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Le ragioni e i rischi della co-genitorialità

Le ragioni e i rischi della co-genitorialità

La co-genitorialità è un nuovo modo di essere genitori senza però essere una coppia

Giovedi, 06/09/2018 - ​“Oggi non esistono più le famiglie di prima!”. Quante volte abbiamo sentito pronunziare questa frase? Dopotutto non c’è da stupirsi: si tratta del riflesso di una società in profondo mutamento, con matrimoni costantemente in calo, aumento dei divorzi e delle separazioni, e numero di figli sempre minore. Tanto minore che c’è chi, pur di farli a ogni costo, sceglie di giocare la carta della co-genitorialità, una tematica poco conosciuta qui in Italia, ma che è invece ben più popolare in nazioni − perlopiù anglosassoni − quali gli USA, il Canada e l’Australia. Si tratta, in poche parole, dell’usanza di crescere insieme dei figli ma allo stesso tempo mantenendo stretto il proprio stato di single o comunque senza impegnarsi troppo con l’altro genitore del figlio (o dei figli) in questione. I co-genitori tipicamente abitano in dimore separate, alla stregua di divorziati, ed essenzialmente scelgono di essere genitori senza però essere una coppia. Alla base di questa motivazione ci possono essere le scelte più disparate, ma che in fin dei conti sono da ascriversi alla volontà pura e semplice di avere dei figli pur non avendo avuto la possibilità (o l’intenzione) di incontrare la persona giusta con cui farli. Ad esempio sul sito https://www.co-genitori.it, un portale di annunci appositamente pensato per aspiranti co-genitori, una donna di 32 anni di Voghera ammette candidamente di non aver trovato l’uomo giusto, ma siccome al desiderio di avere un figlio non può rinunziare, allora cerca semplicemente un uomo con il quale metterlo al mondo e crescerlo. Ovviamente non si parla nè di matrimonio, nè di convivenza, nè di amore e cose del genere: tutti concetti banditi nella co-genitorialità pura, che in casi estremi si riduce alla pura e semplice intenzione di mettere al mondo un figlio, senza nemmeno crescerlo. Sempre sul portale sovracitato si possono infatti consultare gli annunci di donne alla ricerca, semplicemente, di donatori di sperma (ovvero a uomini che le fecondino), così come di uomini che lo vanno fieramente offrendo, sottolineando nell’annuncio che sono già padri di 3-4 figli come minimo, se non di decine e persino centinaia. Tanto che problema c’è? Basta donare lo sperma e sei genitore....Sì, ma l’essere genitore non si limita (tipicamente) all’atto della pura e semplice eiaculazione, ma anche della crescita e dell’educazione dei figli, o almeno così la pensa il senso comune. Un senso comune che può essere nondimeno confermato dalla scienza e dalla giurisprudenza in materia, di cui chi decide di imbarcarsi in scelte di simile co-genitorialità dovrebbe essere bene al corrente, a meno che non voglia evitare anni di frequentazione di tribunali. Il rischio che di fatto si corre è proprio quello che il figlio di cui non si è mai fatta conoscenza − o che comunque si è trascurato − una volta diciottenne trascini il padre in tribunale chiedendogli i danni. Anche morali ed esistenziali. Mettiamo il caso di una donna, che chiameremo Giusy, una quarantenne realizzata dalla sua vita professionale, ma che nella sua vita ha conosciuto un uomo peggio dell’altro, ragione per cui non ha potuto fino ad ora avere un figlio, che invece vorrebbe avere con tutto il cuore. Dopo l’ennesima visita ginecologica, il dottore la mette alle strette: il bambino o lo ha nell’immediato o lo avrà solamente nei suoi sogni; ma, rimanendo sempre in ambito onirico, dato che invece l’uomo dei suoi sogni − con il quale innamorarsi, sposarsi o almeno andare a convivere, con cui fare dei figli e vivere una love story da film in uscita a San Valentino − Giusy non l’ha trovato in quarant’anni, la probabilità di trovarlo subito subito è statisticamente pari a quella di vincere un terno al Lotto. O forse anche inferiore. Pertanto poniamo caso che si iscriva al sito di cui ho scritto sopra, e lì conosca Mirko, un misterioso trentenne il quale − con lo stesso spirito altruistico di una Onlus − dona litri e litri di sperma alle donne nella stessa condizione di Giusy, che dopo anni ed anni e a causa dell’infinita generosità di Mirko, finalmente rimane incinta e partorisce una bellissima bambina che chiamerà Ambra. Evviva, evviva! Ma la storia non finisce qui, perchè la piccola Ambra, che cresce e cresce fino a diventare una graziosa ventenne, non si dà però pace all’idea che il padre la possa aver concepita e poi nemmeno vista crescere, e che − ancora oggi − non è presente nella sua vita. Dopo l’ennesimo tentativo di farsi dire nome e cognome del padre, Giusy − oramai giunta alla sessantina − cede all’impeto e all’insistenza della figlia ventenne, confessando nome, cognome ed età del padre di Ambra. Mirko nemmeno rammentava che Giusy conoscesse il suo cognome, dato che l’aveva vista una sola volta. Ma quella sola volta che si erano visti egli aveva portato con sè e quindi mostrato a Giusy i risultati delle sue analisi di laboratorio, che ella stessa aveva preteso che le venissero mostrate al fine di accertarsi, giustamente, se Mirko fosse sano come sosteneva o se invece avesse qualche patologia (venerea e non), e ovviamente sui risultati delle analisi c’era scritto il cognome di Mirko, un cognome che sarebbe poi rimasto sempre impresso nella mente di Giusy, e che ora anche Ambra conosce. Quest’ultima ipotizza bene di rivolgersi ad un avvocato al fine di trascinare il padre in tribunale, addossandogli la colpa del suo attuale stato depressivo e − più in generale − della sua insoddisfazione verso l’esistenza, pretendendo dunque un maxi risarcimento. Giusy dapprima cerca di scoraggiare Ambra ad adire le vie legali, ma la ragazza sa come reagire, e facendo una scenata spiega alla madre che nell’eventualità in cui ella non le dia i mezzi economici per poter intraprendere l’azione legale, ella provvederà al pagamento della parcella in altro modo...al che Giusy cede nuovamente e decide di accompagnare Ambra da un avvocato (ed ovviamente di pagargli la parcella). L’avvocato, studiata bene la questione, consiglia di farsi affiancare da uno psicologo in qualità di consulente tecnico di parte (CTP), al fine di provare la connessione causale tra l’assenza del genitore e il danno psicologico ricevuto per tale causa, e quindi indirizza mamma e figlia nel suo studio. Arrivate lì ed esposto dunque l’accaduto allo psicologo, questi conviene con il dire che effettivamente lo stato abbandonico in cui Ambra è stata lasciata − accentuato dal fatto che Giusy, dopo le innumerevoli delusioni amorose, non si è poi più trovata un partner fisso, che potesse dunque anche fare da padre ad Ambra − possa coincidere con l’eziopatogenesi dello stato depressivo in cui Ambra versa, uno stato depressivo che limita fortemente la sua vita (in quanto ella non sta dando più esami all’università, non è in grado di lavorare, esce poco e non ha un ragazzo....) e che era rimasto latente fino alla maggiore età, periodo in cui invece ha fatto la sua comparsa, considerato anche che l’assenza del padre non ha potuto permettere ad Ambra di identificarsi con il genitore di sesso opposto, le ha causato stati disforici persistenti poichè il non conoscere il padre è stata per lei come una ferita sempre aperta....Tutte cose che comunque sono facilmente confermabili dal senso comune, oltre che dalla letteratura in materia. Ma mettiamo il caso anche che Ambra abbia dimenticato di raccontare un dettaglio allo psicologo, e cioè il fatto che si è da poco lasciata con il suo fidanzato, Angelo, che tanto angelo non era proprio: l’aveva infatti lasciata per mettersi con la sua migliore amica. E da quel giorno Ambra non ha fatto altro che barricarsi in casa e piangere notte e giorno, finendo così con il soffrire di depressione. Ovviamente il giudice non ne sa niente della questione di Angelo, e ritiene appunto che lo stato depressivo di cui Ambra soffre − che intanto è stato anche comprovato dal CTU tramite la somministrazione del test BDI (cioè il questionario sulla depressione di Beck) e da un relativo colloquio clinico − sia in toto riconducibile all’assenza di Mirko in qualità di genitore. Perchè i figli non sono solo di chi li fa, ma anche di chi li cresce. E dunque la causa si conclude con Mirko condannato al risarcimento economico dei danni psicologici inferti ad Ambra, ma anche di quelli morale ed esistenziale. Morale della storia? Meglio non farsi prendere dall’entusiasmo di diventare co-genitori a tutti i costi, ma procedervi solamente come ultima spiaggia, e in ogni caso sempre e solo dopo essersi informati precisamente a riguardo. Intanto però consiglio a tutti i lettori di consultare gli annunci presenti sul sito di cui ho scritto prima, a causa del loro (involontario) lato comico. Non è un caso trovarvi, ad esempio, donatori di sperma il cui entusiasmo di aiutare le donne ad avere figli è secondo solo a quello che Madre Teresa provava nell’aiutare i lebbrosi, che invitano persino ad essere scelti in base alle loro adoniche qualità fisiche: ad esempio in un annuncio qualsiasi − e ce ne sono tanti simili al presente − si può leggere di un donatore che pubblicizza i suoi ottimi geni vantandosi di essere alto 1,85 e con un fisico atletico. Ma che si scorda di accennare ad altre caratteristiche, come il titolo di studio e le condizioni economiche (che comunque sono in buona parte determinate dal patrimonio genetico). Ma tanto, anche se si è disoccupati e con la terza media, che problema c’è se si ha la fortuna di essere alti 1,85 e con un fisico atletico?


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