La storia si volge negli anni di Kučma, tra il 1992 e il 2005, prima della ‘rivoluzione arancione’. L’Ucraina è allo sbando...
Irina, la protagonista de L’ultimo treno da Kiev di Stefania Nardini (Les Flâneurs Edizioni, 2023), è una professoressa di Lettere che decide di fare la badante. Lascia così sua figlia e l’Ucraina per l’Italia.
Emigra per sopravvivere alla fame. La storia si volge negli anni di Kučma, tra il 1992 e il 2005, prima della ‘rivoluzione arancione’. L’Ucraina è allo sbando: quasi nessuno percepisce uno stipendio, ci sono mendicanti per strada, gente che cerca qualcosa tra l’immondizia, mentre le macchine dei nuovi ricchi sfrecciano per le strade soprattutto delle città più grandi, come Kiev. Il Comunismo è un ricordo e c’è solo corruzione.
Madre di una figlia, a cui vuole dare un futuro migliore, Irina, per procurarsi un passaporto e un viaggio in Italia, vive sulla sua pelle le piaghe dell’immigrazione clandestina e lo strapotere delle mafie. Non ha scelta. Dopo il crollo del Muro di Berlino, nell’Ucraina del post comunismo affidarsi alle mafie è l’unico modo per avere un futuro.
Quello che Stefania Nardini racconta ne L'ultimo treno da Kiev è un viaggio l’emancipazione, ma anche la storia di uno sradicamento culturale.
Irina arriva da clandestina, in Italia. E incontra Rosa, giornalista femminista e sua datrice di lavoro, che la metterà di fronte a un mondo sconosciuto che la storia le ha omesso: quello della libertà e dei diritti di cui godono le donne. Tutte cose che il Comunismo ha censurato.
Irina assorbe da Rosa i principi di emancipazione e autodeterminazione. Irina sceglie cosa diventare e si fa donna che rimane madre e che sceglie la libertà, ma che nel momento del bisogno torna in Ucraina. Perché sa che deve difendere la sua terra.
Il romanzo, pubblicato nel 2001 dall’editore Tullio Pironti con il titolo Matrioska, è nato da un viaggio dell’autrice in Ucraina. Un viaggio nato da interrogativi che sembravano non avere risposte per attenzione mediatica del tutto assente sulla situazione di questo paese.
Stefania Nardini ha conosciuto durante il viaggio, tra l’altro, Oksana Zabužko, la prima autrice ucraina che scrisse della condizione femminile dopo il crollo del Muro di Berlino.
I giornalisti, che avevano parlato della condizione delle donne, erano quasi tutti scomparsi in circostanze misteriose.
Il libro, che stato il primo testo di un autore italiano tradotto in lingua ucraina, ha iniziato a circolare clandestinamente, suscitando l’attenzione dei giornali di opposizione. Molti erano dell’idea che l’autrice fosse una donna ucraina e che avesse firmato con uno pseudonimo.
La forza de L’ultimo treno da Kiev di Stefania Nardini sta nel racconto di una storia ordinaria ma ricca di umanità. Un romanzo che sorprendente, a tratti crudo e struggente, che si fa strumento per leggere il dramma di un paese la cui tragedia è ora la guerra.
Stefania Nardini usa uno stile aderente alla crudezza della realtà raccontata. E fa del romanzo un luogo nel quale si ricostruisce il dolore di tante donne ucraine in fuga dalla fame e dalla ingiustizia.
A distanza di tempo, l’editore Les Flâneurs ha voluto riproporre, giustamente, la storia di Irina.
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