di protesta, per come era gestito il processo”. Depositano però una memoria scritta.
Magnani Noya, nella sua veste di deputata, fa un’interpellanza al ministro dell’interno Francesco Cossiga e al ministro di Grazia e Giustizia Paolo Bonifacio per il comportamento della polizia. Si discute per la prima volta in Parlamento di violenza sessuale. Scrive Filippini “La miccia innescata a Verona alimenta, nella seconda metà degli anni Settanta, una fiammata di iniziative, dibattiti, lotte che pongono il tema della violenza di genere al centro del movimento femminista”. Il 27 novembre 1976 a Roma e Milano vengono organizzate manifestazioni notturne “Riprendiamoci la notte”. Uno degli slogan più gridati è “La notte ci piace, vogliamo uscire in pace”. Il collettivo del MLD, nel 1977, organizza in via del Governo Vecchio incontri con le donne vittime di violenza, offre una prima assistenza legale e a volte asilo, raccoglie dati.
Nel marzo 1978 viene organizzato a Roma da MLD e dalla rivista Effe un Convegno internazionale sulla violenza contro le donne. Viene discussa, per la prima volta, la bozza di un progetto di legge elaborato dal MLD e volto alla modifica degli articoli del Codice Rocco, un codice che rappresentava la massima cristallizzazione del potere patriarcale. Nell’autunno del 1979 si costituisce un comitato promotore, per una legge di iniziativa popolare sulla violenza sessuale, composto da MLD, gruppi femministi, UDI, Coordinamento Nazionale delle donne della federazione lavoratori metalmeccanici. Anche Quotidiano Donna partecipa alla costituzione del Comitato.
La violenza di gruppo oggi: Palermo, Caivano... Cosa è rimasto eguale rispetto agli anni ’70? Cosa è cambiato?
Quello che rimane inalterato nel tempo è l’annullamento delle responsabilità individuali. Il gruppo mette in atto un meccanismo di distacco dall’umanità della vittima. De-umanizzando il soggetto, il gruppo prova un distorto piacere nell’annichilimento e nella umiliazione della vittima.
Oggi però la violenza contro le donne ha sui social la sua premessa, la sua organizzazione, la sua esposizione. Il 7 luglio 2023, a Palermo, la diciannovenne Asia è stata violentata da sette giovanissimi ragazzi. Dai video ripresi da uno dei cellulari degli stupratori emerge tutta la ferocia della violenza contro la ragazza - ma anche la sua rappresentazione nelle parole degli abusatori. Si filma lo stupro per condividere in rete il dominio sadico sul corpo della donna e l’annullamento della sua libertà. Nei messaggi agli amici, gli stupratori si vantano delle proprie gesta violente. La sessualità predatoria si accompagna ad un linguaggio predatorio. Il gip che ha convalidato l’arresto ha descritto i sette come persone di “elevatissima pericolosità sociale, di totale assenza di freni inibitori e di violenza estrema e gratuita ai danni di una vittima inerme, trattata come un oggetto, senza alcuna pietà” e con “una chiara volontà punitiva verso la ragazza, col fine di colpevolizzarla per la denuncia sporta”. Per la giovane violentata ci sono altri giorni durissimi dopo la violenza: le arrivano via social messaggi infami.
Anche i mezzi di comunicazione di massa svolgono spesso un ruolo negativo. Una spietata violenza contro Asia si è manifestata nella trasmissione televisiva “Avanti popolo” a cui la ragazza era stata invitata. Nel comunicato del comitato pari opportunità di Rai e Usigrai si legge che la conduttrice “non le risparmia di rivivere nei minimi dettagli il trauma subito, compresa la lettura delle agghiaccianti intercettazioni degli stupratori. Il tutto in un contesto di inaccettabile vittimizzazione secondaria…”. Al comunicato si aggiungerà anche la lettera di protesta al presidente RAI e al Consiglio di amministrazione firmata da intellettuali, scrittori, scrittrici, giornaliste e giornaliste, associazioni.
Nella vicenda di Alma i giornali, la rai e la televisione ebbero un ruolo totalmente diverso. Gli organi di informazione “diedero voce a un discorso sulla sessualità e la violenza che muoveva una critica radicale ai modelli di genere e alle istituzioni, stimolando un ampio dibattito nella società civile”. Alma con l’appoggio dei gruppi femministi aveva aperto “un canale di comunicazione diretta con i media”, imponendo le proprie regole. Asia, invece, si trova completamente indifesa di fronte a una conduttrice che non si fa scrupolo di far rivivere alla giovane gli abusi subiti con l’obiettivo di far lievitare morbosamente gli ascolti.
Il libro di Nadia Filippini sollecita tante riflessioni: cosa è cambiato nei tribunali, nell’opinione pubblica, nei media, in che modo le istituzioni politiche affrontano oggi questo fenomeno, quali sono i modelli di mascolinità cui guardano gli adolescenti oggi. La cultura dello stupro è anche nelle chat dei ragazzi “normali” e nelle chat dei gruppi informali, colleghi, amici. Una storia di violenza avvenuta 47 anni fa, continua ad interrogare noi femministe su tante questioni: le modalità di partecipazione del movimento femminista a queste vicende, la costituzione di parte civile nei processi per stupro, le forme con cui esprimere la vicinanza solidale alle donne che subiscono violenza, in modo di accompagnarle in un cammino che le trasformi da vittime a protagoniste, come è stato per Alma. Siamo ancora prigioniere nella gabbia del patriarcato come dimostrano i femminicidi, gli stupri di gruppo avvenuti nel 2023. Alma oggi ha 63 anni. Di lei si sono perse le tracce. Non si sa come è stata e come è la sua vita. Non si sa dove vive perché, subito dopo il processo, per l’ostilità della gente del luogo, ha lasciato il paese.
Ci auguriamo che la forza, la determinazione, l’intelligenza che ha dimostrato, sedicenne, l’abbiano accompagnata e l’accompagnino nel suo percorso di vita.
Pensando a Giulia Cecchettin, mi vengono in mente le parole di Cristina Torres Cacéres, attivista peruviana “Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima”.
Angelica Vitiello, Casa della Donna, Pisa
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