Venerdi, 11/02/2022 - «Tu sarai un maschio, figlia mia.»
Inizia con questa frase contraddittoria - nel libro "Le bambine non esistono" (ed Libreria Pienogiorno) - la vita di Ukmina Manoori, una bambina afgana cresciuta con abiti maschili e con la libertà che quegli abiti maschili le conferiscono.
Perché Ukmina ha potuto essere libera? Perché un’antica tradizione afgana autorizza le famiglie senza figli maschi a far travestire una delle loro figlie per avere un indispensabile aiuto: le femmine, infatti, non possono lavorare, non possono uscire da sole, andare a fare la spesa, badare agli animali e curare la terra. Non è pratico, insomma, avere figlie femmine.
“Auguri e figli maschi”. Quante volte l’abbiamo sentito? Bacha posh. Letteralmente “bambina vestita da maschio”. Questa è Ukmina: una bacha posh. Non possiamo sapere quante Ukmina ci siano, perché si tratta di una pratica diffusa quanto discreta. Si tratta dell’unico modo con cui le bambine afgane possono conoscere e vivere la libertà riconosciuta ai maschi. Ma non per sempre. All’arrivo della pubertà si deve rientrare nel proprio ruolo originario: le ragazze devono indossare il velo, rinchiudersi in casa, imparare i lavori domestici, e soprattutto sposarsi e avere dei figli, riprendere cioè il ruolo che è stato stabilito per le donne. “Basta con la vita senza limitazioni, diventerai una donna”. Il destino delle donne è subire, tacere, essere invisibili e rinchiuse tra le quattro mura di casa. Invece Ukmina non rinuncia, non rinuncia mai, rimane fedele a sé stessa a quella sé stessa libera e indipendente che con fatica è diventata. “Io voglio essere libera come gli uomini!” Ukmina rimane perciò una bacha posh, perché è l’unico modo attraverso cui può essere libera.
Un film Disney-Pixar di qualche anno fa è stato intitolato nella versione italiana “Ribelle”. Il titolo originale inglese è “The brave”, cioè coraggiosa. C’è una profonda differenza tra i significati di questi due aggettivi: ribelle e coraggiosa. Eppure l’Italia ha scelto di descrivere una ragazza libera e indipendente, che rifiuta di sposarsi, con l’appellativo ribelle, che porta con sé una sfumatura negativa. Questo per ricordare che le tradizioni non sono dure a morire solo in Afghanistan.
“Spesso mia madre mi dice: «Anche se mi si spezza il cuore, devi sposarti, avere dei figli, una bella vita». Non so cosa voglia dire una ‘bella vita’. È quella che vive lei? Avere un marito, dei figli, e far parte delle invisibili, di quelle schiere di donne fasciate, nascoste, coperte, negate, picchiate?” Una sottomissione data per scontata, inevitabilmente legata al sesso con cui si è nate.
No, dopo aver conosciuto la libertà Ukmina non può farlo, non può rinunciarvi. Tradirebbe sé stessa. E non lo fa, non lo farà mai in tutta la sua vita. Rimarrà libera, continuerà a vestirsi da uomo, combatterà, diventerà “Ukmina la Guerriera”, sarà eletta nel Consiglio provinciale di Khost quando la democrazia finalmente lo consentirà e aiuterà altre donne. Perché “a cosa serve la democrazia, se le donne non ne beneficiano?” I progressi sono lenti, faticosi, ma è una fatica che vale la pena fare.
Perché “non è la fortuna che serve, è il coraggio”.
Quando a giugno dell’anno scorso il Governo italiano pubblicò la app Immuni questa riportava l’immagine di una donna che ha in braccio un bambino e un uomo che lavora al computer: ruoli dati per scontati, lo stereotipo sessista della donna casalinga e dell’uomo lavoratore. Dati per scontati perché la tradizione è dura a morire. Qualche giorno fa parlavo con un uomo che è ben convinto che le donne debbano fare alcune cose e gli uomini altre, che è naturale che sia cosi, che sia cioè la natura ad imporcelo: ha settant’anni, ormai non pretendo di fargli cambiare idea. Il guaio è che a pensarlo non sono solo i settantenni. Ma è la storia di Ukmina che ce lo dimostra: le bambine femmine riescono tranquillamente a lavorare, ad andare a fare la spesa, a curare la terra e gli animali, non sono naturalmente inabili a queste attività. È la cultura ad aver riservato queste attività ai maschi e il recinto di casa alle femmine.
“La libertà per me è essere rispettata. La libertà sono le donne medico, le avvocate, le ingegnere che vengono a parlarmi, le donne che hanno realizzato i loro desideri e i loro talenti, che hanno trasformato la fortuna di essere nate nel posto giusto in qualcosa di utile. Le donne che sono riuscite a realizzarsi, cosa che a noi afgane non è concessa. A meno di imbrogliare. A meno di rinnegare una parte di noi stesse, a meno di negare di essere nate donne”.
Il libro di Ukmina Manoori – scritto con Stéphanie Lebrun – è un libro dedicato alle donne, alle donne coraggiose, forti, esemplari, ammirevoli “che si rifiutano di essere invisibili, di nascondersi sotto il burqa, di sottomettersi alla schiavitù del matrimonio, di accettare il principio della loro inferiorità”. Un libro e una storia emozionante, che augura a tutte e tutti noi un mondo in cui non esistano più cose da maschi e cose da femmine. Perché è solo la cultura che ha creato questa differenza, non la natura.
Lascia un Commento